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Corso avanzato di Psicologia





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13/12/17 - 11:03 - Paolo (Roma) 
Grande persona! Che dire, è una rarità trovare gente preparata e disposta a spiegarti una materia affascinante come la psicologia. Mi associo a tutti i commenti letti. Sono onorato di averla conosciuta anche soltanto aattraverso un video.
21/07/17 - 19:26 - Alibabà  
Sei un genio scatenato, te li mangi tutti!
20/04/17 - 10:56 - Carla (Firenze) 
Mi piace ascoltarla, è profondo e incisivo. Immagino quanto studio ci sia dietro un′esposizione così lucida e ben strutturata. Carla
09/12/16 - 12:01 - Vincenzo 
Applausi e standing ovation a questo pensiero chiaro, lucido, penetrante e originale.
07/12/16 - 09:01 - La tecnica psicoanalitica (di Roberto Ruga) 
LA TECNICA PSICOANALITICA Perché un discorso sulla tecnica psicoanalitica? Perché la padronanza di una tecnica è ciò che inizia a definirci come professionisti di Psiche, in quanto la tecnica serve a mettere il paziente in condizione di poter parlare senza pensare. Certamente, il percorso formativo è lungo ma quello che vorrei mettere in evidenza è il fatto che la tecnica messa a punto da un autore è figlia della visione del mondo e della personalità stessa di quell’autore. Jung dice una frase molto chiara: “il mondo è la mia psicologia”. Quindi l’invenzione di una tecnica o di una strategia terapeutica è in parte condizionata dal mondo interiore del suo autore. Ora, partendo dal fatto che tutti noi cerchiamo di interpretare al meglio il significato della vita, di fatto, con il nostro comportamento diamo un esempio più o meno esplicito e spesso inconsapevole su come affrontare le difficoltà della vita. Certo non è nostra intenzione insegnare a nessuno come vivere, però dal nostro stile di vita trapela un messaggio di questo tipo. E, poiché una teoria psicologica nasce dalle idiosincrasie dell’autore e approda a delle tecniche, che fanno parte di un metodo per curare i pazienti, con questo discorso vorrei identificare la concezione dell’uomo che trapela dalle tecniche più famose messe a punto dai vari psicoanalisti. E’ come se la tecnica fosse un invito ad avere un dato atteggiamento verso la vita stessa. Del resto, la tecnica è una strategia dietro la quale c’è tutta l’originalità dell’autore che l’ha immaginata, e quindi ci indica non solo cosa dovrebbe fare il paziente all’interno del setting terapeutico, ma può essere estesa anche ad un livello più ampio, al di fuori dello stanzino d’analisi. Questo perché è come se attraverso la tecnica l’autore ci stesse dicendo intuitivamente, come affrontare le difficoltà della vita. Ad esempio, possiamo notare che molte tecniche cercano di stimolare nella persona sofferente l’immaginazione, la fantasia, il desiderio e quindi lo slancio creativo, proprio perché molti problemi nascono dalla mancanza di immaginazione, nascono dal ripiegamento narcisistico, dall’egoismo, dalla sete di potere, nascono dal complesso di inferiorità, dalla falsità e dal non poter essere se stessi perché si è troppo rigidi e schematici. E allora possiamo vedere come le migliori tecniche psicologiche siano uno stratagemma messo a punto dagli psicoanalisti per superare questi problemi molto comuni. Io vorrei mettere in evidenza come le varie tecniche, possano far intravedere - sul piano simbolico oltre che sul piano concreto - una via da percorrere per affrontare la sofferenza psicologica, in quanto non sono soltanto qualcosa da compiere in uno specifico momento per raggiungere un risultato, ma hanno un senso e un significato che si allarga fino a coinvolgere altri aspetti della vita e possono divenire un atteggiamento mentale adatto per risolvere molte situazioni problematiche. Le migliori tecniche hanno qualcosa di geniale e sono state