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Strutturato in due parti, I sotterranei dell’anima analizza il mondo di Joe Bousquet, scrittore francese e quello di Fedor Dostoevskij con una particolare messa a fuoco sui Ricordi dal sottosuolo.
Il tema conduttore delle due parti è quello dell’Ombra cioè le zone segrete e inconfessabili del proprio essere, una sorta di “autoritratto all’inferno”. Prima di essere trasformata, l’Ombra appare il terreno di coltura di una distruttività inconscia diretta tanto all’interno di se stessi, quanto all’esterno, agli individui su cui quest’imago è proiettata. L’inferno è quello della relazione con l’altro immaginario che l’uomo del sottosuolo si porta dentro. Implacabile giudice, l’altro interiorizzato sembra rappresentare la radice dei mali dell’uomo del sottosuolo. Il masochismo è il terreno in cui egli consuma l’irriducibile ostilità verso i propri simili. La violenza di Dostoevskij è in gran parte autodiretta e si mescola con un piacere perverso nel quale sembra rilevarsi la freudiana pulsione di morte.
Uomo “malato” e “cattivo”, come lui stesso si dichiara, l’uomo del sottosuolo ha fatto dell’Ombra il perno della sua struttura psichica. Nel piacere provato da questo personaggio a guazzare nel proprio malessere, nell’oscuro intreccio di malvagità, sensi di colpa e desideri di autopunizione Carotenuto vede un modello di quell’autodistruttività, di quell’autosabotaggio dell’esistenza con cui molti individui costruiscono, giorno dopo giorno, la loro torre di fallimenti.
Alla radice dell’uomo del sottosuolo, c’è forse una ferita antica, inferta da un padre-padrone, un padre che egli cerca continuamente di distruggere in se stesso e negli altri e che lo costringe a intessere la sua relazione con il mondo nel segno del dominare o dell’essere dominati. Dostoevskij racconta la propria difficile relazione con una figura paterna rigida e severa, da cui da bambino si sentiva sopraffatto e umiliato e verso la quale, insieme all’amore, provava anche una rabbia inespressa. L’intreccio di aggressività, odio, senso di castrazione e morte che l’uomo del sottosuolo svela nella sua lunga confessione è l’occasione per una lucida analisi di quelle dimensioni di sadomasochismo attorno alle quali si struttura una sorta di identità negativa. Ferita da un antico trauma, la personalità prende forma intorno al rapporto tra una parte debole, depressa in cui vive il bambino vittima della violenza e una parte forte, aggressiva nella quale abita il suo persecutore. L’identificazione con uno dei due poli e la proiezione dell’altro sul partner racchiude poi il segreto di molte relazioni dove viene coattivamente vissuta una distruttività scarsamente elaborata.
L’impotenza del bambino interiore spiega la rabbia, spiega il desiderio di vendetta per il dolore che gli è stato inferto, spiega i sensi di colpa, quel sentirsi cattivo che genera i comportamenti autodistruttivi.
Come il bambino ferito che molti individui si portano dentro, l’uomo del sottosuolo ha concepito una voglia di rivalsa che al tempo stesso è desiderio di distruggere il mondo ma anche volontà di autoannichilimento. Violento e irrascibile egli ha imparato a reprimere la propria aggressività in parte dirigendola verso se stesso, in parte dispiegandola nei rapporti con gli individui più deboli. Essendo stato umiliato per tutta la vita, ha fatto dell’umiliazione la sua moneta di scambio, umiliando a sua volta chi era più fragile di lui.
Questo gioco interiore è però sorretto da una lucida coscienza. Per i personaggi di Dostoevskij la problematicità del mondo interiore si fa motore di un incessante scavo psicologico. L’uomo del sottosuolo procede fino allo sfinimento la sua implacabile autoanalisi. Ma questo incessante scavo interiore non conclude affatto alla trasformazione. Tenacemente abbarbicato alle proprie tenebre, egli vive con spavento la possibilità di un cambiamento, quel cambiamento che gli potrebbe venire dall’accettare l’amore di una donna. Per quanto terribile, il mondo di violenza, di rifiuti, di sopraffazioni a cui egli appartiene è in fondo rassicurante, perchè conosciuto e prevedibile, mentre amore e trasformazione, con la loro enorme incognita, recano il rischio di un’irreversibile esplosione del fragile equilibrio psichico che questo personaggio si è costruito.
