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Roberto Ruga presenta Aldo Carotenuto a Vibo (7)




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07/10/10 - 08:54 - Umberto Galli 
A oltre un secolo di distanza dalla nascita della psicoanalisi è ormai convinzione comune che occorra un ripensamento del cosiddetto “caso clinico”, sul quale a volte mostriamo troppo facili certezze. Si tratta, soprattutto, di riconoscere a questo genere di racconti la loro dignità di evento storico, sottraendoli ai ricorrenti rischi della retorica celebrativa o alle strumentalizzazioni di parte spesso riduttive e liquidatorie. Il libro essendo un caso clinico alla rovescia, dove è il paziente-psicologo a psicanalizzare il proprio psicanalista, affronta temi cruciali legati al transfert e al controtransfert, introducendo diverse novità interpretative in grado di coglierne tutte le sfumature e di attraversare orizzontalmente una realtà psicologica di estrema complessità. Gli argomenti presi in esame – tra i quali l’eredità del “Maestro” con annesse fedeltà e tradimenti, il valore fondante della scelta individuativa, l’utopia e la realtà “umna” del rapporto psicoterapico – ci costringono a riflettere su alcune questioni brucianti e sempre attuali, prima fra tutte quella del rapporto tra la psicoterapia e l’etica nella vicenda storica di un caso clinico che ormai è patrimonio della letteratura psicoanalitica. Attraverso una raffinata esposizione l’Autore mette a fuoco le strategie terapeutiche di un grande psicoanalista. Il fatto è che nel momento in cui lo fa, si pone al di sopra e al di là del Maestro stesso; un’operazione che sembra riuscirgli perfettamente, andando egli oltre il principio di causalità che sta alla base della nostra concezione della regolarità delle leggi di natura. Ruga dimostra come in ambito psichico il rapporto tra causa ed effetto abbia solo una validità statistica e relativa. Ne consegue che il legame tra eventi è in certe circostanze di natura diversa da quella causale ed esige un diverso principio interpretativo che rappresenta uno degli aspetti più originali e difficili del testo. Ruga ne fornisce diversi esempi e ci indica concretamente come a differenza della causalità, la sincronicità si dimostra un fenomeno connesso principalmente con processi che si svolgono nell’inconscio, dove spazio e tempo sembrano relativi. Ne nasce la possibilità di percepire e “conoscere” eventi “paralleli” che l’Autore coglie con estremo acume e una illuminante capacità introspettiva degna di una personale tecnica d’avanguardia. Del resto, avanguardia non significa soltanto rottura con il passato, ma soprattutto rinnovamento. In questo piccolo quanto prezioso libro troverete un encomiabile sforzo di confronto teorico e tecnico al più alto livello. A volte capita però che un testo anticipi troppo i tempi e necessiti quindi di un periodo di “incubazione” forzata per dare alla luce i suoi frutti preziosi ed essere infine riconosciuto come immortale. Detto questo, il libro resta particolarmente appetibile per quanti, più che all'opera e alla controversa personalità del famoso Psicoanalista Aldo Carotenuto – del quale Ruga traccia un ritratto imprevedibile, molto più sfaccettato e complesso di quanto una certa “agiografia” lascerebbe supporre - sono interessati ai meccanismi della psicoanalisi. Un chiaroscuro dove non mancano zone d'ambiguità, che con il proprio sguardo geniale e una sensibilità artistica l’Autore padroneggia fino a ribaltarne il senso. Viene passato in rassegna una sorta di “dossier delle stranezze” con realismo critico e plausibile ottimismo. La prospettiva proposta da Ruga è condensabile nella celeberrima frase “Sottile è il Signore, ma non malizioso.” che Einstein spiegava dicendo come la Natura nasconde i suoi segreti non perché ci inganni, ma perché è essenzialmente sublime nella superiore armonia, fatta di semplicità, delle leggi in cui risiede la spiegazione ultima della complessità del reale. La chiarezza e l'organicità di pensiero di Roberto Ruga conferiscono un pregio particolare e un particolare valore sistematico a una trattazione complessa, che va ben oltre un corso di lezioni universitarie. Queste pagine, destinate a divenire un classico della letteratura psicoanalitica, dall'impronta decisamente divulgativa seppure a un livello molto sofisticato, sono rivolte a far conoscere più largamente i concetti fondamentali della psicoanalisi, rappresentando un'autentica cultura psicologica fondata su conoscenze di prima mano.
07/10/10 - 08:47 - Fabio De Luca 
Questo intenso e poetico saggio, a mio avviso nasce da un filo conduttore che attraversa tutte le pagine: la figura della lontananza, molto spesso accolta e interrogata dalla letteratura e dalle altre arti. Ruga ci mostra come la lontananza della memoria, del ricordo di un evento significativo debba attualizzarsi, prima di essere lasciata andare definitivamente. Così, per un breve lasso di tempo, la lontananza attraverso la scrittura diviene prossima, transitabile. A ben vedere, la stessa tecnica del nostro tempo, la tecnica oggi trionfante, è la tecnica del lontano. Tutto quel che è lontano – isole, deserti, città, avvenimenti, paesaggi, costumi di ignote popolazioni – viene oggi verso di noi, bruciando il tempo e lo spazio della lontananza. Si fa, per così dire, contemporaneo, si fa superficie, schermo, suono. Questo sub specie psicologica è ciò che nel testo diventa il qui e ora, offerto allo sguardo, all’ascolto. In questa profonda riflessione sul tema, Ruga invita a non sopprimere la lontananza e lo fa attraverso la narrazione, l’analisi e l’interpretazione, che tengono aperto lo spazio dell’elaborazione immaginativa e meditativa di colui che legge, di colui che osserva. Per questo il libro è un po’ magico, implacabile nel fornire ricordi e nel colmare l’assenza - costantemente presente - nella storia di questa struggente psicoterapia. Ruga sa guardare fino in fondo dentro la paura, il terrore, la rassegnazione, l’abbandono. Alla fine giunge il tempo della rinascita, dell’affrancamento e della salvezza. Questo piccolo capolavoro è come un quadro, una statua, un monumento architettonico: difficile spiegarlo a parole senza chiedersi prima che tipo di torsione imprimerebbe sulla pagina la soggettività del critico. Mi chiedo in che modo, in questo caso, la scrittura gareggi con l’oggetto descritto, o, in altri termini, ne sia l’equivalenza immaginativa. A quali procedure retoriche e risorse stilistiche attinge la descrizione delle innumerevoli rivelatorie interpretazioni presenti nel libro? Un interrogativo, questo, a cui si può rispondere con la postulazione di ineffabilità di Ludwig Wittgenstein, secondo cui «in arte è difficile dire qualcosa che sia altrettanto buono del non dire niente», fino a considerare la negazione della possibilità stessa di una visione impregiudicata da parte di Heinrich Wölfflin («Non si può descrivere la forma senza farvi già confluire giudizi qualitativi»), o, approdando al concetto di sospetto di Gianfranco Contini potremmo concludere «che critica figurativa e critica letteraria non siano che applicazioni di una legislazione comune». Sta di fatto che Ruga si dimostra un virtuoso e geniale interprete di questa affascinante disciplina che è la psicoanalisi, con le sue zone d’ombra e i suoi sconfinati e promettenti orizzonti. Promettenti sono anche le domande che l’Autore si pone, insinuandole negli scarti tra il progetto originario di una costruzione narrativa fedele al caso clinico raccontato e i suoi esiti spesso imprevisti dovuti ad una estemporaneità creativa dilagante. Il libro di Ruga si rivela un’occasione inedita di confronto e di incontro con un artista dotato di una sensibilità fuori dal comune, inquieta e acutissima, che si offre a noi in tutta la sua radiosa creatività, regalandoci indimenticabili pagine sospese tra evento storico e aneddoto, che fanno di questo saggio uno dei più rivoluzionari e più ambiziosi viaggi interiori, condotto all’insegna di un’esigenza di verità e di lucidità, che sfocia in una toccante ed eroica rinascita psicologica.
04/10/10 - 09:06 - F. Locatelli (Bergamo) 
La lettura di “Aldo Carotenuto, psicologia di uno psicoterapeuta” mi ha suscitato forti emozioni. Intanto è la prima volta che mi capita di leggere la storia di una psicoterapia, raccontata dallo stesso paziente con gli occhi dello psicoterapeuta. Ma non è solo questo, il libro è molto di più: è un testo tecnico, intimo, spietato e al tempo stesso pieno di riconoscenza verso un analista percepito come genitoriale, dal quale ci si deve inevitabilmente distaccare. Difficile mantenere un equilibrio tra questi opposti compiti, accompagnati da altrettanti opposti moti dell’animo: da un lato la riconoscenza e dall’altro l’esigenza di chiudere una storia e seppellire qualcuno o qualcosa. Ruga riesce in questa complessa operazione, portata avanti con coraggio e consapevolezza. Ma il testo riserva molte altre sorprese ancora. Le pagine dispiegano ai nostri occhi la testimonianza di una insospettata e stupefacente rivoluzione interiore, che il protagonista si accinge a raccontare attingendo sapientemente ad un ricco mondo di immagini ed emozioni. E’ tra i più lucidi tentativi - filosofici, letterari, artistici – di misurarsi con un compito di enorme portata, affrontato egregiamente, con dedizione e passione. Ruga ci dimostra con dovizia di particolari come all’interno di un setting psicoanalitico l’occhio sia il più prezioso fra gli organi di senso, (non a caso il suo dominio sugli altri ha permesso all’intelletto umano di dar vita alla civiltà). Vedere significa prendere coscienza dell’ambiente: equivale a «sapere», possedere il mondo, dominarlo. In questo illuminante saggio, al centro vi è un nuovo sguardo critico e propulsivo insieme, sulla psicoanalisi stessa vista dal di dentro. Ruga incarna perfettamente l'immagine del pensatore aristocratico e radicale che, nella sua lotta contro l'ordine costituito e la stereotipia culturale, rappresenta la tragicità e l’eroicità del percorso analitico nelle sue espressioni più alte, ma anche più controverse. Non senza un lieto fine. Ruga sembra insomma prefigurare, nel proprio destino di psicoterapeuta e quindi di uomo d'azione, la sconvolgente esperienza di una trasvalutazione dei classici valori psicologici, in vista della costruzione di un Sapere nuovo. E vi riesce. Da queste coraggiose ed eroiche pagine emerge una psicoanalisi ristrutturata e rinvigorita dall’amore stesso verso la Conoscenza e la Verità, che nasce sempre da un travagliato itinerario intellettuale e umano dotato di senso. Un libro questo che è anche un bel libro. Ovvero, un libro bello, non solo per lo stile. La modernità ci ha abituato a pensare la bellezza come realtà fatta di misteriose concordanze, qualcosa di magico e di allusivo. In tal senso, la straordinaria bellezza delle interpretazioni proposte da Ruga può essere posta a fondamento del conoscere e dell'agire psicoterapico, per tornare momentaneamente ad essere dubbio, enigma, fino a riemergere prepotentemente attraverso un linguaggio simbolico, che rimane espressione della creatività ed enunciazione del vero. Nonché di riscatto. Sono felice di accogliere con entusiasmo questo necessario quanto illuminante saggio psicoanalitico che, mi auguro, risveglierà la psicoanalisi dall’attuale torpore.