concepite proprio per andare al cuore del problema, raggirando le difese, in modo tale che la persona, seguendo le indicazioni dello psicoterapeuta, possa fare qualcosa di nuovo che romperà la sua coazione a ripetere e darà i suoi frutti. A questo servono le tecniche. Pensiamo ad una famosa tecnica strategica che prende il nome di “prescrizione del sintomo”! Qui le cose si ribaltano e il sintomo viene addirittura prescritto, cioè lo psicoterapeuta ordina al paziente di eseguire un compito che ad esempio gli genera ansia. Quando lo psicoterapeuta prescrive il sintomo, sa che la persona ha solo due possibilità: o abbandona il comportamento disfunzionale, disubbidendo alla prescrizione, oppure segue la prescrizione e mette in atto il sintomo in modo volontario (il che significa che non è più una vittima della situazione ma la sta controllando). In certo senso, si invita la persona a ribellarsi creativamente, ristrutturando la sua realtà psichica. La tecnica funziona come una palestra di creatività, perché stimola l’immaginazione e attiva la fantasia della persona. Come possiamo notare, dietro l’ideazione di questa tecnica che ho preso come esempio, c’è una concezione del mondo che non viene spiegata a parole ma viene trasmessa a livello inconscio; è come una filosofia di vita comunicata per via indiretta, non razionalmente ma metaforicamente. La tecnica stessa, possiamo dire, è una metafora che ci mostra come affrontare le difficoltà, ribaltando la concezione che abbiamo del problema stesso. Quindi possiamo dire che una buona tecnica è quella che permette al paziente di sviluppare la sua creatività. Questo è secondo me il comune denominatore di tutte le buone tecniche. Prendiamo la famosa tecnica del “per esempio” messa a punto da FERENCZI. Lui, ad un certo punto, interrompeva il paziente che stava facendo un discorso vago e gli chiedeva di precisare il concetto con un esempio, costringendo il paziente a immaginare qualcosa più dettagliatamente, per via associativa. Dietro le tecniche psicoanalitiche più famose, c’è questo invito ad associare senza pensare. Pensiamo alla tecnica che usa FREUD: le associazioni libere. Qual è la lezione che trapela da questa intuizione di FREUD? Una prima lezione a me sembra questa: che la vita bisogna viverla senza difese, senza rigidità, come se fosse una continua “associazione libera”. Cosa fa, infatti, FREUD appena vede il suo paziente? Lo invita a sdraiarsi sul lettino, a rilassarsi e quindi ad associare liberamente, cioè lo invita innanzitutto a parlare senza riflettere troppo, associare significa lasciare che qualcosa dentro di noi parli da sé – proprio come in un sogno o come in un lapsus - . Grazie alle associazioni tra parole e concetti, tra immagini e sensazioni, tra emozioni e affetti, qualcosa di prezioso emerge dal profondo. Le associazioni libere danno voce all’inconscio, a patto che la persona non ragioni troppo su ciò che dice, cavalcando il flusso di coscienza senza censurarsi o giudicarsi. Ecco la lezione: cavalcare il flusso di coscienza di pensieri e affetti, per permettere all’inconscio di partorire immagini e simboli che nascono da associazioni che la mente compie in modo sia personale che archetipico. Questo è l’uomo ideale di FREUD, ma anche di JUNG: uno che parla, che esprime se stesso senza difese, senza restrizioni, che non è costretto a resistere al flusso della sua autenticità e delle sue visioni. Insomma, uno che non si nasconde, ma parla e immagina se stesso liberamente. Ecco l’etica implicita alla tecnica: per non essere parlati e agiti dagli altri, per non essere delle tristi marionette, bisogna parlare e parlare come si deve, cioè “ad arte”, non parlare razionalmente, ma ad arte: vedete, c’è un aspetto artistico e creativo in questo parlare che vorrebbe FREUD dal suo paziente. Freud non vuole certo un