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Analisi psicologica del Don Giovanni




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30/11/17 - 11:44 - Roberto  Ruga
Parliamo di manipolazione psicologica e di manipolatori, ma ci tengo a premettere che quello che dirò non può esaurire la complessità della persona, che in quanto essere umano è inclassificabile, sfaccettata, e tra l’altro anche in evoluzione, con la sua storia personale, pertanto ogni generalizzazione, ogni inquadramento diagnostico va poi declinato “caso per caso”. Oggi si parla tanto di manipolatori, di vampiri energetici, di narcisismo, egocentrismo, però, ad essere più precisi, manipolare significa alterare, contraffare, falsificare, manomettere e quindi INGANNARE. Chiediamoci subito perché i manipolatori manipolano? Da dove nasce il loro bisogno di gestire la relazione e di avere potere sull’altro? Iniziamo a dire che spesso riscontriamo nei manipolatori un TRATTO NARCISISTICO presente in una struttura di personalità che può essere sia nevrotica che psicotica oppure al confine cioè borderline. Sono tipicamente dei PREDATORI (anche on-line), riescono a gestire più rapporti a distanza, creando profili falsi e mascherando la loro identità, così possono COLLEZIONARE relazioni multiple. Perché lo fanno? Lo fanno per sentirsi sostenuti, per avere conferma del loro valore, tant’è che non sopportano di essere lasciati, questo avrebbe delle gravi ripercussioni sulla loro esile autostima. Il loro gioco è quello di abbandonare per primi per non essere lasciati. Ma, l’aspetto psicopatologico aumenta quando a questo quadro si aggiunge una certa MANIA DI GRANDEZZA, che può sfociare nel delirio di onnipotenza e di controllo totale sugli altri. Il desiderio di controllo nasce dall’insicurezza e dal fatto che si percepisce l’altro come pericoloso, inafferrabile, sfuggente e siccome il manipolatore non tollera le situazioni sfumate, tende a voler definire l’altro per controllarlo meglio e tenerlo in pugno. Il manipolatore in questi casi assume le vesti di un personaggio privo di scrupoli, astuto, che si ribella alle leggi della morale e non prova sensi di colpa né vergogna per quello che fa. All’inizio appare istrionico, seducente, pieno di attenzioni come può essere la figura del DON GIOVANNI, carico di vitalità e desiderio, esuberante nei comportamenti. Si presenta come una persona molto propositiva. Su questo versante della patologia troviamo tratti quali: l’avventurosità, il gusto per ciò che è esagerato, la passione per il sensazionalismo, il brivido dell’imprevisto e della sorpresa, il coraggio; questi sono tratti che caratterizzano un tipo di seduzione fatta di teatralità e di esibizionismo, che però non va nella direzione del dialogo empatico e dell’apertura verso l’altro, ma è finalizzata a se stessa, per cui l’altro appare strumentalizzato. Parliamo di SEDUZIONE STRUMENTALE e siamo in presenza di una SMANIA DI PROTAGONISMO, che per la psicoanalisi ha le sue origini in un COMPLESSO EDIPICO IRRISOLTO, accompagnato da un senso di INFERIORITA’ pervasivo. Non a caso l’esibizionismo è tipico del bambino che si vuol far notare dai genitori. Ora, quale adulto può dire di aver completamente superato questa fase? Poi, se consideriamo la società odierna, ci accorgiamo che vogliamo tutti essere un po’ protagonisti no? O almeno apprezzati, ben voluti, stimati, riconosciuti. Però già questi termini sono più sfumati… non stiamo più parlando di manipolazione. La PSICOLOGIA ANALITICA JUNGHIANA considera la SEDUZIONE MANIPOLATIVA (o strumentale) come uno dei possibili effetti del COMPLESSO MATERNO, ovvero il figlio che cerca inconsciamente la madre in ogni donna senza riuscire a trovarla poiché nessuna risulta alla sua altezza. Cerca la madre perché