22/09/10 - 08:20 - Roberto Ruga 
Buongiorno a tutti e grazie. Vi ringrazio per i generosissimi commenti che avete lasciato, rendendo prezioso il sito e parlando sempre molto bene del libro. Nello scriverne la presentazione ho fatto riferimento alla possibilità, da parte del lettore, di una reazione di imbarazzo e disagio, essendo il libro pregno di questioni personali e intime. Questo per me è, naturalmente, un pregio. Infatti, un libro deve “dire”, deve smuovere, deve essere ricco di parole piene, sofferte e liberatrici, dunque creatrici di coscienza. Un libro è come l’aratro che solca e mescola il terreno della nostra psiche rendendolo più fertile, e anche se nel fare ciò, lacera la terra procurandole ferite, noi sappiamo che saranno proprio tali ferite che rimarginandosi col tempo, permetteranno alla terra stessa di donare i suoi preziosi frutti. L’analisi è essenzialmente destrutturazione e ricostruzione, ma è anche altre cose insieme. Di questo insieme di cose interagenti, non sempre intelligibili, ho cercato di parlare, di narrare e di mostrare attraverso una lunga serie di aneddoti, che esprimono in maniera condensata e simbolica, ma a volte estremamente eloquente, la creatività e l’eroicità di un terapeuta costretto a venire a patti, se non a combattere una perenne e spesso fruttuosa battaglia con i propri demoni interiori. Dall’interazione dialettica tra le esigenze reali e contingenti, emergenti nel qui e ora della seduta e la propria pulsante realtà interiore, nasce, nel caso di Aldo Carotenuto, un compromesso creativo unico, che costituisce il valore e l’essenza stessa della sua arte-terapia. L’aspetto artistico, che prende forma, come racconto nel libro, in un aldilà delle sedute, appunto “oltre” la terapia, costituisce il fondamento stesso della terapia eroica di Aldo Carotenuto. La definizione di analisi eroica da me coniata sottende una motivazione inconscia legata alla scelta della professione di analista, basata non solo su di un conto aperto con l’inconscio (idea sostenuta da Carotenuto), ma essenzialmente sull’esigenza di autoaffermazione e di immortalità (tipica di un eroe), che nasce, nel caso specifico, da un complesso di inferiorità terapeuticamente trasformato in continuo opus creativo, in reciproca e continua relazione tra loro. Tra benevole giustificazioni e velate condanne, ho cercato di dare un senso al mio viaggio interiore, in compagnia di un silenzioso personaggio d’eccezione capace di creare per me ed insieme a me una analisi eroica. Eroica perché vi è di scena l’incredibile: l’analista è così intimamente convinto delle potenzialità inespresse del paziente, tanto da riuscire a plasmare la visione che questi ha di se stesso, non con le parole, ma semplicemente con un atto di muta fede. Affinché ci sia un’analisi eroica, è necessario un analista eroico dotato di uno sguardo lungimirante, ma soprattutto scopritore del talento nascosto nell’altro. E’ altresì necessario che l’analista tragga un particolare godimento nello scorgere prima, per poi estrarre dal materiale umano su cui opera, il prezioso elemento creativo (nel senso carotenutiano del termine). L’analista eroico è uno che ha fede estrema nella vittoria, nel trionfo del nascosto, nel risveglio di ciò che è sopito in fondo al paziente, il quale vive necessariamente momenti di stupore e di meraviglia. E’ allora che il terapeuta cavalca quell’ incredulità e contro ogni ragionevole e realistica previsione, crede nell’avvenire di un nuovo e personale progetto del suo paziente: ecco la fede. La condizione di plastica progettualità suscitata nel paziente si coniuga con lo spirito eroico e temerario del terapeuta, dando vita all’inaudito. E’ in questi momenti che il paziente percepisce in pieno un senso di esaltazione, quasi di onnipotenza che fa sembrare ogni impresa come possibile. Ed è così che spesso mi sentivo durante il periodo propulsivo della mia analisi con Aldo Carotenuto, sottoposto ad una accelerazione psichica che nell’arco di un anno, mi ha trascinato prima nella fantasia e poi realmente, in quel mondo fatto di nuove possibilità per la mia giovane psiche in espansione. Ma come spesso accade nei miti, ogni Eroe ha il suo tallone d’ Achille e questo per me costituiva un profondo dispiacere ed allo stesso tempo mi impediva quel completo abbandono della ragione che consente all’ eroe (e all’analizzando) di sfiorare il limite della follia, per conquistare solo dopo, la saggezza. Dissacrante ed irriverente ma anche profondamente onesto e non privo di gratitudine, questo lavoro squarcia un velo sul modo di lavorare di uno psicoartista, che ha fatto – per necessità o per virtù - dell’inaccessibilità e del mistero, alcuni ingredienti essenziali della sua arte terapeutica. Maestro nel catturare il paziente, ma restio nel lasciarlo andare. Artista della fascinazione, ma poco propenso a rendere l’altro libero dal coinvolgimento transferale. Invito il lettore ad addentrarsi, senza esitazione, nel ricco ed affascinante mondo psicologico del protagonista del libro, Aldo Carotenuto, leggendovi in trasparenza la psicologia di chi scrive ed infine, la propria. Affinché ciò sia possibile, è necessario superare la naturale iniziale difficoltà che si presenta quando, dinanzi all’inaspettato, si ha l’istinto di arretrare, fino a che, l’eroe presente in ognuno, prende il sopravvento. E’ solo allora, che il viaggio nei meandri della psiche può avere inizio. A mio avviso, questo libro sarebbe piaciuto ad Aldo Carotenuto, anzi, posso dire che gli è piaciuto nella misura in cui racconta cose, che quasi continuamente erano oggetto di discussione durante le nostre sedute. Ciò poteva accadere perché il Maestro amava circondarsi e frequentare persone talentuose e sincere, che non la pensavano esattamente come lui, a volte lo contestavano, certamente lo stimavano. E lui contraccambiava, gratificava, onorava di incarichi, offriva collaborazioni e soprattutto faceva sentire speciale chi osava essere sincero con lui. Lo premiava. Accanto a lui mi sono sentito speciale e spesso premiato. Era un genio in questo: riusciva a convincerti profondamente del tuo valore, che gli appariva subito chiaro, laddove invece tu, da sempre, vedevi sfuocato. Per esprimere sinteticamente questo concetto ho coniato l’espressione “psicoterapia eroica”, indicando l’intima convinzione dell’analista rispetto alle potenzialità ancora inespresse del paziente. E’ per questo che nonostante le molteplici contraddizioni insite nel modo di fare analisi di Aldo Carotenuto, era pressoché impossibile abbandonare prematuramente il percorso analitico, se non si possedeva almeno una ben strutturata autonomia psicologica, espressa in una solida identità. Nel peggiore dei casi, l’abbandono del percorso analitico, poteva essere l’espressione mascherata di una strategia difensiva, mirante a proteggersi dalla destrutturazione, inevitabile in un percorso analitico che ha come obiettivo la rinascita. Con il mio analista non esistevano compromessi: o si diceva sì al tipo di percorso proposto, con le sue modalità stabilite, le sue strettoie, o si andava via, dunque si abortiva. Ma chi accettava il percorso, certamente accettava l’uomo. E nell’andarsene, lo rifiutava. Per coloro che, come me, hanno detto di sì, il dilemma poteva essere costituito dalla domanda: “per quanto tempo?”. Quanto doveva durare un’analisi ben fatta? La mia risposta suonerà un po’ ruvida, ma solo apparentemente amara: finché non si coglieva una profonda verità, che oserei creativamente identificare come l’assurdità dell’analisi stessa. Ecco perché mi piace dire che questo libro sarebbe piaciuto ad Aldo Carotenuto, in quanto attesta la giusta e “sana” ribellione di un paziente all’assurdità della situazione analitica, dunque il tentativo di un suo superamento e la liberazione dall’invischiamento. E’ un tale atteggiamento creativo, che attesta la riuscita di una (auto?)analisi. In altri termini, quando il paziente si accorge che l’analisi non serve a guarire, ma a far ammalale e, per giunta, ha l’impressione che non venga fatto nulla dall’analista per risolvere il nuovo problema insito e congenito alla stessa situazione psicoanalitica -la cosiddetta nevrosi da transfert- allora, paradossalmente, vuol dire che è finalmente “guarito” e che l’analisi può concludersi. Aldo Carotenuto è stato un abilissimo creatore di nevrosi da transfert. Ogni suo comportamento, a mio avviso, era mirato a fabbricare, mattone dopo mattone, l’edificio complesso di questa nuova nevrosi artificiale sapientemente indotta. Perché? La risposta si evince da ciò che Freud e Jung scrissero su questa particolare condizione del paziente. I due giganti della psicoanalisi ne parlarono cautamente, utilizzando “note” a piè pagina e non paragrafi, titoli altisonanti o libri dedicati al tema (La psicologia del transfert di Jung resta uno dei libri più difficili, soprattutto per l’inapplicabilità clinica dei concetti espressi); come se dovessero sussurrare questa profonda verità, per paura che il “segreto” si diffondesse tra chi doveva necessariamente restarne ignaro: il paziente. Aldo Carotenuto ha analizzato soprattutto studenti di psicologia, e questo fatto creava una curiosa situazione: la terapia poneva l’essere ignari del “segreto”, come condizione stessa per la sua riuscita. Ma, ovviamente, prima o poi, uno studente (magari modello) viene in possesso del segreto. E allora che succede? Che succede quando chi dovrebbe essere ignaro, sa? Beh, si fanno le cose ad arte, si confondono le idee. Il principio guida resta sempre quello: ogni guarigione passa necessariamente attraverso la nevrosi da transfert. Dunque, tocca al terapeuta provocarla, suscitarla e fomentarla, farla esplodere nel paziente e utilizzare questa esplosione per accedere ai nuclei più riposti e profondi dell’essere. E dopo che succede? Se dovessi rispondere con la mia esperienza di paziente, direi che Aldo Carotenuto mi ha lasciato tutto il tempo per elaborare e superare da me la mia nevrosi da transfert, limitandosi (e non è poco) a restare accanto a me. Silenziosamente vicino. Ma credo che in questo passaggio, si celi il tallone d’Achille della psicoanalisi. Infatti, già Ferenczi, lamentava a Freud di non aver analizzato il suo transfert negativo. Dobbiamo dedurre che Freud non manteneva ciò che nei suoi scritti prometteva? O, semplicemente, che non sapesse analizzare il transfert negativo? In ogni caso, non sembra si sia comportato in maniera freudiana. E ciò varrebbe anche per Carotenuto, abilissimo, ora nel gratificare l’Io del paziente, ora nel mortificarlo. Certo, sappiamo che la mortificazione dell’Io è un passaggio necessario a quella discesa-morte-rinascita, che rappresenta il percorso analitico, a patto però che ci sia una finale elaborazione-risoluzione. Ma ciò non avvenne, né nel caso di Ferenczi, né nel mio. Il percorso freudiano e quello carotenutiano sembrano in questo simili, il secondo l’imitazione del primo. Dunque, niente di veramente innovativo all’orizzonte del nuovo millennio. Non credo di esagerare nel dire che il futuro della psicoanalisi si gioca sulla delicata questione di come gestire, analizzare e risolvere una nevrosi da transfert. Se ci sarà qualche promettente psicologo disposto ad immaginare la continuazione e l’evoluzione del discorso, a partire da quelle minute note di Freud e Jung, allora avrà un senso parlare di “nuova” psicoanalisi. E solo da questo punto di vista Aldo Carotenuto farebbe parte della “vecchia” psicoanalisi, quella che si è fermata di fronte alla nevrosi da transfert, affidandone l’elaborazione al solo paziente (per questo anche lui eroico?). Finendo l’analisi, senza terminarla. Sarà forse, che il paziente di un analista eroico se la sa cavare da solo con la sua nevrosi da transfert? Così è stato per me e questa è la mia personale verità sull’analista Aldo Carotenuto: un genio che nonostante avesse una parte “mostruosa” albergante in sé, non solo non la nascondeva ma coraggiosamente riusciva sovente ad addomesticarla, e, dandoti l’esempio di persona, ti conduceva, “deo concedente” (come egli stesso amava dire), a confrontarti e a dialogare col tuo demone, regalandoti la rara quanto preziosa convinzione di potertelo permettere. A te veniva solo richiesto di tollerare (un’apparente?) solitudine. Eroicamente, certo. Non so quanti pazienti abbia analizzato nella sua vita Carotenuto, e non posso sapere quante analisi possano considerarsi riuscite oppure no. Posso solo parlare della mia. Lascio al lettore la mia impressione sulla riuscita terapeutica di un percorso enigmatico quanto affascinante che è stato il mio. Ripensando a quel percorso, mi nasce spontanea una domanda: cosa vorrebbe un buon genitore per i propri figli? Una vita felice, al riparo dal dolore. Ma, sappiamo tutti che ciò non è possibile. Allora un buon genitore vorrebbe che al proprio figlio spettasse la giusta dose di dolore. Il suo dolore, non quello di un altro. Un concetto simile esprimeva Rilke, citato sistematicamente da Carotenuto. Trasliamolo in campo psicoterapeutico: cosa desidera un buon psicoterapeuta per i propri pazienti? Che spetti loro la giusta dose di angoscia. Direi, ad ognuno la sua nevrosi da transfert e non un’altra. Il buon genitore, l’analista, conosce il punto di rottura di ogni anima e si spinge fino al limite della sopportazione, sapendo che più elevato è il rischio, più alta sarà la ricompensa, ovvero la rinascita. La nevrosi da transfert calibrata su misura per ogni paziente, ne smantella l’Io, creando il vuoto fertile, un preludio ad ogni rinascita. Ecco che si va in analisi per sperimentare angoscia sotto controllo, angoscia sperimentale. L’idea non è del tutto nuova, il concetto è già presente, a suo modo, nella Bibbia sottoforma della “messa alla prova” per temprare la fede del figlio di Dio. E di fede si tratta in analisi. Emblematica è la storiella del fedele che passeggia con Gesù in riva al mare. Voltatosi indietro, nell’osservare le orme sulla sabbia, il fedele nota che da un certo punto in poi, non sono più doppie. Pensa allora di essere stato abbandonato dal Maestro nei frangenti in cui aveva più bisogno di lui. Ma questi gli rivela che proprio in quei momenti gli è stato più vicino, portandolo in braccio. Chissà, che non sia questa, una visione plausibile del senso di solitudine sperimentato dal paziente in analisi? “Perché il miracolo della trasformazione sia possibile e la ferita, spina dolente confitta nell’anima, possa, da tenebra ed oscurità, schiarirsi ed irradiare luce, è necessario un atto d’amore ed in ultima analisi, di dedizione”, cioè di fede. Come paziente, posso dire di aver avuto molta fede e dedizione. Dunque, alla fine sono rinato? Me lo chiedevo allora e me lo chiedo adesso. Ma per rispondere a questa domanda, bisognava capire che rinascere significava dare non solo un senso alla mia esperienza passata, ma anche, e di conseguenza, dotare di significato il mio percorso terapeutico. Mi sono proposto di farlo attraverso la stesura di questo lavoro, che mi ha aiutato a focalizzare e definire l’Ombra di un analista, che allora, quando ero troppo giovane, non potevo scorgere, mentre vedevo solo, in una logica divinatoria, un superuomo il cui comportamento non poteva essere vincolato dai suoi limiti. Vedere tali limiti e apprezzare come, a volte, nei momenti di “ispirazione”, un “Uomo” riusciva a superarli, mi ha dato una illuminante e liberatoria consapevolezza: che il divino stava diventando finalmente umano. Solo questo pensiero mi regala oggi, un senso di appagamento per le “aperte questioni” riguardanti anche, e non solo, la mia non risolta nevrosi da transfert, donandomi infine, la serenità che in taluni casi è possibile. Dunque, me lo richiedo una seconda volta: sono rinato? E con questo dubbio “rughiano” vi lascio, cari lettori, augurandovi un viaggio psicologico, ricco di emozioni come il mio, che, nonostante tutto, rifarei.