fantoccio, ma una persona consapevole, che supera i propri sensi di colpa e quindi sincera, con se stessa in primo luogo. Da questa tecnica trapela l’idea di uomo sano che ha FREUD, cioè una persona aperta, non ripiegata su se stessa, non narcisista o egoista, ma altruista, dedita agli altri, che desidera un altro e gli parla in modo sincero e potremmo dire “poetico”, che significa con emozione. Non a caso FREUD arriva a parlare di pulsione di morte partendo dal narcisismo e dalla chiusura nel guscio narcisistico. Non è un caso, infatti, il suo pensiero fa delle associazioni fra narcisismo e morte psicologica. La lezione è che noi siamo mortiferi quando siamo egoisti e pensiamo di essere autosufficienti. Questo è un aspetto dell’uomo – dice Freud - e se noi vogliamo crescere come uomini dobbiamo coltivare un’altra strada che ci porta verso l’altro, all’insegna della libertà, una libertà desiderante, che vuole esplorare e conoscere il mondo, che è fatto di altri. Però questa libertà non è data ma va guadagnata. E si guadagna parlando, ci dice implicitamente FREUD. Parlando ad un altro. Questa non è una cosa che FREUD scrive o teorizza come se fosse una legge, ma è qualcosa che sta a fondamento del suo discorso sulla Psiche e soprattutto della sua pratica clinica. Per affrontare ciò che ci turba e ci causa sofferenza, noi dobbiamo parlarne con un altro, cioè dobbiamo tradurre in parole il nostro dolore. Il sintomo è il linguaggio del dolore psichico, ma il sintomo è anche la parola dell’inconscio, che noi dobbiamo tradurre con una tecnica valida. Poi, se siamo stati all’altezza di questo compito artistico, arriveremo ad essere più liberi di prima, non liberi in assoluto, perché l’inconscio è inesauribile e i sintomi non finiscono mai. Si scende a compromessi con l’inconscio, dice JUNG, dialogando con le immagini interiori, che emergono dal profondo quando noi impariamo ad associare liberamente. E FREUD è convinto che l’atto stesso di “associare liberamente” le immagini, i pensieri, le emozioni, i ricordi e tutto ciò che passa per la mente, serva a liberare la verità interdetta, svelando - ad un ascoltatore attento - ciò che si cela dietro gli accostamenti del discorso psichico. Ma associare liberamente non è facile, né è una cosa immediata, è come dicevo un’arte. Ora il punto a mio avviso è che associare liberamente è un modo di fare e di essere che deve coinvolgere la vita stessa della persona. Ecco la saggezza di FREUD. Al di là di quello che lui scrive, è implicita una profonda verità, e cioè che associare liberamente dovrebbe diventare il nostro stile di vita, ovvero un atteggiamento mentale che si fonda sul flusso libero delle idee, sulla genuinità e sul sentirsi rilassati. Qui ROGERS sarebbe perfettamente d’accordo. Se associamo liberamente, cioè pensiamo e ci emozioniamo in modo sincero, possiamo meglio interpretare la vita, poiché intravediamo la verità inconscia che si cela dietro l’apparenza delle menzogne. La menzogna nasce da un non saper associare liberamente, nasce da una associazione non nostra e non in armonia con ciò che siamo. Esistono le associazioni indotte, i desideri indotti (quelli della pubblicità, per capirci), quelli non autentici. Del resto, cosa significa menzogna? Significa imitazione del collettivo, significa rigidità, mancanza di originalità e quindi ripetitività, significa coazione a ripetere il pensiero di un altro, ripetizione che troviamo nel sintomo. E FREUD questo lo sa. Non a caso, la tecnica di FREUD comprende il lettino, che mira a rilassare e liberare la mente dai suoi pensieri ristretti e poco creativi, dai suoi circoli viziosi, che sono gabbie e prigioni dorate di conformismo e perbenismo (e altri ismi). Il suo insegnamento implicito nella tecnica stessa è quello di creare ponti associativi tra concetti affini, che accostandosi mostrano