è intrappolato in un ricordo nostalgico di lei e anela a quell’amore che non ha avuto da bambino. Quando la madre è assente, il bambino piccolo non vive semplicemente l’assenza ma (come farebbe un adulto) ma tale assenza è per lui una presenza negativa, come un fantasma maligno che lo atterrisce. Questa è già la premessa alla costruzione di una personalità instabile, timorosa, che viene COMPENSATA dall’atteggiamento opposto, quello controllante e magnifico che troviamo nel narcisismo e nell’egocentrismo. La paura e l’insicurezza però restano. Infatti, per la KLEIN questa figura di SEDUTTORE è inconsciamente ossessionato dal terrore della morte delle persone da lui amate, una paura che potrebbe gettarlo nella depressione più cupa, così il seduttore sviluppa una potente difesa, l’infedeltà, che gli consente di provare a se stesso che il suo unico oggetto d’amore – la madre – non è indispensabile, dal momento che è intercambiabile. Ne deriva una INFEDELTA’ di tipo coatto, che è il prodotto di un compromesso inconscio la cui dinamica sarebbe questa: il manipolatore seducendo e abbandonando la donna desiderata si distoglie dalla madre, salvandola dal suo amore, che lui stesso percepisce pericoloso perché AVIDO E DISTRUTTIVO. Con questa DIFESA tenta di liberare se stesso dalla sua dolorosa dipendenza da lei, abbandonandola ripetutamente sul piano simbolico. Alla base dell’intera dinamica vi sarebbe quindi la paura di una dipendenza mortifera, che scatenerebbe tendenze distruttive come avidità e rabbia. L’avidità la ritroviamo nel collezionismo delle conquiste, tipico del Don Giovanni; e la rabbia è conseguenza della frustrazione per l’assenza di una madre amorevole che sappia cogliere i bisogni del bambino. Per contenere la rabbia che è un affetto pericoloso per la madre, il bambino cosa fa, sviluppa meccanismi di SCISSIONE e di repressione che lo portano ad essere ANAFFETTIVO e quindi poco empatico. Da qui nasce la mancanza di empatia che ritroviamo sia nello psicopatico, sia nel narcisista e sia nel borderline, a livelli diversi. WINNICOTT nel tracciare l’origine di questi meccanismi parla di una FISSAZIONE ALLA FASE ORALE: in pratica, quando la madre non riesce ad identificarsi empaticamente con gli stati d’animo del bambino e a tranquillizzarlo, il bisogno del bambino di incorporare la madre si tinge di aggressività e di colpa. Nasce così un vissuto di aggressione verso la madre insieme alla paura di esserne a propria volta divorato. Questo perché nella mente del bambino piccolo non c’è ancora distinzione tra divorare simbolicamente ed essere divorato, è una distinzione che nascerà dopo. E allora succede che inconsciamente, la paura di essere divorato determina una difesa del tipo “prima che tu mi divori e mi distrugga, lo farò io”. Da qui si origina l’atteggiamento predatorio del manipolatore. Anche ADLER spiega l’origine del comportamento seduttivo-manipolativo partendo dalla vulnerabilità e dall’IMPOTENZA, che alimenterebbero un sentimento di INFERIORITA’ connesso con la paura di perdere l’oggetto d’amore. Vedete come alla base di tutti questi meccanismi c’è sempre la mancanza, la privazione dell’amore materno, nelle sue varie declinazioni. Il complesso di inferiorità porterebbe il manipolatore a collezionare rapporti nell’illusione onnipotente di poter controllare e sottomettere la vittima. Lo fa per sentirsi superiore, quindi forte; e questo sarebbe un tipico meccanismo di COMPENSAZIONE a cui FREUD da il nome di RITUALE, un tentativo cioè di negare la PAURA, esorcizzando la potenza malefica dell’altro. Ma capiamo che stiamo parlando di un “fantasma”, cioè di una realtà psichica che non ha niente a che fare con la realtà oggettiva. E’ una realtà che ha una logica un po’ PER-VERSA (che non va nel verso