21/09/10 - 20:29 - U. Rossi - Milano 
Un libro entusiasmante per diverse ragioni, impossibili da affrontare in questo spazio. E’ il racconto di un viaggio struggente ed eroico, nel quale la memoria dei ricordi assurge a spinta propulsiva e progettuale verso il riscatto da una dimensione di dipendenza e l’affermazione – eroica appunto – di una agognata autonomia psicologica. Necessariamente chiarificatrici e molto attente alla reazione del lettore la presentazione e l’introduzione al libro, che offrono le giuste chiavi di lettura per accostarsi ad un materiale facilmente travisabile e deformabile sotto la spinta complessuale ed individuale dei moti interiori del fruitore-lettore. Ogni parola contenuta nel libro è come un tassello fissato su una parete impervia e irta di difficoltà, le quali, inizialmente si presentano come umanamente insuperabili, ma si sciolgono letteralmente alla luce di una analisi accurata, piena e profonda che riserva entusiasmanti sorprese, innalzando la “vittima” ad eroe. Le “note dolenti” di un agire psicoterapico alquanto controverso, divengono nel racconto partorito dalle mani sapienti di una penna creativa, quelle dolci dissonanze che creano una composizione futuristica dall’armonia indefinita e “aperta”: il merito forse più grande del libro, poiché lo proietta verso il futuro della psicoanalisi. Equilibrate e ponderate le conclusioni dalle quali traspare evidente il desiderio di chiudere un discorso sospeso, nei limiti del lecito e per quanto la psiche stessa lo consenta. I deliziosi aneddoti, raccontati con uno stile accattivante affascinano per i loro risvolti psicologici amplificati da interpretazioni sconvolgenti, che ammaliano il pensiero e lo costringono ad una sorta di torsione del senso comune, in favore di illuminanti insight elargiti senza risparmio, in un vorticoso crescendo tra raffinati ragionamenti, ardite analisi e argomentate deduzioni. In un tale turbinio di acute supposizioni, originali riflessioni, innovative idee, folgoranti intuizioni, istintivi presentimenti e quant’altro, il prodotto finale diviene opera d’arte per una inconfutabile ragione da ascriversi alla massiccia presenza della componente sentimento, della quale il libro è intriso. L’unione compatta tra la dimensione sentimentale “viva” e una dimensione razionale, fa di questo testo un piccolo capolavoro di rara audacia intellettuale e profonda onestà didattica, nonché un particolarissimo romanzo sentimentale, supportato da un rigore e una lucidità tipiche dei migliori testi scientifici. Vive congratulazioni.
21/09/10 - 20:19 - Luciano Sanna 
Piccolo quanto prezioso Saggio che mette in scena i profondi moti dell’animo di un paziente e del suo psicoterapeuta, nella ricerca e nell’affermazione della propria individualità. La narrazione procede inesorabile, originandosi da un intimo percorso di tormento interiore, che diviene presto occasione di comprensione e di trasformazione interiore. La natura dell’animo umano viene svelata nei suoi aspetti più ambigui ed estremi, mentre il giudizio si mantiene sempre in bilico fra Male e Bene, laddove il Bene è il significato terapeutico attribuito agli eventi. Tale attribuzione di senso costituisce in definitiva la morale dei numerosi, istruttivi e gustosi aneddoti nei quali Giusto e Sbagliato, Dubbio e Fede nell’Altro vengono spinti all’estremo, in un apparente caos che l’Autore riesce a superare con geniale sintesi analitica, dando un senso al proprio tormentato ma necessario e fortunato percorso. Per certi versi è la storia di un ideale paziente, che nonostante tutto giustifica e infine salva il proprio psicoterapeuta, accettandone la contraddittorietà, anzi, rendendola terapeutica. L’opera non scioglie i dilemmi dell’animo umano né della psicoterapia, ma li mette a nudo con sconcertante acume e spirito critico stimolando fondamentali domande. Del resto non ci sembra che la letteratura debba dare spiegazioni o soluzioni ma piuttosto analizzare e rappresentare, così da aumentare implicitamente la conoscenza di sé. Non aspettiamoci formule da applicare o ricette da seguire. Non ci sono mai risposte ma solo nuove domande. Le domande che troverete in questo meraviglioso e sconvolgente Saggio psicologico devono far parte del bagaglio culturale di ogni bravo psicoterapeuta che voglia portare avanti gli sviluppi di questo sapere che auspica di renderci migliori. Roberto Ruga riesce a mostrare quante alternative e possibilità ha ognuno di noi per rinascere psicologicamente e trovare una pace interiore che non sia solo fittizia. E questo può avvenire solo grazie alla conoscenza, alla critica e consapevole messa in discussione dei Valori e delle esperienze che arricchiscono ogni essere umano, solo se questi riesce a dotarle di significato. Il racconto presenta un registro molto originale che unisce narrazione e meditazione, un compendio dell’inquietudine, dell’ansia di ricerca di se stessi, dell’orgoglio di divenire individuo. Ciò che trasmette questo libro non è solo un insegnamento morale, ma una lezione di vita su come giudicare per essere giudicati, su come cercare la conoscenza e su come anche il più puro degli uomini si possa ritrovare nel peccato. Nei momenti di massima tensione introspettiva la prosa diviene ricercata e, impreziosita da termini forbiti, riesce a donare al testo una musicalità incantatrice che sostiene la sfrontata superbia delle penetranti e folgoranti interpretazioni, che si muovono armonicamente a delineare il profilo psicologico di un maestro della psicoterapia, psicoanalizzato dal proprio geniale allievo-paziente. Un lavoro imprescindibile per chi voglia accostarsi alla psicoterapia.
21/09/10 - 17:21 - S. Grasso 
Inizialmente leggevo incuriosito, per capire. Poi ho capito che non dovevo capire ma comprendere. Questo è un libro che va sentito intimamente. Pagina dopo pagina si ha l’onore di entrare in un mondo particolarissimo, intimo e verginale insieme. La lettura presto cattura fino a produrre la sensazione di poter sondare temi ed elementi eterni, che travalicano il contingente. Un indiscusso merito del libro è quello di operare un cambiamento interiore nel lettore. Le grandi opere d’arte ci attraversano come venti di tempesta, spalancando le porte delle nostre percezioni e investendo l’architettura delle nostre convinzioni con la loro potenza trasformatrice. Nel momento in cui deponiamo questo libro, non siamo più quelli che eravamo prima di leggerlo. Scorrendo le pagine, ogni previsione che il lettore può costruire su fatti e accadimenti si dimostra vana, per cui ci si trova piacevolmente spiazzati di continuo. Uno dei temi dominanti è la ricerca della libertà interiore, dell’indipendenza attraverso la presa di coscienza della Verità, che emerge grazie ad una imponente fedeltà ai particolari, nel senso di una inesorabile registrazione di tutti gli innumerevoli dettagli, gesti o pensieri, che si accumulano fino al momento dell’interpretazione chiarificatrice e liberatoria. Quasi sempre l’Autore procede utilizzando un suo schema narrativo che si dimostra molto efficace: facendo un esempio, nell’aneddoto “analisi del sedere” il racconto parte dalla descrizione di una scena e dunque di un’azione da cui scaturisce un evento vissuto come drammatico dal quale irrompe la verità attraverso l’acuta e impietosa analisi. La legge che governa la composizione è quella della massima energia, liberata in una porzione spazio-temporale il più limitata possibile; infatti, l’azione ha luogo sempre nell’arco di pochi istanti densi di significatività, colti ad arte. Tentare un’analisi testuale è impresa ardua poiché richiede diverse competenze, ma di certo non si può rimanere indifferenti davanti ad una lettura di questo tipo, non tanto per l’eleganza espositiva, insita nel modo di raccontare i fatti, ma per la profondità e la saggezza insite nei pensieri, enunciati con estrema precisione e intenso sentire. Una acuta perspicacia pervade tutto il testo, animato dall'inesorabile impeto verso la conoscenza, una vera e propria passione inarrestabile, trasformata in strumento di elevata maestria e accesa destrezza immaginativa, sostenuta da somme capacità di ragionamento e di pensiero. Il fortunato lettore si trova presto immerso in un mondo interiore nel quale una Dostoevskijana “confessione senza ritegno” diventa manifesto di una psicologia del denudamento, spinta all’estremo da una appassionata ricerca sull’animo umano, eroicamente condotta oltre ogni limite. Anzi, che non conosce limite, conferendo alla verità raggiunta il carattere della sfrontatezza. Un libro da non perdere. S. Grasso
21/09/10 - 10:05 - R. Giuliani (Roma) 
Racconta le frustrazioni e le sofferenze, le ambizioni e le ribellioni di un paziente divenuto poi psicoterapeuta, il quale riesce con raffinata arte interpretativa a rappresentare gli aspetti ombra, inquietanti e angoscianti, del proprio psicoterapeuta, fino ad imprimere una svolta nella psicoterapia stessa. Dalla abilissima penna dell’Autore scaturisce un racconto intersoggettivo dal compito smisurato di psicoanalizzare se stesso e il proprio psicoterapeuta, portato avanti con dedizione, coraggio, sfrontatezza e audacia intellettuale. Il protagonista incarna il superuomo nicciano che afferma un nuovo sistema di valori, cui la psicoanalisi dovrebbe aderire. L’accurata analisi dei numerosi aneddoti, molto elegante ed avvincente, rapisce il lettore esigendone una concentrazione totale e portandolo in seguito a nutrire simpatia verso questo protagonista eroico. Narrazione e saggio psicologico presto si mescolano, per rappresentare il magma contraddittorio e incandescente degli umani travagli interiori alla base dei quali, comunque e nonostante tutto permane un profondo senso di gratitudine verso il Maestro, del quale viene svelata la strategia terapeutica sottostante al suo apparente incomprensibile agire, attraverso una congerie di pensieri che spesso si avvolgono a spirale su se stessi, per sfociare in illuminanti intuizioni, raccontate in uno stile energico e colorito, efficace e limpido, denso di contenuti e lontano dall’anemica precisione dei prodotti standardizzati della narrativa contemporanea. Un libro di confessioni intime, di quelli che ti leggono dentro: 128 pagine struggenti, impreziosite da riflessioni profonde e geniali, capaci di instaurare un rapporto diretto e personale con il lettore, facendolo entrare nelle pieghe più segrete dell’animo umano. Soltanto leggendo tutte le numerosissime, generosissime e inappellabili recensioni cosparse per il sito, si ha un’idea complessiva della forza comunicativa e didattica di questo capolavoro.