un nesso non casuale ma significativo, che getta luce su una verità scomoda e taciuta, ma allo stesso tempo propulsiva. L’associazione, cioè la concatenazione delle parole, rompe uno schema prevedibile e permette l’irruzione di un contenuto latente, quasi come saprebbe fare un sogno. Associare liberamente significa per certi versi sognare, cioè creare discorsi simbolici che alludono a qualcosa di inafferrabile. L’associazione è il tentativo di afferrare un’immagine-concetto che sfugge, ma allo stesso tempo che desidera mostrarsi. E se noi non coviamo il suo desiderio di emergere, faremo i conti con i sintomi, che - anche loro - alludono a quella verità misconosciuta e sepolta negli anfratti dell’anima. Pure JUNG è sulla stessa scia di Freud, però per lui non si tratta solo di associare ma di ricamare intorno ad un concetto. Non si tratta solo di interpretare ma soprattutto di analizzare. JUNG propone al paziente una tecnica chiamata “amplificazione” che amplifica le immagini oniriche e le parole associate dal paziente, arricchendole di nuovi contenuti affini. Ecco, vedete, dietro a queste tecniche proposte da Freud e da JUNG, si intuisce quale possa essere la loro visione di uomo sano, sano perché creativo e associativo (passatemi il termine), un uomo che affronta creativamente il dolore psicologico e si riscatta, è un uomo che dovrebbe coltivare l’immaginazione, le visioni, la fantasia, e Freud si allea a tutto ciò, vuole questo per il suo paziente, non a caso lo fa sdraiare sul lettino, gli chiede di raccontare i sogni, lo invita a non pensare mentre parla, lui Freud che era un tipo pensiero e ha dato molto valore all’intuizione, ma inconsciamente ha sempre ricercato l’immaginazione che era la sua funzione ombra. JUNG dice che la psiche funziona grazie al principio della compensazione, per cui se una persona è molto razionale, sarà inconsciamente attratta da ciò che è opposto alla razionalità e cioè dalla fantasia. JUNG sul piano cosciente da più rilievo alla fantasia rispetto a FREUD ed è per questo che inconsciamente è piuttosto razionale, tende a classificare e a incasellare l’uomo, descrivendo i tipi psicologici con le varie caratteristiche, e questo è un atteggiamento analitico che va a compensare l’attrazione cosciente per tutto ciò che è spirituale, animico, misterico, mitologico e così via. Per JUNG il sogno ha una funzione compensatrice, perché sottolinea il lato opposto e inespresso della personalità al fine di promuovere l′equilibrio e l’integrazione dei vari aspetti della personalità. Tutti i processi inconsci, per Jung hanno una funzione compensatrice dei processi coscienti. Il punto è che quando noi siamo eccessivamente unilaterali ci impoveriamo sul piano psichico ed entriamo in tensione. Cosa risolve questa tensione? La sintesi creativa operata dalla capacità simbolica, capacità cioè di tenere assieme e di spostare su un piano metaforico ciò che su un piano concreto verrebbe altrimenti vissuto come conflitto e porterebbe a lacerazioni e scissioni della coscienza. Ecco perché dobbiamo allenare il nostro sguardo ad essere poetico. Ora, le tecniche fondamentali di questi due giganti della psicoanalisi sono almeno quattro: l’associazione libera e l’interpretazione proposte da Freud, l’amplificazione e l’analisi suggerite da JUNG. Cosa hanno in comune queste tecniche? Ad esempio il suggerimento a vedere oltre l’apparenza, infatti, cosa fanno queste tecniche? Stimolano l’immaginazione, invitano la persona a cogliere le immagini che emergono dal profondo, per aprirsi ad un confronto conoscitivo nuovo. Non a caso per ARISTOTELE l′intelletto si avvale della immaginazione per elaborare i concetti complessi. L’inconscio per essere compreso ha bisogno dell’immaginazione perché questa ha il potere di cogliere somiglianze e affinità simboliche, laddove il logos