giusto). Infatti, come spiega JUNG, la strategia tipica del manipolatore è quella di non voler svelare la propria identità (ad esempio nascondendosi dietro profili falsi) per salvaguardare la propria fragilità, per tutelare un io debole che andrebbe in frantumi se si dovesse rapportare all’altro con le frustrazioni tipiche che una relazione sana comporta, perché ogni relazione comporta un certo rischio, no? Quindi il manipolatore si nasconde, camuffa la sua reale identità, come una sorta di CAMALEONTE, che riesce a difendersi mimetizzandosi, incarnando quindi i desideri dell’altro, assumendo il suo sogno potremmo dire. Si nasconde per proteggere la sua fragilità, perché il suo io è ancora poco strutturato. Questa facoltà camaleontica si manifesta soprattutto nell’arte inconscia di incarnare le proiezioni della persona da sedurre. In sostanza il manipolatore è abile nel vestire i panni del partner ideale e dell’innamorato fedele, ma per fare questo SCEGLIE CON CURA LE SUE VITTIME, che tendono ad essere persone disponibili, in buona fede e credono (forse un po’ ingenuamente) a tutte quelle attenzioni amorevoli che vanno sotto il nome di LOVE BOMBING. Che tipo di seduzione è questa? Beh, è una seduzione che non perviene all’incontro autentico con l’altro, è una seduzione famelica, vorace, che punta alla quantità più che alla qualità. Il manipolatore non si rapporta con l’altro come essere particolare, che dovrebbe amare per la sua peculiare natura, ma una volta raggiunto il possesso dell’oggetto desiderato, lo VAMPIRIZZA (cioè succhia tutto il suo potenziale nutritivo) e poi lo abbandona. Per la PSICOANALISI ciò è indice di una paura del rapporto autentico, e questa paura abbiamo visto che nasce dalla fedeltà ad un oggetto interno arcaico che, come accennavo prima è la madre, la quale inconsciamente impone un amore assoluto. Il rapporto inconscio tra il manipolatore narcisista e la madre è spesso simbiotico e totalitario, ma non può essere altrimenti perché l’io è ancora troppo fragile. La fragilità impedisce di misurarsi con la frustrazione e la perdita, ecco perché il narcisista manipolante abbandona per primo pur di non sperimentare un’esperienza di separazione e di lutto considerata insostenibile. Ecco allora che in terapia il lavoro si deve concentrare sull’interiorizzazione di un nucleo caldo che sappia sostenere la persona dall’interno, portandola ad interiorizzare la funzione genitoriale e ad elaborare il distacco, per procedere poi verso l’individuazione. Ma è un percorso lungo e soggettivo, non si può tracciare un metodo universale. Iniziamo però a capire come per il seduttore manipolativo riuscire a conquistare l’altro equivale a possederlo e sottometterlo, in quanto ciò rappresenta una verifica positiva del suo stesso VALORE, quindi una prova di esistenza. Seduco, dunque sono! Se poi seduco e vengo scelto da una persona che ho IDEALIZZATO, ancora meglio, perché il mio valore sarà più grande, visto che fra i tanti possibili l’altro ha scelto proprio me. E veniamo alle TECNICHE, le TATTICHE e le STRATEGIE che usa il manipolatore (con o senza tratti narcisistici, nevrotico o psicotico che sia). Una tra le tattiche più diffuse è la PERSUASIONE INDIRETTA grazie alla quale induce sottilmente nella vittima determinati comportamenti, apparendo sempre come “innocente”. Alcuni esempi possono essere l’insultare i loro ex al fine di lusingare implicitamente la persona presente. Questa tecnica si chiama “GROOMING”: quando affermano “il mio ex mi mancava di rispetto, ma tu non lo fai mai”, stanno in realtà inducendo la vittima a comportarsi diversamente, “avvertendola” che se fa come l’ex verrà scartata. Il grooming è un modo indiretto per indurre nella vittima un certo comportamento. Prendiamo una frase: “il mio