21/09/10 - 09:12 - A. Ferrante 
Salve, non ho avuto il piacere di conoscere personalmente Aldo Carotenuto se non come prolifico scrittore di testi esemplari e magnifico oratore. Posso dire che lo ritengo come Lei più volte ripete nel Suo libro un Maestro come pochi. Ho una certa esperienza come psicoterapeuta, tuttavia non mi sono mai imbattuto in un testo singolare come il Suo, del quale ho letto uno dopo l’altro i succulenti capitoli, entrando nelle pieghe più scabrose di una psicoterapia eroica, fatta di geniali interpretazioni da parte del paziente al cospetto di un analista a dir poco controverso. La prima lettura è stata quella di un romanzo scritto da una penna senza dubbio ispirata, la seconda quella di un testo intimamente didattico che mi ha costretto a riflessioni profonde riguardo al mio sapere psicologico nonché alla mia esperienza di paziente, la terza volta, finalmente ho creduto di possederne i concetti chiave e mi sono così ritenuto soddisfatto. A mio avviso il Suo testo lascia un segno indelebile nella letteratura specialistica e apre domande inquietanti sul destino stesso della psicoanalisi, fornendo tuttavia una possibile e originale chiave di lettura della difficoltà più grande: la gestione di quel rapporto interpersonale che è la psicoterapia stessa. Complimenti.
21/09/10 - 08:53 - C. Dossi (Trento) 
Illustre collega, ho appena terminato la lettura del Suo libro e mi devo complimentare ancora una volta per la coraggiosa analisi psicologica che Lei fa di un personaggio che ha segnato una svolta nel panorama culturale psicologico contemporaneo. Le Sue analisi aprono dei varchi profondi non solo nello psichismo di Aldo Carotenuto, ma mettono in evidenza anche i limiti dell’approccio psicoanalitico classico. Trovo molto interessanti le Sue innovative proposte riguardo all’induzione della nevrosi da transfert. La terapia eroica che Lei ha ideato, mi sembra una risposta seria ai molti problemi che riguardano la difficile gestione della relazione analitica. Con stima, C. Dossi.
20/09/10 - 09:21 - S. Ricci (Milano) 
Un libro coraggioso che mette a nudo gli aspetti meno edificanti e insieme sorprendenti di una psicoterapia commentata dallo stesso paziente divenuto a sua volta psicoterapeuta. Spesso si riscontra nello stile di scrittura un gioco letterario basato sulle sottigliezze lessicali. L’Autore riesce a rendere i giochi di parole, in particolare le figure retoriche, dei perfetti strumenti espressivi raffinati e mai fine a se stessi, ma inseriti a creare voluti contrasti tra l’eleganza della convenzione letteraria e i sentimenti autentici del personaggio, sottolineati da stilemi linguistici che evidenziano stati d’animo tutt’altro che giocosi. L’intera opera è da considerarsi anche come libro filosofico colmo di implicazioni meditative, che l’Autore esprime trovando una situazione per lui molto propizia, cui il lettore presto si affeziona, soprattutto grazie al modo compiuto di esprimere le contraddizioni umane, dando voce alle controverse problematiche di un’analisi che si distacca dagli standard correnti. “Psicologia di uno psicoterapeuta” di Roberto Ruga segna una svolta nel panorama della letteratura psicologica, promuovendo un nuovo impulso dell’arte interpretativa e introspettiva, che offre al lettore identificato nel racconto, una esperienza catartica. L’utilizzo di una scrittura poetica sottolineando la grandiosità del tema - le vicissitudini interiori del protagonista -, non si limita al racconto della sua tragedia privata, ma va a riconsiderare gli assunti stessi dell’agire psicoterapico. E’ indubbiamente un libro per un pubblico aristocratico. A volte le parole sembrano danzare, raffigurando immagini istantanee: è questa la forza dello stile poetico e della sua rapidità e concisione. Progressivamente si assiste ad una sorta di lungo e laborioso travaso dell’anima stessa nella pagina scritta, motivo per cui il protagonista diventa uno di noi: egli è stato visto, immaginato, sentito e vissuto con l’occhio della coscienza che diviene consapevolezza della vera umana natura, affermata poeticamente nella sua essenza, con l’entusiasmo dello scrittore di razza, la passione e la dedizione di chi riesce ad accogliere la propria ferita sempre aperta, facendola divenire sorgente stessa, nonché parte sottostante del ricamo che la scrittura rappresenta. Dalla lettura se ne esce energizzati e vitalizzati, il coinvolgimento è assicurato, poiché il libro è anche una confessione intima, sostenuta da una vivida immaginazione e da una straordinaria capacità intuitiva tesa verso il più difficile dei delitti: quello del proprio Maestro-Analista. Nel “Faust” Goethe ammise di aver “ucciso il suo eroe per salvare se stesso”. Dall’uccisione simbolica del Maestro, l’Autore trae il massimo giovamento possibile, regalandoci interpretazioni di una limpida genialità, che mirabilmente illustrano il dipanarsi della “matassa esistenziale”, quella che Thomas Mann chiamava “meta sacra”. Raramente ad una tale alta ambizione fanno riscontro gli evidenti risultati raggiunti, come in questo caso.
20/09/10 - 08:27 - Filippo (PD) 
Buongiorno Dr. Ruga, sono uno studente di psicologia nonché Suo grande estimatore. Ho visionato tutti i video trascrivendo i concetti essenziali sempre molto utili per affrontare future materie. Ho comprato il Suo libro (già da tempo) rileggendo più volte alcuni passaggi salienti. Un mio piccolo e modestissimo suggerimento: in alcuni video Lei risulta “troppo bravo”, dall’eloquio spedito e carico di informazioni “pesanti” che richiederebbero più tempo per essere meditate. A volte la troppa bravura dell’oratore può condurre ad una sorta di collasso in chi ascolta perché bombardato di contenuti troppo “alti” per essere assimilati in quel breve tempo. Infatti ho dovuto “sbobinare” alcune Sue lezioni per capirle pienamente. Altri video invece appaiono più “tranquilli” e sono per questo più efficaci. Mi riferisco ad esempio alla presentazione del Suo libro su Aldo Carotenuto a Roma. Un libro che mi ha scosso parecchio data la portata delle considerazioni cliniche che vi sono contenute. Dalla coinvolgente lettura ne sono uscito interdetto, quasi frastornato. Ma mi ha aperto gli occhi su scenari che l’università tende a non percorrere, credo par mancanza di risposte concrete che invece Lei acutamente propone. Moltissime sono le domande e le questioni che il libro solleva, lasciando il lettore relativamente libero di cercare le sue personali risposte. Altre volte la risposta arriva secca, netta come una scure, mossa da una possente forza interpretativa. Nonostante le verità proposte, implacabilmente squarcino gli scabrosi veli di situazioni paradossali quanto controverse, Lei riesce in un’opera di amalgama emotiva del tutto singolare, grazie ad un atteggiamento interiore profondamente ed essenzialmente equilibrato. Lei sta sempre nel mezzo di ogni protendere verso una qualche decisione. Al lettore l’ardua sentenza. Mi piacerebbe avere questo atteggiamento di serena accettazione e lucida rielaborazione di fatti e accadimenti psichici. Un grande saluto in un fiume di complimenti. Filippo.
19/09/10 - 17:04 - Michele Costa 
Un libro di capitale importanza per la letteratura psicoanalitica. Sfrontato e audace, meticoloso e raffinato nell’analizzare ogni dettaglio, dagli sguardi ai gesti, dalle parole ai silenzi; ambizioso e ricco di nuove e ardite idee sulla psicoterapia. Scritto in uno stile accattivante, motivato da una cupidigia intellettuale e analitica che costringe il lettore ad una severa ricognizione e riorganizzazione del suo sapere specialistico, rivisitato alla luce di acute quanto geniali interpretazioni, nate da una capacità artistica di immedesimazione nella realtà che raramente si riscontra in testi didattici. E’ la storia di una terapia che viene analizzata, passata al setaccio, riscritta e riletta compiendo un lungo ed eroico viaggio tra le pieghe più nascoste della psicoanalisi stessa, fino a risalire le vette di una solare e promettente progettualità psicoterapica, resa viva da gustosi aneddoti. Un libro impedibile.
19/09/10 - 16:46 - O. Visentini 
Tanto tempo fa ho conosciuto un uomo che mi ha aperto nuovi orizzonti di pensiero, facendomi progredire dal punto morto in cui mi trovavo, non senza difficoltà, anzi insegnandomi che la difficoltà è il sale della vita. Quell’uomo era Aldo Carotenuto. Ho letto con molto interesse questo libro “inquietante”, ricco di penetranti analisi, che certamente sarebbe piaciuto al Maestro, il quale non si sottraeva mai alle critiche costruttive ed era capace anche di una severa autocritica. Conoscendo il pensiero di Aldo Carotenuto, posso dire che oggi sarebbe molto fiero di Lei e del modo in cui da allievo è divenuto psicologo stimato e affermato, facendo dell’inquietudine stessa un formidabile strumento operativo, grazie al quale i più riposti moti dell’anima vengono scandagliati e svelati. Complimenti e auguri.
