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PON 3.1. 2004 - 58


“Continuiamo a star bene, insieme, a scuola”



-Modulo Genitori-






Argomenti:

La pubertà; anoressia e bulimia; droga, alcolismo e tabagismo; il bullismo, la comunicazione.


INDICE
Indice............................................................................................................
Presentazione (Dott.ssa Elisa Masè).........................................................
Premessa (Dott. Roberto Ruga).................................................................
Premessa (Prof.ssa Basso Cristina)...........................................................
Elenco partecipanti......................................................................................


Capitolo 1 La pubertà.................................................................................
1 I cambiamenti fisici......................................................................................
2 Effetti della pubertà sul rapporto tra genitori-figli...........................................
3 Identità: che visione hanno di se stessi i ragazzi durante la pubertà?................
4 Pubertà: bambini o adulti?............................................................................
5 Lo sviluppo intellettivo: lo stadio delle operazioni formali...............................
6 Necessità di nuove figure genitoriali..............................................................
7 La pubertà è:...............................................................................................
8 Il rito di iniziazione.......................................................................................
9 L’amore in adolescenza...............................................................................
10 L’attività sessuale autocentrata...................................................................
11 Conclusioni...............................................................................................
12 Schema N. 1 L’adolescenza come età da studiare, concetti chiave.............


Capitolo 2 L’alimentazione nella pubertà.................................................
1 Anoressia e bulimia: sintomi........................................................................
2 Radici........................................................................................................
3 Cause........................................................................................................


Capitolo 3 La tossicodipendenza...............................................................
1 Tossicodipendenza e comportamento familiare…………………………....


Capitolo 4 Alcoldipendenza.......................................................................
1 Le conseguenze dell’alcolismo...................................................................
2 Le cause dell’alcolismo..............................................................................
3 Vizio o malattia?........................................................................................
4 Si può curare l’alcolismo?..........................................................................


Capitolo 5 Il bullismo................................................................................
1 Definizione e forme...................................................................................
2 Il fenomeno del bullismo............................................................................
3 Caratteristiche del comportamento di vittima..............................................
4 Caratteristiche del comportamento di bullo.................................................
5 Condizioni che favoriscono il fenomeno......................................................
6 Bullo e vittima: il disagio sottostante ai modelli reattivi.................................
7 Abilità sociali e relazionali: l’assertività........................................................
8 Caratteristiche del tipo aggressivo..............................................................
9 Caratteristiche del tipo passivo...................................................................
10 Le abilità comunicative.............................................................................
11 Comunicazione non verbale......................................................................
12 Comunicazione verbale............................................................................
13 Aspetti cognitivi implicati nella comunicazione...........................................
14 La prevenzione del fenomeno del bullismo................................................
15 Ruolo e coinvolgimento dei genitori..........................................................
16 Consigli per alunni e alunne......................................................................
17 Mantieniti al sicuro!.................................................................................
18 Cosa puoi fare se subisci prepotenze.......................................................
19 A chi lo puoi dire....................................................................................


Capitolo 6 Saper comunicare: una guida per genitori.............................
1 Il genitore efficace secondo il metodo Gordon...........................................
2 Maslow....................................................................................................
3 Rogers.....................................................................................................
4 Il metodo Gordon applicato al sistema famiglia..........................................
5 Comportamenti inadeguati........................................................................
6 Importanza di un messaggio efficace.........................................................
7 L’ascolto attivo........................................................................................
8 Il messaggio io.........................................................................................
9 Il metodo senza perdenti..........................................................................
10 Il problem solvine..................................................................................


Glossario di termini psicologici................................................................