ex litigava sempre con me, noi non litighiamo mai.”, sembrano complimenti ma nascondono una componente manipolativa. “La mia ex pretendeva sempre che andassi in giro per cercare lavoro, tu sei molto più comprensiva.” …vedete come non si tratta di veri e propri complimenti, ma di ASPETTATIVE, di attese, di ciò che viene indotto nell’altro, e così facendo si possono indurre non solo comportamenti, ma anche atteggiamenti e perfino emozioni che vengono – come dire - impiantate nell’altro. Le persone normali ed empatiche, non fanno simili confronti tra gli ex e le persone che amano, sarebbe di cattivo gusto, sono piuttosto concentrati nel qui e ora della relazione che stanno vivendo. Fare confronti è il primo passo per manipolare. Ad esempio gli psicopatici hanno molto bisogno di confrontare, e lo fanno per fare chiarezza nel loro mondo interno che è confuso. Aggiungiamo che i manipolatori generalmente hanno un tratto narcisistico, che può trovarsi in una struttura di personalità sia nevrotica che psicotica, o al confine tra questi due versanti, una volta si usava il termine “BORDERLINE” e, in tal caso, si tratta di persone che hanno una spiccata tendenza a SOGGIOGARE la volontà altrui, per esercitare controllo e potere nella relazione. All’inizio si presentano come abili adulatori, riempiono l’altro di complimenti - una tattica chiamata come dicevo “LOVE BOMBING” – finché ad un certo punto iniziano a diventare ambigui, gelosi, molto critici e svalutanti e finiscono col tormentare il partner senza avere scrupoli, SENZA PROVARE VERGOGNA o sensi di colpa. Agli occhi degli altri appaiono comunque persone rispettabili, premurose, precise sul lavoro, sempre disponibili e gentili. Quindi cosa fanno, si insinuano in maniera subdola tra le fragilità della vittima, lentamente “goccia dopo goccia” e iniziano a demolire, con uno stillicidio di battute apparentemente innocenti del tipo: ma come ti sei pettinata? ma come ti sei vestita? il tuo trucco è inappropriato, la pasta era sciapa e via dicendo, al fine di indebolire la vittima, che inizia ad avvertire una diminuzione della sua autostima. Il risultato è una certa spersonalizzazione, e così la vittima inizia a dubitare di se stesso, come nel noto film “GASLIGHT”, nel quale si trova isolata, perde gli amici e si ripiega su se stessa. Ormai il manipolatore sta lavorando nel creare tutte le distorsioni cognitive utili alla destabilizzazione della vittima, le dice una cosa e poi l’esatto contrario, fino a confonderla e farla dubitare di sé. Questa è una forma di CONDIZIONAMENTO INCONSCIO. Infatti, la vittima vede indebolire la propria volontà, il proprio senso critico e la capacità di discernere cosa stia accadendo. La tecnica dell’ISOLAMENTO viene adottata per esempio nei programmi di radicalizzazione, dove gli adepti vengono prima isolati dalle loro famiglie, per poi essere legati a nuovi compagni. Questo è anche il meccanismo che, in condizioni di prigionia, avvia un legame perverso tra la vittima e il carceriere, il quale spesso rappresenta l’unico possibile contatto umano. In sostanza, tra il non sentirsi più riconosciuto per nulla e il sentirsi riconosciuto come prigioniero, la vittima sceglie la seconda possibilità come male minore. E’ ciò che va sotto il nome di “patto masochistico” o IDENTIFICAZIONE CON L’AGGRESSORE, tipica nei processi di indottrinamento. Ora, la conseguenza di tutto questo STRESS psico-fisico ha delle precise ripercussioni a livello biologico, in quanto il corpo libera delle sostanze tossiche che si concentrano nel cervello e portano a numerose conseguenze negative come stati depressivi che si alternano a fasi di euforia, reazioni violente e reazioni apatiche, indifferenza per tutto ciò che è circostante, pianti immotivati, reazioni come