18/09/10 - 12:37 - Edoardo 
Libro sorprendente per originalità e carica emozionale. Nel ricamare le suggestive interpretazioni, il pensiero dell’Autore viaggia a velocità vertiginosa, rendendone difficoltosa una assimilazione immediata, che però viene facilitata dalla meticolosa e sapiente concatenazione dei geniali passaggi analitici, che decifrano un universo di significati nascosti. Un libro - per certi versi - da non leggere, ma che vi consiglio vivamente di leggere. Non leggete il libro se non avete una smodata passione per la psicoanalisi, se siete facilmente influenzabili o se possedete poco senso critico, se non amate sia Freud che Jung, se spesso desistete di fronte alla complessità dei concetti o se non siete disposti a farvi stupire. Vi sconsiglio inoltre la lettura se appartenete a quella schiera di persone che ricercano certezze e punti fermi cui aggrapparsi: è un libro per “adulti”. L’Autore tratta con disinvoltura gli argomenti più oscuri e criptici della letteratura psicoanalitica, prendendo a modello psicoterapico la propria esperienza personale di paziente, riletta e reinterpretata con gli occhi del professionista affermato. Dal punto di vista stilistico, viene prediletto un tono diretto, abbastanza essenziale, caratterizzato da periodi piuttosto leggeri, mai troppo lunghi e complessi e da una punteggiatura che pare imitare il respiro di qualcuno che riflette e ragiona tra sé e sé. La scelta lessicale attinge quasi sempre al lessico quotidiano: parole di uso comune, gestite con gusto, consapevolezza ed eleganza, salvo sconfinare a volte in un inevitabile tecnicismo, accompagnato sempre da lucidità espositiva ed argomentativa. E’ un libro da non perdere se si è stati “pazienti” o si sta facendo un percorso di ricerca di sé, a patto di tollerare il peso di una Verità che, come dimostra l’Autore rende “leggeri” e liberi. E’ un libro che lascerà a bocca aperta molti, con l’amaro in bocca alcuni, deliziati i palati più raffinati. Edoardo
18/09/10 - 11:32 - A. Casadei (Rimini) 
Un gran bel libro, indubbiamente. La narrazione frantuma i procedimenti veristi del tempo lineare. Poi, il narratore è lo stesso protagonista e perciò tutto il narrato è rivoluzionato e relativizzato dall'io narrante, il quale è un formidabile ragionatore che scompone impietosamente la realtà, scoprendo il gioco di apparenze e paradossali verità in mezzo alle quali si trova immerso. I fondamenti del realismo narrativo positivista sono rivisitati: questo racconto autobiografico è lo specchio del morire d'ogni certezza dell'uomo nell'uomo e nella realtà; è la rappresentazione della insufficienza della vita senza centro, senza verità, quindi senza scopo e senza valori; è l'espressione di una concezione del mondo in cui il reale esterno all'uomo e l'uomo medesimo, non hanno alcuna consistenza propria e sono sempre in balìa dell'io che conosce, ragiona, analizza e interpreta. L'uomo e il mondo, quindi, ne escono disgregati: è una narrativa che fa agire i “fantasmi” di pirandelliana memoria. Ma qui è diverso: il furore logico è indispensabile, coerente con il disegno di un uomo che deve frantumare gli argini di una solidissima realtà convenzionale e solo ripetendosi mille volte i fondamenti della sua sconcertante scoperta può convincersene, dimostrando come la consapevolezza della parzialità dei giudizi del singolo, sia la via per superare la chiusura della soggettività, che apre a una vera e propria "pietas", rappresentazione del supremo tentativo di uno spirito critico, che ha acquistato la consapevolezza piena. Il racconto è percorso da una sotterranea ma discernibile ansia di sincerità, di purezza e autenticità ed è un'elegia della verità perduta, che vuole essere sostituita dalla consapevolezza di una verità forgiata a propria immagine, frutto di un degno ed eroico percorso intrapsichico, che libera l’Autore-protagonista dall’orrore della propria amara scoperta, riconsiderata – appunto attraverso un gesto eroico - in occasione maturativa ed evolutiva. Un libro toccante che contiene numerose gemme di interpretazioni geniali quanto sconvolgenti. A. Casadei (Rimini)
18/09/10 - 10:53 - O. Di Fazio (Roma) 
E’ un libro in cui si sperimenta un nuovo stile di analisi introspettiva, che si interessa all’interiorità e ai processi mentali in modo originale e sostanzialmente nuovo. L’esplorazione viene portata avanti attraverso una sorta di “stream of consciousness” che investe la comunicazione irrazionale, riordinata attraverso una nuova logica. La tecnica di scrittura si avvale dell’uso di “flash back”, di similitudini e metafore e di una particolare punteggiatura. Il metodo utilizzato per tradurre in parole il flusso di coscienza è il monologo interiore che però non disdegna i passaggi logici, la sintassi formale e la punteggiatura convenzionale, proprio per riflettere la sequenza caotica dei pensieri in un raffinato prodotto finale. L’Autore percorre una accurata ed acuta riflessione sulla propria psicoterapia, scardinandone paradossi e contraddizioni. Nel racconto che ne scaturisce, i confini fra “dentro” e “fuori” si fanno sottili, le descrizioni sono dettagliate e allusive, i particolari descritti con estrema cura e sempre “psicologizzati” in maniera maestrale. E’ un libro difficile da comprendere per le continue tensioni e torsioni cui l’intelletto viene sottoposto: un training mentale severo che non ammette distrazioni o mancanze da parte del lettore. In questo senso è un libro per pochi, ma che comunque regala anche a chi non è del campo, la sensazione di una gradevole e appassionante lettura. Il racconto non si esaurisce nella storia di un percorso personale, ma diventa prepotentemente una “summa” di ragionamenti induttivi, deduttivi e analitici, che penetrano la psiche e svelano gli intenti e i metodi di un famoso psicoanalista italiano all’opera, del quale Roberto Ruga fa una sapiente e originale analisi, mettendo in evidenza le zone oscure della psicoterapia stessa, attraverso dei particolari momenti di intuizione improvvisa, in cui un’esperienza sepolta nella mente sale in superficie, riportando tutti i suoi dettagli e tutte le sue emozioni. La scrittura, servendosi di continue allusioni diviene caleidoscopica, sempre agile ed efficace, capace di cogliere gli aspetti più profondi, ambigui e indefinibili della controversa realtà di una seduta psicoterapica, fino a riprodurne con sapienti pennellate la proverbiale ineffabilità, insieme all’incoerenza del linguaggio dell’inconscio. Come possiamo sopravvivere all’amarezza della vita? E’ questo il quesito finale che al di là di ogni contingenza l’Autore pone a se stesso e ai lettori. In questo meraviglioso esempio di autobiografia, a mio avviso Roberto Ruga vuole comunicare diversi messaggi: la frustrazione, la perdita, il lutto, il sogno che diventa realtà e il desiderio che è soddisfatto quando ormai ha perso di importanza. Ogni pensiero sembra ispirato da un momento di genuina commozione, resa possibile solo quando un tessuto ricco di immagini e ricordi, un’intuizione improvvisa, il cuore e la mente si fondono in un istante magico che usiamo chiamare Arte.
18/09/10 - 10:03 - V. Trevisan 
Un’Opera molto intensa e complessa che apre sconvolgenti ed inquietanti scenari sulle modalità del fare terapia, nonostante in sette splendide pagine di presentazione l’Autore spiani la strada al lettore, chiarendo intenti oggettivi e soggettivi. Il materiale psichico fatto di visioni, sogni, riflessioni e analisi viene trattato in modo stupefacente per le ardite evoluzioni di una furia interpretativa che sviscera ogni gesto, toccando il cuore in modo insolito, grazie anche ad uno stile vigoroso e brillante. I frequenti e arditi salti da un tema all’altro non distruggono l’unità organica e lo sviluppo graduale delle idee, portate avanti con eloquente ingegno, in maniera sfrenata, sfrontata, a tratti irriverente, ma sempre acuta e geniale. Il libro si legge letteralmente tutto in una notte. La storia è intimista, molto personale, ricca di sentimento, densa di profondi significati dagli innumerevoli risvolti psicoanalitici sia teorici che tecnici. Centro del libro è il topos del viaggio, considerato strumento di conoscenza di sé e degli altri; ma quello di Roberto Ruga è un viaggio sotterraneo nei meandri dell’animo umano, che traduce e immortala nella scrittura la fugacità di impressioni rarefatte, che approda ad una liberazione dalle regole del realismo psicologico per scendere lentamente in un iniziale precario “attraversamento delle apparenze”, nel cuore delle incertezze dell’essere, fino ad esporne la nuda psiche. Le spietate ed impietose analisi giganteggiano lungo tutto il testo, costringendo il lettore a continui dirottamenti logici che solo una accurata lettura rende consequenziali. Avvicinarsi a queste dimensioni letterarie, richiede un minimo di mezzi culturali, ma anche intellettivi, di cui bisogna dotarsi prima di avventurarsi in una esclusiva lettura tecnica. L’impresa che si prefigge il protagonista – lo stesso Autore – è grandiosa, ambiziosa, intramontabile: quella di psicoanalizzare lo stesso psicoanalista. Chi legge con occhio tradizionalista potrebbe essere preso dall’impulso di gettare il libro fuori dalla finestra, poiché, trascinato negli atroci dilemmi dell’analisi, tutto quello che gli è sempre sembrato ovvio diviene improvvisamente sconosciuto e preoccupante. E’ a questo punto che con sorprendente sagacia intellettuale e fine perspicacia analitica piovono le tamburellanti, illuminanti interpretazioni, accompagnate da commenti e riflessioni che diventano un comodo paracadute sul quale adagiare le numerose e angoscianti domande aperte. Non è un libro per tutti e non è un libro da leggere per passatempo, ma per appassionarsi è necessario – al di là di un accurato bagaglio teorico - aver sofferto ed essersi sentiti, almeno una volta, a terra. Quando conosciamo la disperazione, allora, nel momento in cui, soli e paralizzati in mezzo allo squallore, volgiamo lo sguardo alla vita e non la comprendiamo nella sua splendida, selvaggia crudeltà e non ne vogliamo più sapere, allora, ecco, siamo maturi per la musica di questo terribile e magnifico Saggio psicologico.
18/09/10 - 09:42 - U. Tiralongo (Trapani) 
Un’impresa coraggiosa, di tagliente, profonda introspezione. Chiunque voglia accostarsi allo studio della psicoanalisi, o anche solo rendersi conto di quale radicale mutamento di prospettive essa abbia prodotto nella cultura moderna, non può prescindere dalla lettura di questo libro affascinante e sconvolgente, colmo di geniali intuizioni, che aprono nuovi orizzonti nell’interpretazione e nella comprensione dei fenomeni psichici. L’Autore riesce con indiscussa maestria a sedurre intellettivamente il lettore, portandolo a scoprire il lato meno edificante ma più proficuo, di quella che risulta essere una analisi reciproca tra paziente e analista. Lo stile interpretativo degli accadimenti è talmente innovativo da lasciare disorientati quanto abbagliati. Nel racconto si intrecciano la storia personale dell’Autore, questioni di tecnica psicoanalitica, le sedute di psicoterapia, insieme al particolare rapporto tra terapeuta e Autore/paziente. Ne escono fuori 128 pagine esplosive, da studiare e meditare pazientemente. La lettura suscita subito svariate emozioni. Ci si chiede come possa un paziente onorare così tanto il proprio psicoterapeuta anche quando questi si dimostra ripetutamente distratto, rapito dai suoi pensieri, quasi assente. Ci si interroga riguardo all’apparente assurdità dell’analisi stessa con le sue manovre destrutturanti. Ammirevole resta nel corso di tutto il testo, la capacità dell’Autore di provare gratitudine e riconoscenza. Un sentimento questo, che fa acquistare all’amarezza per le delusioni subite dal paziente un gusto più sopportabile. Di più, essa diviene accettazione armonica dei controversi aspetti di un analista, che nonostante tutto viene nominato Maestro. Questo credo abbia dell’eroico. L’eroe è colui che si innalza e guarda dall’alto, è colui in grado di comprendere, andando oltre le limitazioni della logica. E Roberto Ruga sembra aver maturato questa rara capacità. A tal proposito sono toccanti le parole che usa nell’introduzione: “scrivo per dimenticare”. In questo libro molto speciale l’analista Aldo Carotenuto si trova al cospetto di un paziente illuminato, che eleva il proprio percorso terapeutico a modello (seppure parzialmente inimitabile) da seguire.
18/09/10 - 08:00 - F. Montemurro 
Rispetto e sospetto, ammirazione e irritazione sono gli alternanti stati d’animo con cui inizialmente si legge questo lavoro. Poi, subentra la compassione, infine predomina l’ammirazione. La scena è sempre duplice: dal palcoscenico intimistico che l’Autore con grande disinvoltura ricama, si diramano in due speculari prospettive, lo stile controverso di un famoso psicoanalista all’opera e l’evoluzione psicologica di un suo paziente e allievo. La genialità dell’Autore coinvolge vari livelli del racconto. Intanto lo stile: spregiudicato, ritmato, in grado di esprimere il sentimento, il dramma, l’equilibrio, con agilità ed efficacia, facendo un disinvolto uso della tecnica del monologo interiore e del potenziale “magico” che contengono in sé oggetti e situazioni emergenti in frastagliati ricordi di un acuto osservatore. Il libro tratta aspetti etici, teorici e tecnici, in particolare vengono messi a fuoco, oltre allo statuto epistemologico della psicoanalisi, i problemi posti dall’osservazione, dalla valutazione dall’interpretazione e dalla comunicazione nell’attività analitica. E’ una lezione permanente sulle funzioni mistificanti ed elusive del linguaggio come mezzo di comunicazione, sugli gli errori e le insidie del fare analitico visti anche sotto una lente squisitamente simbolica, capace di individuare e dare un senso a inediti codici espressivi non verbali. Questa volta, però, i ruoli sono ribaltati e il paziente diviene analista, laddove questi sembra essere collassato nel suo stesso narcisismo. Si assiste ad un percorso eroico di elusione della nevrosi da transfert, che paradossalmente sancisce la riuscita dell’analisi. Un merito da ascriversi alla geniale quanto eroica irriducibilità del paziente, che nonostante tutto riesce a recuperare l’equilibrio mai goduto, offrendo a noi tutti una straordinaria possibilità di comprensione dell’essenza del cambiamento e della rinascita psicologica, attraverso “la penna dell’artista”. Un’impresa letteraria perfettamente riuscita.