Presentazione del lavoro
Visti gli ottimi risultati conseguiti l’anno scorso, abbiamo pensato a come potevamo ulteriormente migliorare il lavoro di questo anno.
I genitori hanno seguito con interesse le tematiche che li riguardavano da vicino. Ognuno ha partecipato dando consigli e raccontando la propria esperienza di genitore alle prese con ragazzi a volte tumultuosi e problematici. Abbiamo approfondito gli aspetti di questa età così incerta e mutevole, che rappresenta per i ragazzi un momento di sbandamento ma che porterà loro una maturità ulteriore.
Dopo ogni argomento trattato, il lavoro di verifica è consistito nel produrre dei testi scritti che abbiamo poi raccolto in questo opuscolo. Gli argomenti trattati sono stati: la pubertà in generale, problemi specifici come l’anoressia, la bulimia, la tossicodipendenza, l’alcolismo, il tabagismo e, soprattutto, la comunicazione efficace.
Alcuni argomenti, ritenuti particolarmente interessanti sia per i genitori, ma anche per i ragazzi, sono stati sintetizzati e schematizzati in cartelloni, realizzati con uno stile fumettistico e divertente allo scopo di attirare l’attenzione ed incuriosire i ragazzi che, lo ribadiamo, sono i principali fruitori dell’intero progetto.
Una particolare enfasi è stata posta sugli aspetti e le modalità della comunicazione: linguaggio verbale e non verbale, paralinguistica, mimica facciale, sguardo, movimenti del corpo, postura, distanze, gesti. Abbiamo cercato così, di far emergere ed individuare l’assunzione di atteggiamenti relazionali tipici di ogni partecipante, promuovendone quelli positivi e produttivi per una migliore coesione del gruppo. L’accento è stato posto sullo sviluppo di risorse e potenzialità personali per stimolare la disponibilità al cambiamento, tramite la promozione di gruppi di tipo auto-aiuto.
L’intento è stato quello di sviluppare capacità e risorse personali, competenza, potere di generare alternative nuove, capacità di sentirsi responsabili, per ciò che succede nelle relazioni disfunzionali e problematiche in genere.
Una prima modalità di intervento è stata messa in atto attraverso la consulenza offerta ai partecipanti, con lo scopo generale di migliorarne le capacità e le risorse, per il conseguimento degli obiettivi. A tal scopo è stata creata un’atmosfera di stima e fiducia reciproca, cercando di stimolare la comunicazione e la cooperazione, attraverso la strategia dell’ascolto attivo.
La trattazione di ogni modulo, attraverso una breve introduzione al tema, è stata seguita da una discussione in gruppo e dall’esposizione, da parte dei partecipanti, di eventuali problematiche familiari o personali, collegate al tema trattato. L’aspettativa di partenza da parte degli operatori era che una tale analisi, fatta insieme al gruppo, avrebbe potuto rilevare le aree problematiche, le variabili a cui questi problemi fossero correlati, ma anche i punti-forza ed i fattori sui quali sarebbe stato più agevole intervenire.
E’ stato utile creare e favorire, all’interno del gruppo, una relazione di sostegno, comprendente comportamenti di ascolto ed accettazione, che esprimessero interesse e comprensione. Sono state date informazioni sulle tecniche di gestione dei conflitti, affinchè fossero gli stessi soggetti a trovare modi nuovi e creativi di soluzione dei loro problemi, accrescendo così la possibilità di controllare attivamente la propria vita.


RINGRAZIAMENTI
Una particolare riconoscenza al Dirigente Dr.ssa Elisa Masè, che ci ha contagiati con il suo entusiasmo e ha “diretto i lavori” con particolare dedizione, assicurando così l’eccellente riuscita del lavoro di gruppo.
Devo poi ringraziare la tutor Dr.ssa Cristina Basso che mi ha costantemente assistito ed accompagnato durante tutto il percorso, col suo valido contributo di esperienza e di preparazione.
Infine, una riconoscenza sincera la voglio porgere al gruppo di genitori, che sono stati sempre presenti e partecipi, superando tensioni e contraddizioni congenite al lavoro nei gruppi.


Dr. Roberto Ruga




CAPITOLO 1: LA PUBERTA'
I cambiamenti fisici La pubertà è il periodo durante il quale si raggiunge la maturità sessuale e la capacità riproduttiva.
In entrambi i sessi questo cambiamento si manifesta con la comparsa dei "caratteri sessuali secondari": crescita del seno, sviluppo dei peli pubici e comparsa della prima mestruazione (menarca) nelle ragazze, aumento di volume dei testicoli e del pene, sviluppo dei peli pubici, variazione del timbro della voce e prima eiaculazione (emissione di seme dal pene) nei ragazzi.
Il processo è inoltre caratterizzato dalla accelerazione della crescita staturale e da modificazioni comportamentali.
L'accelerazione della crescita staturale è un elemento costante della pubertà: la statura aumenta improvvisamente per poi rallentare e arrestarsi intorno ai 18 anni di età. Nelle ragazze questa accelerazione si verifica con anticipo rispetto ai ragazzi.

Effetti della pubertà sul rapporto tra genitori e figli
Durante la pubertà è probabile che l'atteggiamento dei ragazzi verso i genitori cambi. Spesso i ragazzi pensano che i genitori siano insopportabili, noiosi e antiquati. Viceversa, i genitori trovano i loro "bambini" insolenti e scontrosi; è un periodo di potenziali conflitti.
L'adolescente acquisisce una sua indipendenza, magari non economica, non abitativa, ma di capacità di valutazione: ha sue opinioni, sue idee, che possono concordare o no con quelle dei genitori, ma che sente comunque come "sue".
È perfettamente naturale e inevitabile, quindi, che nascano tensioni e controversie tra genitori e figli adolescenti. In effetti, è l'assenza di conflitti che dovrebbe preoccupare maggiormente i genitori, in quanto potrebbe significare che il ragazzo stia nascondendo i suoi problemi.
Il passaggio dalla fanciullezza alla maturazione psico-fisica è, quindi, un momento davvero critico. Le modificazioni comportamentali che caratterizzano questo periodo ed il clima in cui lo si vive possono influire, anche notevolmente, sul futuro equilibrio e sulle capacità relazionali della persona.