vede solo relazioni lineari fra le cose. Ecco perché attraverso la capacità di immaginare noi siamo portati a trovare una cosa attraverso un’altra. Possiamo comprendere una cosa a partire da un’altra. Questo è un passaggio importante per la cura psicologica. Per raggiungere una meta il serfista sa che non può andare controvento e allora va un po’ di qua e un po’ di la, finché arriva. Una cosa simile fa l’indagine psicologica, che attraverso le libere associazioni avanza aggirando le resistenze e le difese che vorrebbero mantenere il le cose come stanno. L′immaginazione è una parente stretta delle associazioni libere, perché è la capacità di stabilire collegamenti anche tra le cose più lontane, e se viene opportunamente mescolata con l’arguzia e il sentimento, allora diventa uno strumento conoscitivo eccellente. BION arriva a dire che conoscere il proprio inconscio è un atto poetico. Ora, dobbiamo dire che il paziente che gioca con l’immaginazione è anche giocato da questa. In questo gioco creativo confluiscono immaginazione, intelletto e ragione, razionale e irrazionale. JUNG ci parla dei prodotti dell’immaginazione che sono i miti, le leggende, i sogni; e dice che l’individuazione ha bisogno di questo tipo di capacità immaginativa. Individuazione significa capacità di creare un progetto di vita personale. Ma immaginare non è affatto facile, perché spesso le persone trovano più facile essere un risultato del passato che una delle cause del futuro, e questo atteggiamento distrugge il desiderio di immaginare ciò che potremmo essere. Ma la vita è un’avventura da vivere, non un problema da risolvere. Anche HILLMAN sottolinea come la sofferenza psichica nasca da una difficoltà a immaginare se stessi in modo nuovo. Questo atteggiamento nuovo viene stimolato da molte tecniche, il cui fine è quello di allargare la visione del paziente per aprirlo al futuro. Il politeismo metaforico di HILLMAN è una tecnica di amplificazione, infatti comporta l’uso di paralleli mitici e culturali al fine di ampliare il contenuto del simbolismo onirico. Questa tecnica permette al sognatore di abbandonare un atteggiamento egocentrico nei confronti dell’immagine onirica, lateralizzando l’io e quindi amplificando il sogno. Ma possiamo dire che quello stesso atteggiamento il paziente deve svilupparlo verso la vita stessa, che va ampliata e allargata creativamente, considerando l’io non come unico soggetto importante, non come colui che sa, ma come colui che desidera sapere e per sapere deve fare esperienza emozionandosi, erotizzando questa esperienza. L’io deve andare oltre la letteralità degli eventi, deve vederli con occhi poetici. L’atteggiamento dell’io deve assomigliare un po’ di più a quello dell’inconscio. L’immaginazione permette di ragionare per metafore e questo consente di rileggere la vita della persona andando oltre la letteralità dei singoli eventi, per intuire un progetto inconscio sottostante. Se il paziente è in grado di costruire metafore e lo fa emozionandosi, con sentimento e passione, erotizzando il suo presente, allora procede verso l’individuazione. Allo stesso modo anche LACAN insiste sul dare voce alla particolarità del soggetto, la sola che può definirci e darci un nome. E cosa ci serve per nominarci? per darci un volto e un nome? Risponde ALDO CAROTENUTO: l’atteggiamento creativo. Vedete, se la sofferenza psicologica deriva da un’esperienza traumatica infantile rimossa, Freud cerca di portare alla luce tali esperienze, ma i pazienti manifestano una resistenza a ricordare e così FREUD sviluppa una tecnica basata sulle libere associazioni e chiede al paziente di dire qualunque cosa anche imbarazzante, senza censurare il materiale che emerge. Sta qui la svolta che propone la psicoanalisi. Non a caso FREUD dedica molta attenzione ai sogni, perché nei sogni emergono ricordi e