17/09/10 - 19:20 - L. Marino 
Questo saggio è un libro eccezionalmente ricco di implicazioni. Infatti, mentre indaga sulla ricostruzione dei processi di relazione transferale, individuando delle costanti che riunite insieme, lungo la loro linea di successione, costituiscono una “storia naturale” del processo psicoanalitico, apre al contempo ulteriori prospettive per un approfondimento delle singole fasi della psicoterapia e della comprensione delle difese peculiari di ognuna di esse. Proprio perché così pregno di suggestioni, così beneficamente provocatorio rispetto a ogni tentativo di immobilizzazione o svuotamento della ricerca psicoanalitica, il volume merita attenta lettura. L’Autore potrà ben considerarsi colui che ognuno avrebbe voluto come terapeuta nei momenti difficili. Questo libro, ne dà conferma. Profondamente umano, ma altrettanto analitico, il saggio narra, attraverso un semplice “parlato scritto” sempre elegante e raffinato, efficace, chiaro e scorrevole, la storia di una psicoterapia e l’analisi “umana” del proprio psicoterapeuta da parte di un suo geniale allievo. Ne nasce un complesso compendio per psicoanalisti e psicoterapeuti che vogliano capire con empatia e consapevolezza i problemi reali dell’utenza contemporanea. Sono tanti gli interrogativi che apre il libro. E’ possibile costruire una psicologia partendo da presupposti non deterministici? Ha ancora senso oggi parlare di una genesi psico-sessuale delle nevrosi? Il disagio psichico è legato alla repressione di quella realtà istintuale che sottende la vita dell’uomo? Questo lavoro presenta un modello interpretativo originalissimo, soggetto alle regole della coerenza logica e della corrispondenza dei fatti come esigenza di significato. In questa nostra società, segnata dal disincanto, non è facile scoprire il vero volto dell’uomo e riconoscerne la profondità e la ricchezza spesso celate nell’inconscio. Ruga ci riesce con sfacciata abilità, a volte indicando il silenzio come fondamento di ogni esperienza umana, visto come matrice feconda del simbolico. Si apre la questione se l’uomo contemporaneo possa ancora definirsi come essere immaginifico, che vive nella propria affettività, se il suo mondo interiore sia pronto a rianimarsi sotto la spinta delle immagini e dei simboli. Ruga dimostra come ciò sia il cardine di un metodo psicoterapeutico, cui ancorare tecniche e interventi. E inoltre è ancora possibile parlare del male e dire qualcosa di diverso da quanto non sia stato analizzato e descritto di tale esperienza umana, psicologica, metafisica, clinica, quotidiana e letteraria? Sempre, nella psicoterapia - ovvero nella formazione relazionale che siamo soliti chiamare “dialogo o incontro col paziente” - vi è, da un lato, un reciproco risolversi con l’esperienza del male, un’attitudine a non escluderlo, anzi, a costruire la ricerca del senso del male anche se esso non può che sfuggire ai nostri tentativi di comprensione, e dall'altro noi non possiamo che avere delle pseudo-spiegazioni. Nell’affrontare le oscure regioni dell’animo, l’Autore dimostra che non si può che essere costantemente sollecitati a ripensare il male nella sua enigmatica costruzione delle diverse esperienze di ogni individuo, nè, d’altronde, il confrontarcisi appare facile o scontato. Questo libro, si rivolge anzitutto agli psicoanalisti ponendo un problema fondamentale: quello della comunicabilità stessa dell’ esperienza psicoanalitica. L’indagine su questo problema ha portato Ruga ad elaborare una personale arte ermeneutica e quindi ad affrontare sotto una nuova prospettiva problemi fondamentali della storia della psicoanalisi, portandoli al loro livello di elaborazione più alto e complesso. Ruga è maestro nel catturare la realtà e le sue mille sfumature con estrema bravura. Psicologia di uno psicoterapeuta è una travolgente giostra di vicende e interpretazioni che con incalzante ritmo narrativo ci regalano l’immediatezza e l’assurdità di un percorso psicoterapico. L’Autore ci offre senza sosta innumerevoli godibilissime interpretazioni di gesti e consuetudini, che danno vita a straordinarie sedute, le quali diventano materia di studio, vicende irresistibili, frangenti rivelatori dei momenti più comuni di un incontro. La normalità è spesso troppo complessa per essere capita, ma Ruga la descrive così bene che ci viene il sospetto che lui sappia più di quello che scrive. Ormai tramontato il mito dello psicoanalista “scienziato guaritore” capace di scendere nel profondo a sanare i mali dell’anima, e cadute con esso le rassicuranti certezze di quella che è stata definita la “psicoanalisi della risposta”, ecco affacciarsi sulla scena un modo di intendere psicoterapia inedito, meno confortevole ma anche più vero e, soprattutto, oggi più necessario: lo psicoanalista senza dogmi e senza illusioni che, in nome della ragione umana, si fa diagnosta implacabile della tecnica psicoterapica stessa, costruzione tanto preziosa quanto fragile. Un’opera da leggere, studiare e discutere per la sua nuova, orginale prospettiva sullo sviluppo del pensiero psicoanalitico. Il libro va considerato come un work in progress che non ambisce a offrire risposte risolutive ma cerca di interrompere il sonno dogmatico che pervade tanti aspetti della ricerca psicoanalitica contemporanea. Pagina dopo pagina Ruga affronta il tema della guarigione in psicoterapia, individuando i due principali modelli di riferimento che nel tempo si sono definiti all’interno della teorizzazione psicoanalitica: cambiamento come “riparazione” dei danni di un trauma subìto, e cambiamento come “crescita”, che può essere stata bloccata da fattori ambientali sfavorevoli. Come sappiamo, entrambi i modelli presentano gravi limiti: nel primo, il concetto di trauma comporta l’utopia di uno stato pretraumatico che la cura dovrebbe ripristinare; nel secondo, l’intervento psicoterapeutico si riduce a nulla più che un sostegno. Come se ne esce? Una delle possibili risposte che il libro sembra offrire è quella di trovare nell’etica - ovvero nel campo in cui è in gioco la decisione - il complemento della clinica. La riaffermazione della responsabilità soggettiva che ne consegue, apre un diverso spazio di riflessione e d’intervento. Il testo è uno strumento di lavoro per la formazione di psicoanalisti e psicoterapeuti. È un saggio tentativo di presentare a chi si accinge a praticare la psicoterapia una disposizione, un atteggiamento emotivo, un modo di mettersi in relazione che sono caratteristici di questo “mestiere”. L’orientamento dell’autore è in accordo con una concezione della psicoanalisi non come una religione che deve difendere la purezza delle sue procedure e dei suoi dogmi, ma come un metodo la cui fecondità è ancora da esplorare. Rivedendo uno dopo l’altro i concetti chiave della psicoanalisi, modificandone l’approccio clinico, Roberto Ruga individua e tratta in modo sistematico alcuni aspetti dottrinari come la metodologia dell’osservazione introspettiva, la comprensione e descrizione dei disagi psichici osservati con tale metodo, le tecniche dell’intervento terapeutico, le ipotesi metapsicologiche sullo sviluppo del Sé. In modo critico e indiretto, il saggio presenta anche uno studio lucido e puntuale sulla questione di quando e come una psicoterapia può dirsi conclusa. Infatti, al di là di un obiettivo didattico felicemente raggiunto grazie anche alla capacità di sintesi e al linguaggio piano e discorsivo dell’autore, una valenza ulteriore è fornita dall’originale sistematizzazione dell’argomento “fine dell’analisi”. Il volume è arricchito da un’ampia serie di aneddoti che pongono ancora una volta l’enfasi sul profondo coinvolgimento personale dell’analista nella situazione di trattamento, secondo un filone che percorre tutta la storia della psicoanalisi a partire da Ferenczi. Rendere noto alla comunità degli analisti ciò che avviene nel privato delle sedute, anche con l’uso di registrazioni che permettono di ripensare e discutere tra colleghi quanto è accaduto nel dialogo psicoanalitico, è da molti anni una valida proposta metodologica, che appare perfettamente in accordo con lo spirito del messaggio freudiano. Il pregevolissimo lavoro di Ruga è ricchissimo di brevi stralci di sedute o estese scenografiche sequenze che permettono di gettare uno sguardo su un intero trattamento e soprattutto sull’incontro umano dei due protagonisti: paziente e analista. La conclusione cui perviene l’Autore è che per lo psicoanalista, è un’esperienza soggettiva, relazionale e clinica indimenticabile poter fruire, in alcuni momenti rari e privilegiati, di una felice congiuntura di affetto, fantasia e pensiero che permette a paziente e analista di conoscere a fondo e bene quanto sta accadendo tra loro. L’empatia, di cui si occupa a fondo l’Autore, è uno dei concetti più significativi ma anche più difficilmente definibili, oltre che dei più dibattuti, nella storia recente della psicoanalisi. Ruga valorizzando il concetto, parallelamente al nuovo modo di considerare il controtransfert, propone poi, come contributo originale alla teoria psicoanalitica, una riflessione che lo porta al cuore stesso dell’analisi, mantenendo tutta la feconda problematica del concetto di empatia e nello stesso tempo valorizzando la reale complessità del vissuto empatico, meta privilegiata e trasformativa del rapporto tra analista e paziente. Il libro è anche un “percorso” personale dell’Autore attraverso la psicoanalisi, e in questo senso lo scrivere segna alcune tappe della sua crescita e della sua riflessione di analista che dà ampio spazio al proprio coinvolgimento nel trattamento. Ne risulta una sintesi coerente e unitaria, che affronta gli aspetti di contraddizione e di ambiguità presenti, sul piano concettuale come su quello della prassi, nell’immagine di questa professione. Ogni psicoterapeuta vi troverà descritte le ansie della sua quotidianità, la “condizione reale” del lavoratore psicoterapeuta e le domande (tante) e le risposte (un po’ meno) che soltanto un seguace acritico dell’ortodossia riesce a trasformare in certezze. Basato sulla nota posizione di Langs riguardo alla decodifica dei messaggi “mascherati” che paziente e psicoterapeuta reciprocamente si indirizzano, Ruga presenta in modo sintetico il suo “approccio comunicativo”. Si tratta di una tecnica nuova, ma anche di una nuova concezione teorica, non solo del rapporto terapeutico, ma dei fondamenti dell’esperienza conscia e inconscia. In particolare, essa permette di meglio comprendere il funzionamento mentale nell’elaborazione dei messaggi ad alta intensità emotiva. Il libro è pertanto un agile e conciso manuale di tecnica, ma anche un testo innovativo che modifica sorprendentemente alcune nozioni tradizionali nella storia della psicoanalisi, soprattutto quelle relative al significato e al ruolo delle comunicazioni inconsce e simboliche che si verificano da parte del terapeuta e del suo paziente all’interno del loro rapporto, alla stessa stregua di un sogno, visto come mistero, come linguaggio enigmatico, come esperienza vissuta e come spazio di libertà: un modo, insomma, di far vibrare i nostri sensi sullo sfondo di paesaggi sempre nuovi e inattesi. Nel prendere per le corna il tema delle relazioni tra psicoanalisi ed etica, l’Autore si tiene alla larga dalla consueta, e sterile, contrapposizione delle idee e delle scuole e si chiede se sia ancora possibile e auspicabile pensare ed esercitare una psicoanalisi intesa come tecnica illuministica di liberazione tramite la conoscenza di sé, in un’etica di onestà e rispettando il diritto del paziente alla resistenza. A questa domanda troverete una originale risposta leggendo questo imprescindibile libro. Buona lettura!
17/09/10 - 18:24 - Giulia Rosso 
Il saggio costituisce uno dei più illuminanti esempi di uso della nuova scienza psicoanalitica in relazione a una ricerca autobiografica. Ruga si lascia coinvolgere dal “caso Carotenuto”, trattandolo con un trasporto che difficilmente si ritrova nei casi clinici: l’entusiasmo e la partecipazione con cui scrive rimangono uno degli aspetti più piacevoli e sorprendenti dell’opera. I numerosi aneddoti danno vita a un’appassionante psico-biografia che, ricostruita sulla base delle informazioni disponibili, fa luce sui lati più controversi della personalità di uno psicoanalista in azione. Ne nasce un saggio divulgativo avvincente come un romanzo, mosso dall’esigenza di dare voce ai propri demoni interiori. Ruga dimostra come la scrittura sia il nostro mezzo espressivo più potente. Imparare a liberare la sua infinita carica, significa trovare armonia, guarigione e consapevolezza. Attraverso una presentazione autentica e fortemente ispirata, Ruga descrive un percorso tutt’altro che semplice e lineare, a cui pochi si possono avvicinare. Superando la timidezza iniziale, la voce del proprio racconto introspettivo diventerà pura espressione di sé e delle proprie emozioni, sostenute da una originalità interpretativa senza precedenti, che ci aiuta a penetrare i segreti di una psicoterapia e dei suoi due straordinari protagonisti.