superstizione, allucinazioni, insomma, un terreno fertile per piantare il seme della dipendenza affettiva, che facilita la REGRESSIONE della vittima e che infine porta alla destrutturazione psicologica vera e propria. In questo stato, la vittima è ormai in balia del manipolatore, è infantilizzata, vede “fantasmi” ovunque, cioè emergono prodotti inconsci, si materializzano paure, incubi, questo accade perché le difese sono inesistenti, diminuisce il senso critico e la vittima ha la sensazione di impazzire. Quando la persona è regredita è più facile che sia disposta a modificare il suo sistema di valori di riferimento che sostengono la sua personalità. Ne risulta una maggiore influenzabilità. E’ ciò che avviene nel film “Gaslight” del 1944 con Ingrid Bergman. Inizialmente la vittima non crede a quello che vorrebbe farle credere il suo “carnefice”, e si difende con RABBIA per sostenere la sua posizione di persona sana e ben “piantata” nella realtà oggettiva. Ma poi, dopo aver DUBITATO, inizia a convincersi che il manipolatore abbia ragione, getta le armi, si rassegna, diventa insicura, e via via sempre più dipendente e vulnerabile. Nel film si vede bene come il manipolatore assuma le vesti della brava persona, che sembra avere a cuore solo il bene della vittima ma in realtà fa solo i suoi interessi. Da un punto di vista relazionale, la manipolazione è una forma di PERVERSIONE, che si cronicizza non appena la vittima entra nella fase depressiva, quella in cui si convince della bontà del manipolatore (che si prende cura di lei, la capisce, la sostiene). Ecco che si crea così il paradosso in cui la vittima idealizza il proprio carnefice. Il risultato è che la persona NON CHIEDE AIUTO, anzi si isola a livello sociale per paura di essere giudicata pazza. Ciò accade perché la vittima non è stata scelta a caso, ma in base a dei precisi requisiti: si tratta di una persona generosa, compassionevole, che è capace di un amore incondizionato. E’ una persona che aggiusta costantemente i propri comportamenti al fine di adattarsi al rapporto con l’altro. Non c’è assolutamente nulla di patologico in questo, anzi. Stiamo semplicemente parlando di una persona buona e disponibile che si impegna a far crescere il rapporto. Il punto è che il manipolatore andrà alla ricerca proprio di qualcuno in grado di ballare la sua macabra danza, qualcuno che si adatti ai suoi giochi perversi, e che poi sia in grado di perdonare le bugie. L’abilità del manipolatore è quella di saper “fiutare” chi ha queste caratteristiche. E questo è il principale elemento che lo rende un PREDATORE. Il suo bisogno è sempre quello di trovare RIFORNIMENTO NARCISISTICO. Non c’è altro che attragga il manipolatore narcisista, il suo non è vero amore, ma è una strategia CONSAPEVOLE finalizzata a comprendere quali leve premere per determinare un attaccamento dipendente nella vittima e potersi così avvantaggiare della sua generosità empatica. Stiamo parlando di un DISTURBO DEL VISSUTO EMOZIONALE, caratterizzato da una dis-regolazione emozionale – siamo già al limite tra nevrosi e psicosi – infatti nel manipolatore borderline troviamo una serie di caratteristiche che vanno dall’instabilità affettiva, a crolli dell′umore, fino ad una tendenza a cadere ripetutamente in comportamenti autodistruttivi. La distruttività relazionale nasce grazie alla tendenza ad avere un giudizio che oscilla tra polarità opposte, il cosiddetto pensiero in “bianco o nero”, per cui o sei amico o se nemico, non esiste una via di mezzo tra “amore e odio”. In queste persone si nota una marcata instabilità esistenziale. La loro vita è caratterizzata da relazioni affettive intense e turbolente, che terminano bruscamente. Non a caso alcuni autori hanno messo in evidenza il DESTINO TRAGICO di questa sofferenza