La malattia di cui egli soffre sta nell’impotenza e nella paralisi, e nel vivere con voluttà il progressivo sprofondamento dell’Io negli abissi dell’Ombra. Il vero male che affligge l’uomo del sottosuolo è la sua assoluta incapacità di mutare se stesso, di rimuovere gli ostacoli interni che lo imprigionano in una condizione esistenziale distruttiva.
Carotenuto sceglie una figura dal mancato riscatto, una figura totalmente immersa nelle sue tragiche tenebre che sperimenta la sensazione di paralisi, di impossibilità, la sensazione che nulla possa cambiare. La prima parte del suo saggio è dunque un ritorno alle proprie rovine interiori, a quella “terra desolata”, a quelle aree di cronicità e invalidità che ciascun individuo si porta dentro. Lo scritto su Dostoevskij rappresenta lo spazio in cui guardare e accogliere le parti invalide e incurabili dell’anima, le parti che rifiutano la trasformazione, costituendo quel limite di cronicità e inguaribilità con il quale ognuno deve confrontarsi. Una visita alle paludi dell’anima, quelle zone infernali di devastazione e morte che tutti in misura differente continuiamo a recare nell’anima.
L’occasione per una diversa accettazione di queste parti è fornita dalle pagine dedicate a Joe Bousquet.
Anche l’esistenza dello scrittore francese porta inciso il marchio della diversità, una diversità che lo costringe a confrontarsi con l’enigma della malattia. Ferito da una pallottola a soli ventun’anni, durante la Grande Guerra, Bousquet vive per altri trentadue anni paralizzato a letto nella sua casa. Qui, nella sua stanza illuminata dalla luce artificiale, fa della scrittura la ragione della sua vita. Nuovi orizzonti si spalancano a un uomo maturato dalla sua menomazione. L’adolescente e il giovane inquieto che viveva del rischio, della trasgressione, lasciano il posto al poeta, al pensatore.
La scrittura si fa discesa nelle profondità dell’essere, si fa luogo in cui rivelare se stesso. “Siamo reali unicamente nella notte della nostra anima” annoterà in una lettera. La metafora che ritorna costante è quella del sole nero. La notte, la notte dell’anima, reca nella sua profondità una luce nera e ardente che può illuminare l’esistenza. Legato agli inferi e alla morte, il Sol niger indicava la prima materia, la materia caotica degli inizi che non è stata ancora trasformata. La metafora del sole nero è dunque quella di uno sprofondamento dell’anima nella notte infera, sprofondamento che prelude al suo lento riemergere dall’oscurità. Bousquet si serve di questa immagine per rappresentare il processo di trasformazione. Avendo bordeggiato più volte gli abissi della morte e costretto a coabitare con la malattia, Bousquet non può che fare del sole nero, che è metafora della depressione e della sua potenzialità creativa, l’immagine della propria scrittura.
Schiantato dall’ostacolo che ha trasformato la sua vita, Bousquet capisce che si tratta della sua personale difficoltà con cui deve misurarsi, quella difficoltà assolutamente individuale che Rilke prega gli sia concessa. L’unico modo per continuare a vivere è perciò riuscire a rendere trasparente l’infermità che minaccia di distruggerlo, anzi il fare dell’istante in cui è stato ferito il momento della propria nascita. “Ecco: distrutto a vent’anni, ho voluto attraversare l’ostacolo che l’infermità erigeva in me, rendendolo trasparente. Volevo che la ferita avesse un senso”.
Per Bousquet la scrittura è uno spazio di salvezza. Paralizzato nel suo letto egli vede spalancarsi al suo cuore una ragione di esistere, qualcosa che gli fa sopportare la sua infermità e che lo rivela a se stesso. Insieme alla luce nera, la luce degli occhi dell’amata diviene la guida verso le profondità dell’anima. C’è nell’esperienza di Bousquet una paradossalità sull’amore: il vero oggetto d’amore è per sua natura inaccessibile. L’ostacolo di Bousquet evoca così un ostacolo più profondo, che, radicato nell’infanzia, nell’amore insoddisfatto per una madre lontana e depressa, modella ogni altra relazione.




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