sentimenti rimossi che aggirano la resistenza. Il sogno è come un treno di immagini concatenate, quindi associate secondo principi e regole. Non a caso un treno va verso una stazione, e quella stazione interessa molto FREUD. Il compito dello psicoanalista diventa quindi quello di analizzare i treni associativi di parole e immagini, trovando un filo logico che connette i ricordi a forte carica affettiva. All’inizio l’interpretazione viene fatta con modalità rigide e oracolari, in modo piuttosto lineare, cioè logico e coerente, e ha come fine quello di svelare le rappresentazioni rimosse, alla base del trauma infantile, quasi sempre legato alla sessualità. Ma ad un certo punto succede che FREUD si rende conto che i pazienti tendono a sviluppare un legame affettivo, cioè dei sentimenti intensi di amore e odio verso di lui. E inizia a parlare di transfert perché ritiene che i pazienti tendono a ricreare col terapeuta, gli stessi sentimenti e gli stessi conflitti che avevano avuto nell’infanzia verso i genitori. Qual è il senso implicito di questa idea? Che ci fa FREUD con questa intuizione? Capisce che il paziente distorce (cioè interpreta male) gli atteggiamenti mostrati dal terapeuta. Così FREUD arriva a parlare di distorsione della realtà alla luce del passato. E allora quale diviene il compito dello psicanalista? Accorgersi dell’insorgenza di questi sentimenti e farli elaborare al paziente, che deve diventare cosciente delle sue distorsioni percettive. Come si conduce questa analisi del transfert? Eh, chiaro, utilizzando i materiali prodotti dalle libere associazioni, dai sogni, dai lapsus, dagli atti mancati e dalla relazione col terapeuta. Se da un lato i contenuti rimossi vanno svelati, è anche vero però che l’io del paziente va rafforzato, affinché il disvelamento interpretativo non diventi esso stesso una ferita dolorosa, laddove rischia di essere vissuto come una falla nell’argine dell’Io. FREUD vuole la libertà del paziente dalle sue difese, ma sa che il paziente potrebbe vivere il sentimento paralizzante di non poter fare a meno delle sue difese. Ecco perché è necessario prima rafforzare l’io, e quindi il senso di auto-accettazione e di identità del soggetto, attraverso la creazione di un legame terapeutico affettivamente solido, non autoritario, rassicurante e umano. Qual è la morale di questo metodo? Che visione dell’uomo ci mostra? Ci mostra un uomo bisognoso di relazioni profonde. L’effetto benefico della terapia è un’esperienza emozionale correttiva, dove la persona sviluppa nuove abilità sociali in precedenza represse. Se la terapia è un training di questo tipo, allora l’allenamento consiste in un potenziamento dell’immaginazione grazie al transfert. Il transfert erotizza l’immaginazione, accende la fantasia e rende l’impossibile possibile. Ne consegue che il ricordo di memorie infantili rimosse avviene solo dopo che lo stesso tipo di costellazione emotiva è stata sperimentata e padroneggiata nella situazione transferale. Il fatto che il paziente possa ricordare qualcosa che prima non poteva, mostra che la capacità del suo Io è aumentata durante il trattamento. Una volta compreso ed elaborato il passato si può pensare al presente per assecondare e sviluppare il desiderio inconscio. Seguire l’inconscio significa associare poeticamente, liberamente, metaforicamente, cioè lasciare fluire le idee che vengono in mente improvvisamente, senza sforzo, spontaneamente, dando voce al proprio talento, a ciò che sappiamo fare bene senza sforzo. La lezione di FREUD è che bisogna tradurre in parole le nostre emozioni, a partire dalla situazione analitica, a partire dal qui e ora e quindi della relazione transferale col terapeuta. Ecco che ad un certo punto del percorso psicoterapico, questo flusso associativo libero, che non tralascia nulla, mostra uno slancio affettivo