autoprodotta, che è causata da un disturbo di tre aree: affettiva, cognitiva e comportamentale. Di conseguenza, le relazioni interpersonali sono caratterizzate dall’alternanza tra i due estremi di idealizzazione e svalutazione. Sono ricorrenti impulsività e minacce, insieme a sentimenti cronici di VUOTO, difficoltà a controllare la rabbia, l’ira e la sospettosità paranoide. Alcune frasi tipiche: “Sono fatto così”, “non ci posso fare niente”, “prendere o lasciare”, “non sono io il malato sono gli altri”. Il mancato riconoscimento della disfunzionalità dei propri comportamenti rivela come il disturbo sia radicato nel modo di percepire e interpretare la realtà e gli altri. L′instabilità è l′unica cosa stabile nella persona, infatti il pensiero è dicotomico e la comunicazione è INCOERENTE. La persona è in grado di affermare in un momento una cosa ed il momento successivo l′esatto contrario. Un giorno valutano positivamente fino ad idealizzare una persona, il giorno dopo la svalutano gravemente. Sono infatti in grado di dire “ti amo” in pochissimo tempo o progettare una vita in comune dopo uno o pochi giorni di conoscenza, fino ad arrivare alla svalutazione totale dell′altro. Lasciano facilmente alle prime frustrazioni, ma NON SOPPORTANO DI ESSERE LASCIATI. Tipicamente contrastano chiunque non la pensi come loro e coloro che non assecondano i loro desideri, reagendo aggressivamente. Sono soggetti che tendono a MANIPOLARE gli altri utilizzando spesso il senso di colpa. Far sperimentare colpa agli altri è un metodo per controllarli. Chi vive con loro si sente spesso arrabbiato, annichilito ed impotente. Non di rado arrivano a minacciare di suicidarsi e tale minaccia può essere tradotta come "ora ti faccio vedere io!". La difficoltà principale di chi soffre di tale disturbo nasce dall’incapacità di comprendere il comportamento degli altri provando empatia. La mancanza di compartecipazione affettiva unita all’egocentrismo si unisce a uno stile comportamentale teatrale e “isterico”, non a caso la persona tende a esternare questioni personali come se fossero di grande interesse generale, ma le argomentazioni restano molto personalistiche. Il rapporto interpersonale risente di questo ed è dominato da un sentimento ambivalente di sudditanza o dominio. Le difese utilizzate sono prevalentemente la proiezione e la scissione che è la principale responsabile della “siderazione affettiva” e quindi della mancanza di empatia. Ciò fa si che il parere dell’altro venga svalorizzato e sottoposto ad una critica assolutistica, che non è sostenuta da una serena valutazione o da una messa a confronto; anzi, di solito la persona lancia la sua “frase fatta” come se fosse “verità assoluta” e chiude le porte al dialogo. Ora, dal punto di vista psicoterapico, la risoluzione del problema nasce sempre dalla motivazione della persona al cambiamento, in assenza della quale ogni tentativo di intervento è destinato a fallire. Intanto, lo psicoterapeuta deve evitare di spiegare alla persona che i suoi comportamenti non sono sani, perché ciò genererebbe intensa rabbia e una sensazione di incomprensione che alimenterebbe i tratti paranoidi. Patologia che è una parola composta da Pathos e Logos, dovrebbe descrivere un discorso sulla sofferenza. Non significa “malattia”, e cioè una condizione di alterazione delle funzioni di un organismo, anzi è la sofferenza che si pone come “veicolo di consapevolezza” mettendoci, inesorabilmente, di fronte a noi stessi, “dolenti” ma vivi. Psicopatologia significa discorso sul senso simbolico della sofferenza dell’anima: si soffre per una causa, di cui conosciamo soltanto ciò che appare: il sintomo. Ed è proprio il sintomo che ci “guida” al ritrovamento di un equilibrio smarrito, segnalandoci quel punto preciso da