17/09/10 - 18:10 - D. Calani (Grosseto) 
Tutti noi affrontiamo nella nostra vita momenti di crisi. Crisi evolutive, che fanno parte della vita, o accidentali, che ci colpiscono in tempi e modi imprevedibili. In genere si tende a coglierne soltanto il portato negativo, ma nella prova è insito un premio che può conquistare soltanto chi è in grado di vederlo: l'opportunità. In questo libro Roberto Ruga fornisce strumenti che permettono di cambiare attitudine, di oltrepassare limiti e di modificare abitudini che nuocciono a noi stessi e agli altri. In ogni geniale interpretazione proposta, in ogni citazione riportata, in ogni insegnamento lanciato con la forza espressiva di un aforisma, si sente il respiro di una grande visione, di una grande promessa. La relazione analitica - perno intorno al quale ruota tutto il bene e tutto il male - è una magia da osservare così com'è, senza pretese, senza aspettative, e la trasformazione arriverà se sapremo dare il nostro personale significato agli eventi. Da questo altissimo insegnamento ne scaturisce che la crescita umana può essere concettualizzata come una complessa transazione dialettica tra due processi fondamentali: lo sviluppo di relazioni interpersonali stabili, durature e mutualmente soddisfacenti, e lo sviluppo di una definizione di sé chiaramente differenziata, realistica e integrata. Nel corso di questo avvincente racconto di una psicoterapia, tali due processi evolvono in modo interattivo e reciprocamente bilanciato, facilitandosi a vicenda attraverso una continua dialettica che Ruga riesce a tessere con straordinaria abilità, confrontandosi con un fondamentale compito evolutivo, affermando la propria individualità e mantenendo al contempo una relazione profonda e positiva con il terapeuta. Nell'epoca della "società liquida", dell'eterna incertezza, della precarietà delle relazioni affettive, dell'instabilità del posto di lavoro, la psicoterapia come dimostra l’Autore attraverso la propria personale esperienza, rappresenta una nuova opportunità di riscatto verso la speranza di poter cambiare, con successo, il proprio destino. Il libro costituisce un raffinato metodo per guidare chiunque desideri realizzare i propri sogni e voglia, con rinnovata determinazione, intraprendere in modo consapevole e responsabile nuovi percorsi di vita. Gli insegnamenti di Ruga intendono proporsi, evitando ogni sterile concettualizzazione e inutile verbosità, come una guida alla ricerca della propria vocazione e della realizzazione del proprio talento. Questo libro è un sollievo. Ruga ci parla di cose belle, grandi, importanti. Ci parla di un progetto personale che si compie quando ci sentiamo amati in modo unico, esclusivo, incondizionato, per sempre.
17/09/10 - 17:33 - Paola (Roma) 
Un libro ai margini del campo visivo della letteratura, là dove si muovono come ombre fugaci più generi letterari, là dove non esistono confini ben marcati, là dove dolore e angoscia si mescolano a fantasia e immaginazione. Un libro straordinario, colmo di concetti taglienti che si snodano fra realtà e metafora, argomentati da un ingegnere della psiche mai stanco di approfondimenti, che affondando il lettore sempre più nel mistero di una vicenda che assume pagina dopo pagina la dimensione di un percorso iniziatico troppo grande per essere compreso. C’è una muta convivenza di più generi letterari, diluiti uno nell’altro, una sintesi di ingredienti che insieme formano un capolavoro di stile, di scrittura, di capacità introspettiva. La storia è piena, densa, cupa e tragica, ma con un lieto fine: la nascita di un Uomo. Esistono libri che lasciano il segno e “Psicologia di uno psicoterapeuta” è uno di questi. Libri che non puoi smettere di leggere, che ti fanno andare avanti per sapere come andranno a finire, perché quel linguaggio secco e deciso ti tiene lì, fermo, fino all’ultima pagina. Non ci sono effetti speciali nello stile, la narrazione è essenziale, priva di abbellimenti e decorazioni. E’ la storia a essere ricca ed è ricca di tragedia, di dramma, di dolore. Dolore. Quello crudo dell’indifferenza. Alla fine trionfa la determinazione di un uomo disposto a non arrendersi mai, pronto a combattere contro l’impossibile, anche quando tutto sembra perduto e la vittoria ben lontana. Merito anche di un analista geniale? Merito soprattutto di un suo degno e spietato allievo? Non iniziate a leggere il libro se avete intenzione di smettere per poi riprenderlo il giorno dopo. Questo va letto in un’unica soluzione. Non può essere una lettura a puntate ma, come per un film, deve scorrere sotto i vostri occhi come un insieme di visioni. Deliziose, una dopo l’altra. Esse narrano la storia del rifiuto alla resa, del “giusto” che non abbassa la testa di fronte al potente, ma lo affronta e lo vince, ringraziandolo e dimostrandogli infine un nobile sentimento: la gratitudine.
17/09/10 - 10:59 - G. Dal Maso (Vicenza) 
“Un libro deve dire, deve “smuovere”, deve essere ricco di parole piene, sofferte e liberatrici, dunque creatrici di coscienza. Un libro è come l’aratro che solca e mescola il terreno della nostra psiche rendendolo più fertile, e anche se nel fare ciò lacera la terra procurandole ferite, noi sappiamo che saranno proprio tali ferite che, rimarginandosi col tempo, permetteranno alla terra stessa di donare i suoi preziosi frutti”. Così recita la prefazione. Mi colpì molto quando la lessi per la prima volta poco più di un anno fa. E mi impressionò tutto il libro, ma ricordo che nel leggere, all’inizio provai imbarazzo e irritazione, forse perché la sacralità della psicoanalisi stessa veniva, in un certo senso, violata. Poi mi resi conto che quel giudizio dipendeva molto dal mio atteggiamento verso la lettura e verso Aldo Carotenuto, del quale conosco la maggior parte dei testi. Insomma, pian piano, “Psicologia di uno psicoterapeuta” aveva fatto nascere dentro di me un nuovo modo di accogliere idee dissonanti, che prima tendevo a respingere. Sicuramente il libro ha molti meriti e dilatare l’elasticità del pensiero è uno di questi. Non li elenco tutti perché sono mirabilmente descritti negli “infiniti” (in tutti i sensi) commenti che piovono da ogni dove, anche se, devo dire, pochi hanno messo in evidenza quello che secondo me è il più grande merito del libro e al tempo stesso rappresenta ciò che accomuna l’Arte terapeutica di Aldo Carotenuto e di Roberto Ruga: la Psicoterapia Eroica. Si tratta di un approccio a mio avviso molto fecondo, che andrebbe portato avanti ma che già nel libro è ben identificabile e magistralmente spiegato. Non solo nel libro, ma in questo straordinario e ricchissimo sito, ho trovato anche un approfondimento del concetto di psicoterapia “ad arte”, per come la intende Roberto Ruga che così si esprime: “I momenti cruciali di un percorso terapeutico sono spesso portatori di un alto contenuto artistico, che fa di quegli attimi ad elevata intensità emotiva, momenti trasformativi per eccellenza, nei quali terapeuta e paziente sono protagonisti di azioni e vissuti che si collocano al di là di ogni tecnica. Partendo dal presupposto che l’arte è inspiegabile, ho cercato di mettere a fuoco, ove possibile, alcuni elementi che costituiscono, a mio avviso, il valore di un gesto terapeutico, che travalica e va oltre la consueta tecnica, per sconfinare nel mondo dell’arte. Presupposti propedeutici di un tale fare terapeutico sono: un forte coinvolgimento transferale reciproco, l’utilizzo della comunicazione inconscia (in particolare dell’identificazione proiettiva) e la scelta di metafore, suggestioni e allusioni che portano in contatto il paziente con la propria parte inconscia, ovvero “saggia”, aprendolo al nuovo. Gli esempi clinici descrivono un atteggiamento terapeutico “ispirato”, fatto di totale fede nelle potenzialità inespresse del paziente. La terapia che ne risulta viene definita eroica perché è in grado di trasferire sull’altro, tramite contagio, un modo di essere temerario, impavido, creativo.”. Ecco, io credo che in queste splendide parole sia concentrato un geniale messaggio, che spetta a tutti noi, psicologi e psicoterapeuti, approfondire e fare nostro. Se dovessi scegliere un brano significativo che mi ha letteralmente illuminato sulle modalità interpretative di cui si è tanto fatto questione nei dilaganti commenti al libro, sceglierei “La penna dell’artista” che ho scelto di riportare: “Qualche tempo dopo aver concluso la mia analisi, trovandomi di passaggio per Roma, decido di fargli visita. Mi fa accomodare sulla poltrona, nella stanza d’analisi. Gli mostro il suo ultimo libro che sto leggendo. Mi tende una mano, glielo porgo. Nel libro, verso il centro ho lasciato la mia penna per sottolineare i passaggi più belli. Utilizza quella per comporre una breve e amichevole dedica. Poi, con estrema naturalezza pone la mia penna sulla sua agenda. E’ allora che noto altre tre penne insieme alla mia, riposte al centro dell’agenda. Resto un po’ incantato. Alcuni attimi di silenzio e poi le ultime brevi battute prima di salutare il Maestro. Lo invito a gustare il Vecchio Amaro del Capo che gli ho donato come specialità calabra. Mi accompagna alla porta. Penso alle tre, ormai quattro penne, lì sulla sua agenda, al centro. Una è la mia. Non mi è stata restituita ed io non ho detto nulla. Una semplice penna bic nera. Che bello che non gliel’ho chiesta indietro, penso. Esco dall’edificio e mi avvio verso il grande cancello nero, che negli anni è diventato automatico. Sorrido e mi accorgo di essere un po’ emozionato. Difficile spiegare l’arte, ma sicuramente la portata emotiva dei due gesti intensamente comunicativi (pulire gli occhiali e “invitarmi” a lasciare la penna lì) riportati nei due esempi, è massimamente apprezzabile all’interno del transfert. Certo, ma non è tutto qui. Nel secondo esempio, il più criptico, le identificazioni (io sono quella penna, quella penna è il paziente) e le proiezioni reciproche (ognuno dei due potrebbe supporre che l’inconscio desiderio dell’altro sia quello di voler lasciare la penna lì) giocano un ruolo significativo. Dunque, per cogliere la portata del lapsus, bisogna considerare almeno due possibili ipotesi: la prima è che il gesto di lasciare la penna sulla agenda sia consapevole, cioè voluto, diciamo pure costruito terapeuticamente “ad arte”; la seconda ipotesi è che il gesto sia un lapsus autentico, cioè inconsapevole. Comunque sia, nell’uno o nell’altro caso, ai fini del discorso che qui si fa sull’arte, poco importa se il lapsus sia proprio o improprio, autentico o costruito ad arte. Infatti, la matrice ultima, l’ispirazione di un gesto ad arte è dell’inconscio. Il terapeuta può codificare tecnicamente (e questo sarebbe auspicabile) i sussurri del Vecchio Saggio, oppure può agirlo inconsapevolmente. Cosa cambia? Se si ha fortuna, niente. Altrimenti, si sa, senza l’aiuto della fortuna, si corre il rischio di restare in interminabili analisi. Ma torniamo al lapsus. Intanto, l’oggetto penna riposto sull’agenda, ingenera nei presenti un senso di accoglienza e di appartenenza. La sua simbologia è pregna di rimandi per entrambi: Aldo Carotenuto è stato un prolifico scrittore (in lui le penne “riecheggiano”), per me invece, “quella” penna è legata ad una dedica che ha come oggetto l’amicizia. Riguarda me e il mio amico analista. Riguarda, forse, un presunto attaccamento irrisolto. Allora resta lì. Resta lì, distante da me, per istruirmi sul “distacco”, mi aiuta a (ri)sperimentare ed elaborare un piccolo lutto, che ha a che fare con la fine, forse, di un’analisi. Capisco che posso e “devo” lasciarla lì. Me lo sussurra quell’artista che è l’inconscio. Così mi suona l’invito del lapsus e lo accetto. Accetto di dimenticarla lì. Ora, non vorrei sconfinare in una