che anima la persona in quanto dietro ciò che la imbarazza c’è anche ciò che la libera. Noi dobbiamo liberare quell’istanza che in noi sa associare poeticamente. E per farlo dobbiamo abbandonare ogni controllo critico e selettivo sulle idee. Ecco come emerge la verità del nostro desiderio, che va vissuta nel transfert. In questo modo si superano le resistenze. Qui sta la genialità di FREUD, nell’aver capito che la consapevolezza si guadagna all’interno di una relazione significativa. Relazionarsi significa produrre simboli, vivere simbolicamente e quindi dalla parte dell’inconscio, che parla attraverso il nesso associativo. Se è vero che non possiamo vivere pienamente senza la verità detta dall’inconscio, allora dobbiamo imparare il linguaggio poetico ed erotico dell’anima. Cosa vuole l’anima? Cosa vuole l’inconscio? Freud e Jung sono chiari: L’Amore è il ponte che ci permette di passare da un godimento autoerotico, quindi narcisistico, egocentrico, ad un desiderio che implica l’altro come un oltre a cui tendere. Ecco cosa vuole l’anima, vuole andare oltre, oltre quell’io che crediamo di essere, infatti non siamo solo quello. La lezione freudiana a me sembra questa, che una vita degna è una vita all’insegna dell’amore, all’insegna del due e non dell’uno egoistico. Ma per amare bisogna saper associare liberamente. Associare è già due. Uno invece è narcisismo e ripiegamento su se stessi, ricerca di potere e affermazione sugli altri, non relazione. La relazione empatica è il due. Diventare artisti dell’associazione libera significa erotizzare il mondo, significa amare qualcosa, significa slancio verso qualcosa, ricercare il quel mistero e confrontarci, significa dialogare con un altro che ci abita ma che sta anche davanti a noi, in un altro luogo rispetto all’io, oltre il suo dominio. La ricerca dell’altro è decentramento, è associazione poetica che ci sorprende e ci spiazza, che ci espone al grande rischio dell’abbandono, ma anche ad una straordinaria opportunità di crescita. L’associazione creativa fa inciampare l’io, lo sloga, crea una situazione emotiva e quindi un campo di forze che produce energia psichica che il soggetto dovrà direzionare su nuovi investimenti. Quando il cervello associa poeticamente noi veniamo sedotti dalla realtà. L’associazione è espansione, è uscire da se stessi, è estroflettersi per guardare con occhi diversi, in quanto non siamo più gli stessi di prima. C’è una famosa tecnica chiamata “la sedia vuota”. Si chiede al paziente di immaginare su questa sedia una persona e di parlarle. Questa tecnica ci dice che per favorire il benessere personale è importante incontrare la propria diversità che spesso prende le vesti di una voce interna, di un pensiero discordante oppure di un sogno apparentemente insensato o di un sintomo psicofisico. La sedia vuota è un modo per provare a parlare con chi non c’è davanti agli occhi ma è presente come rappresentazione interna. Quando due personalità entrano in relazione – dice BION - si crea una tempesta emotiva, che produce uno stato conturbante. Ecco, questa è la terapia psicologica, che punta a svelare ciò che si cela dietro l’apparenza.
19/08/16 - 16:54 - Enrico (Bari) 
Fantastica dissertazione. Meravigliosa psicoanalisi!
04/08/16 - 09:07 - Paola (Milano) 
Questo video è un crescendo di concetti, uno più bello dell′altro, che illuminano la difficile arte psicoterapeutica. Chiara ed efficace la disamina su Jung, Freud e i grandi psicoanalisti. Una sintesi poderosa, espressa con raffinata arte oratoria. Incantata.
30/07/16 - 09:14 - Giuseppe 
Illuminante e chiaro. E′ raro trovare così tanti riferimenti teorici e clinici espressi in così breve tempo.
27/07/16 - 08:16 - Tiziana 
Gradevolissima lezione sulla psicologia, più in generale sull′uomo. Complimenti.

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