cui partire. È il segnale che lì c’è “qualcosa” da scoprire, che ci chiama. Di solito, il rapporto terapeutico inizia con l’idea che il terapeuta sia perfetto, affidabile, disponibile, buono. Ma è sufficiente una critica o una disattenzione, perché venga catalogato subito nel modo opposto e cioè minaccioso e ingannevole. In questi momenti il paziente si sente fragile perché è esposto ad un mondo minaccioso e reagisce tentando di sottomettere l’altro. Naturalmente ogni caso è unico e non si può generalizzare. Comunque, va anche detto che sottomettere una persona è un processo difficile da eseguire perché ognuno di noi ha una struttura della personalità con le sue difese. Spesso la manipolazione fallisce miseramente perché il manipolatore non è sufficientemente abile nell’attuarla e la vittima non è poi così ingenua o sciocca. Anche il manipolatore più furbo può essere smascherato. E comunque, come psicologo e psicoterapeuta io credo che non esistano persecutori, carnefici o mostri, ma credo che esistano solo persone che soffrono per infiniti motivi e noi dobbiamo comprenderne le ragioni e vedere quello che possiamo fare per aiutarle. Ma questo aiuto avviene in una relazione. Fare diagnosi e classificare può servire inizialmente ad inquadrare, ma poi bisogna andare oltre la diagnosi per scoprire le potenzialità inespresse della persona che ci sta difronte. Il compito della psicoterapia è quello di creare un clima di ascolto empatico, nel quale la persona si senta accolta, capita, non giudicata, incoraggiata a fidarsi. Bisogna ricordare – come dice Jung – che non si può concepire un trattamento universale. La psicoterapia è un’arte e come tale richiede tutta la sensibilità del professionista, che deve saper venire incontro al “non-voler-sapere” del suo paziente, tenendo conto che a suo tempo quello stesso non voler sapere lo riguardò personalmente; deve saper tacere e all’occorrenza parlare, tollera la menzogna momentanea che il paziente si ripete, leggendovi un desiderio inconscio, senza mai operare con distacco, freddezza, ma senza perdere il suo stesso equilibrio, deve possedere una profondità di sguardo consapevole della fragilità umana, della propria caducità e insufficienza, ma che sa valorizzare le potenzialità dell’altro, sottraendosi però a un rovinoso senso di superiorità. Sa che il fattore curativo per eccellenza è l’amore in senso lato, come atteggiamento dell’anima che ci rende vulnerabili ma esposti alla vita. Ecco, lo psicoterapeuta deve essere per il paziente un esempio vivente del fatto che c’è di meglio della droga, dell’alcol, del sesso fine a se stesso, della manipolazione, del potere sull’altro: c’è di meglio. E allora prendiamoci il meglio, questa è la straordinarietà della vita. Delle piccole cose che diventano belle. Per farle diventare belle le devi guardare con gli occhi del cuore, così come la follia va un po’ amata, altrimenti non la comprendi. (Sintesi dei tre video: "Borderline, Don Giovanni, Narcisismo". Roberto Ruga
09/11/13 - 09:32 - Antonio P. (Venezia) 
Lezione di una chiarezza dirompente e un carico di verità devastante.
13/09/13 - 13:40 - Carlo E. (Bologna) 
Eccellente panoramica sulle teorie psicoanalitiche. Magnifica esposizione. Non è un discorso per tutti, ma apprezzabile da tutti.
26/08/13 - 14:40 - Luigi Callieri 
Discorso di ampio respiro, che spazia dalla psicologia analitica junghiana alla psicoanalisi freudiana, passando per autori diversi, con un taglio sempre critico e infarcito di originali sintesi. La comunicazione appare efficace, nonchè gradevole, in grado di suscitare interesse e coinvolgimento. Veramente un grande ammaliatore culturale, che sa infondere ricchezza e profondità di contenuto. Complimenti!

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