reificazione del lapsus, ma solo sottolineare la qualità comunicativa personale che possiede. Nell’ambito di questo discorso sull’arte, direi che è propriamente artistica (ribadisco, non so fino a che punto inconscia), l’idea di “invitarmi” a “dimenticare” la penna lì, interpretando e agendo con un gesto ad arte, il mio (e anche suo?) supposto desiderio inconscio di lasciare (nel suo caso, trattenere) lì una parte di me stesso, magari la mia “vena poetica”, ovvero una componente creativa. Ragionando su quest’ultimo caso, se il lapsus riguardasse il desiderio inconscio dell’analista di possesso degli altrui contenuti psichici, rappresentati dal simbolo-penna riposta sulla propria agenda, potrebbe allora essere autentico, di natura propria, cioè inconsapevole, e tradirebbe un attaccamento irrisolto dell’analista stesso, poco propenso a elaborare distacchi e perdite, che sarebbero vissute come meno gravi, nel momento in cui la penna con la sua “arte” dovesse restare lì. Se applicassimo il meccanismo dell’identificazione proiettiva, dovremmo chiederci: “chi” sta proiettando il proprio desiderio sull’altro? Chi ci si identifica? Bene, il terapeuta “legge” (inconsapevolmente o intuitivamente) la mia esigenza-necessità di staccarmi da lui e dall’analisi. Diciamo pure che “vede”, cioè proietta su di me questa esigenza, forse perché è anche sua, e la agisce nel lapsus, creando così per me l’occasione di fantasticare o simulare prima il distacco da essa e da ciò che rappresenta (intanto, io mi chiedo: la lascio lì?) per poi attuare tale distacco, dopo averne sperimentata la fattibilità: io osservo la penna sulla agenda durante l’incontro e mi abituo all’idea di lasciarla lì, la coltivo. Un lapsus quindi, che si basa sulla capacità del terapeuta di sentire su di sé l’esigenza dell’altro e di tradurla in azione, in gesto terapeutico. E’ questa traduzione che è artistica (ricordate la caduta che insegna a cadere?). Dunque, si tratta di un lapsus fatto bene, ad arte, perché terapeutico sia per il paziente che per il terapeuta i quali, a questo punto, possiamo dire, condividono lo stesso desiderio: elaborare un lutto. Comunque, nel caso specifico, credo che il principale desiderio in gioco (da parte di entrambi) sia stato quello di condivisione, o comunanza, alla cui base vi è la gratitudine. Non lasciarla lì sarebbe equivalso ad un essere ingrato: le penne si lasciano solo in buone mani, mani degne. E chi le lascia, ovviamente è degno anche lui, ovvero si sente tale poiché è “investito” come tale da un terapeuta eroico. Permettetemi ora, di ricordare un altro breve spunto interpretativo, tratto ancora dalla mia analisi con Aldo Carotenuto, che illustra come un’interpretazione “ispirata”(questa volta del paziente) possa creare un suggestivo momento altamente comunicativo. Siamo nel pieno del transfert, quando, durante una seduta, davanti ad una tazza di latte, caffé e miele, nel parlare di non ricordo cosa, commisi un elementare errore di grammatica, dicendo “se sarei” al posto di “se fossi”. Il Maestro mi corresse. Gli sorrisi e gli dissi una cosa che mi fece guadagnare con soddisfazione un suo sguardo intenso e prolungato. Gli dissi, quasi con aria di rimprovero, che quell’errore era la prova di una regressione operante in me, nel contesto del nostro rapporto. Continuammo insieme a sorseggiare silenziosamente il nostro cappuccino. L’intervento correttivo dell’analista, che riporta l’altro ad una grammatica matura “al presente”, tradisce una probabile resistenza alla regressione del paziente laddove, invece, l’analista avrebbe dovuto accompagnare il paziente verso il basso, in un luogo che si trova “(in)dietro” rispetto al presente: nel passato, in un’età ed in una grammatica pre-scolare. L’analista, invece, vuole stare nel tempo presente. Resiste cioè all’emersione di un eventuale trauma, lo evita. Resiste alla regressione del paziente, non la vede, non la coglie, non la vuole, e non vuole impegnarsi-confrontarsi col trauma. Allora, lavora contro la regressione riportando l’altro al presente, ma curiosamente è uno che “cade”al cospetto di “quel” paziente. Cade per ricordarsi che “deve” cadere. Cade per ritornare nel luogo buio del trauma. E, cade per capire che non cade abbastanza, lui, insieme al paziente. La coppia “galleggia” troppo, si immerge poco. Resiste al ritorno alle origini, all’inabissamento. Un Carotenuto troppo identificato con l’aspetto luminoso-solare dell’Eroe? Non ne vuole sapere di cadere?! Eppure, a lezione (ora ricordo) inciampa davanti a molti dei suoi studenti-pazienti: mentre parla e indietreggia, la sua caviglia urta contro la pedana della cattedra. Si fa uno sgambetto, di cui, evidentemente sente di avere bisogno: è l’inconscio che lo propone, ma, questa volta l’Io dispone diversamente e resta in piedi. Quando dico “è l’inconscio che lo propone”, intendo mettere in evidenza il suo aspetto saggio, profondo ed “artistico”.”.
16/09/10 - 12:16 - T. Plesnicar (Gorizia) 
Questo volume è la limpida e commovente testimonianza della irriducibile volontà di affrontare l’Assurdo. E proprio a partire da questa particolare condizione, l’Autore analizza situazioni, decifra segnali, interpreta ogni cosa accada all’interno del proprio setting terapeutico, condiviso con il grande psicoanalista Aldo Carotenuto. Fedele all'essenza profondamente pragmatica dell’arte terapeutica, Roberto Ruga scrive con il proposito di rendere più espliciti i meccanismi stessi della psicoterapia, in uno stile frizzante, che prevede l’utilizzo di forme poetiche e metaforiche, illuminanti interpretazioni e geniali riflessioni nate dalla propria esperienza, prima di paziente e successivamente di psicoterapeuta. Le domande che attraversano il testo sono tante: esiste un modo per far sì che tutto ciò che ci sembra assurdo ci possa insegnare qualcosa? Un modo per lasciare che la nostra stessa esistenza plasmi il cammino verso la piena consapevolezza? Si, esiste. L’insegnamento che si trae dalla lettura è che anche gli assurdi comportamenti dello psicoterapeuta e le conseguenti emozioni negative del paziente, aiutano a non dimenticare che dentro di noi abbiamo tutte le risorse necessarie a cui attingere per realizzare le nostre potenzialità. In questo originale libro Ruga si confronta con i temi più ostici della psicoanalisi, vagliandone i presupposti teorici e proponendo sia una revisione della tecnica psicoanalitica, sia una nuova maniera di interpretare, che nasce dallo scandagliare le molteplici valenze simboliche di gesti e parole appartenenti ad una seduta di psicoterapia. Partendo dalla propria esperienza di paziente, attraverso una fitta e appassionante serie di analisi Ruga dimostra come dai prodotti spontanei dell’inconscio si possa trarre prezioso insegnamento. Numerosi aneddoti colorano il testo con uno stile “ruggente”, nati da una genuina impertinenza, imprimono graffi con la loro intrinseca sfacciataggine lacerando un tessuto analitico apparentemente assurdo, narcisisticamente ripiegato su se stesso. La ricerca della Verità che il paziente Ruga compie è appassionata. Rivolta ai piccoli segni di un estraniato analista tale ricerca riesce eroicamente a fare emergere con forza il proprio diritto di esistere, di essere visto e riconosciuto nella propria verità profonda e nella propria unità di paziente. Ne nasce una formidabile analisi delle varie sfaccettature della comunicazione, con un approccio multiforme che sontuosamente spazia in diversi ambiti, specificatamente analizzati, ma convergenti all'idea basilare: l'inestricabile interrelazione fra processi psicologici, simbolici e dunque comunicativi. Il libro delucida le questioni implicite che, ad ogni passo, animano e fondano il cammino psicoterapeutico; traccia le nuove linee che ne conseguono per la clinica del soggetto, degli affetti, in particolare del transfert come fattore determinante alla cura. Se molti, dopo Freud, hanno pensato di reinventare la psicoanalisi, in questo lavoro Roberto Ruga propone una rivoluzione a livello dell’interpretazione, con le sue nuove coordinate simboliche. Un coraggioso passo in avanti all'altezza della nostra epoca. L'originalità dell'approccio che Ruga presenta consiste nell'esaminare il processo di simbolizzazione e la dinamica rappresentativa quali condizioni e necessità permanenti del funzionamento psichico. Nella misura in cui la psicoanalisi è metodo di investigazione dell'inconscio, l'oggetto privilegiato della metapsicologia diviene per Ruga il poter tradurre i dati osservabili, liberandone il vero significato, al fine di mettere a punto il nuovo dispositivo analitico, in grado di meglio penetrare nel labirinto della mente. Fedele all’idea che sono proprio le increspature, gli inciampi, le smagliature della banalità quotidiana a testimoniare la nostra natura più intima, Ruga ribalta una volta per sempre il rapporto tra "profondità" e "superficie" e attraverso esempi tratti dalla propria esperienza, rivela gli insospettabili processi di rimozione che sono alla base di tanti "atti mancati", offrendo al lettore una chiave per decifrare tanti momenti della propria esperienza psicoterapeutica, come privilegiata via d’accesso verso l’inconscio. La piacevolezza di una lettura resa viva dai numerosissimi "casi dal vero", e la naturale soddisfazione che può procurare l'esser guidati verso una più alta conoscenza dei processi psichici, rendono alcuni passaggi del testo “poetici”, anche per la loro intensità affettiva ed ideativa. L’anima poetica del libro si rivela in particolar modo nella sua metafisica istantanea, nel suo saper trasmettere una visione del mondo insieme al segreto di un animo, in pochi attimi rivelatori che distruggono dolorose ambiguità.
09/03/09 - 17:21 - Roberto Ruga
Simpatico ingegnere, il problema a cui lei si riferisce è questo: "Un passero, un bruco e una cavalletta stanno divorando assieme una mela. Il passero se fosse solo impiegherebbe un'ora e mezza, il bruco tre ore e la cavalletta solo mezz'ora. Qual è il tempo necessario ai tre animali per portere a termine il loro pasto?". Bene, traducendo i tempi in termini di minuti avremo 180 90 e 30 che semplificati diventano: 6 3 1. Dopo 30 minuti la cavalletta rappresentata dall' 1 (l'unità) avrà mangiato l'intera mela, mentre gli altri due ne avranno mangiato insieme 1/3 di 30 che corrisponde a 10. Perciò avremo 30-10=20 che è la soluzione. Spero di essere stato esauriente. Naturalmente questo mio modo di risolvere il problema è relativo alle mie limitate e residue conoscenze matematiche. Lei, ingegnere sarà certamente in grado di trovare una funzione utile a risolvere tutti i problemi di questo tipo. Diciamo, una soluzione "multifattoriale". La ringrazio per i complimenti, per aver letto il libro e per averlo commentato.
09/03/09 - 16:57 - Paolo, (Brescia) 
Illustre Psicologo, ho letto ammirato la sua prima fatica letteraria e l'impressione che ne ho ricavata è stata ammirevole. Sono un ingegnere e non essendo del campo, la mia lettura è stata viziata da una deformazione professionale che mi porta spesso a fare i conti con una continua elaborazione logico-razionale delle informazioni che giungono alla mia mente. A pag. 63 del suo interessante libro ho trovato un delizioso problema matematico del quale sarei curioso di sapere la soluzione che lei, non essendo appunto del mio campo, darebbe. Mi riferisco al quesito riguardante il passero il bruco e la cavalletta. La saluto complimentandomi ancora per il suo lavoro che definirei "multifattoriale" visto che si trovano in esso nozioni approfondite di psicoanalisi, psicoterapia, arte, letteratura, mitologia, estetica, morale, religione e ...matematica! Cordiali saluti. Paolo

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