Identità: che visione hanno di se stessi i ragazzi durante la pubertà?
Durante la pubertà i ragazzi sono per lo più insoddisfatti della propria immagine. Capita che siano scontenti del proprio aspetto e che si sentano goffi, timidi e insicuri.
E' il momento in cui inizia la trasformazione che porterà alla maturità sessuale. Crescono gli organi sessuali e si verificano profondi cambiamenti a livello fisico: cresce la peluria sotto le ascelle e nella zona pubica, si sviluppa il seno delle ragazze e sul viso dei ragazzi inizia a crescere la barba.
Caratteristico della pubertà è il desiderio di uniformarsi al gruppo dei coetanei. Le ragazze saranno scontente se avranno la prima mestruazione prima delle altre coetanee o se svilupperanno il seno per prime, o per ultime.
Per i ragazzi, la crescita del pelo pubico e le dimensioni degli organi sessuali potranno causare analoghi problemi.
Elementi di ulteriore disagio sono spesso rappresentati dall'incertezza della voce nei ragazzi e dalla comparsa di acne e brufoli.
Sono pochi gli adolescenti che prendono in considerazione l'eventualità di rivolgersi a un medico per affrontare i propri problemi, anche se questa idea spesso viene loro suggerita dai genitori.
Frequentemente problemi apparentemente fisici mascherano in realtà problematiche relazionali fra adolescenti, famiglia ed ambiente extra-familiare (amici, scuola, etc.); il medico deve pazientemente ricercare tali aspetti per poter fornire con efficacia il suo consiglio e il suo sostegno, ben raramente farmacologico.

Pubertà: bambini o adulti?
La pubertà è un periodo critico che segna il passaggio dall'infanzia all'età adulta.
L'adolescente diventa più consapevole di se stesso e manifesta, talora in maniera ancora ambigua, le proprie pulsioni sessuali; abbandona gli atteggiamenti infantili di dipendenza e tende ad affermarsi come protagonista autonomo.
Il processo di affrancamento non è indolore ed è frequentemente contradditorio; determina conflittualità interiore e verso l'ambiente esterno, particolarmente verso i genitori e, più in generale, verso l'autorità.
Le incertezze generate da tali conflittualità spingono gli adolescenti a ritrovare sicurezza aggregandosi in gruppo.

Lo sviluppo intellettivo: lo stadio delle operazioni formali
Verso gli 11-12 anni, lo sviluppo delle abilità cognitive procede verso la fase delle operazioni formali che opera delle trasformazioni sia nel campo logico-matematico che in quello sociale e si conserverà anche nell’età adulta. Nello stadio precedente il bambino manipolava mentalmente oggetti ed eventi, in questo stadio, invece, è capace di manipolare idee relative a situazioni ipotetiche, formulando ipotesi su realtà non presenti e ciò gli permette di formulare nuove teorie nel campo sial ogico-matematico che sociale.
La ricerca sistematica di soluzioni è tipica di questa fase: un ragazzo che avesse deciso di recarsi a fare una gita, per esempio, controllerà mentalmente tutti gli itinerari possibili, vagliando il migliore in termini di sicurezza, facilità e brevità di tempo di raggiungimento. Compare la possibilità di utilizzare operazioni d’ordine superiore come ad esempio le equazioni algebriche. Diversi Autori, puntualizzano come sia proprio la possibilità di percepire le cose, non solo come sono realmente, ma come potrebbero essere, a costituire la tendenza degli adolescenti a criticare la famiglia d’origine, i sistemi religiosi, sociali e politici: la consapevolezza della differenza esistente tra il reale e il possibile, come sostiene Elkind (1968), contribuisce a fare dell’adolescente un ribelle. Egli non fa che mettere il possibile a confronto del reale scoprendo che il reale è spesso deludente. Così potrà criticare i comportamenti di genitori, che precendetemente aveva idealizzato, intravedendone le debolezze e i difetti tipici di qualsiasi essere umano o di accusarli d’incoerenza tra i valori professati e i loro comportamenti concreti.
In questo periodo si verifica una maggiore tendenza all’introspezione e all’autoanalisi: l’adolescente sottopone ad una costante critica i propri pensieri, sentimenti, comportamenti e aspetto fisico. E’ presente l’intellettualizzazione come difesa verso le proprie angoscianti paure: le discussioni che possono in un primo momento apparire impersonali o intellettuali (come ad esempio il discutere sulla guerra, la libertà dei popoli, l’esistenza di Dio), possono nascondere in realtà dei vissuti emotivi personali e profondamente radicati in lui. Lo sviluppo cognitivo in questo periodo, si manifesta, quindi, attraverso questi processi che offrono all’adolescente un’importante opportunità di esercitare il suo nuovo modo di pensare in termini astratti, di esplorare nuove possibilità e di valutarle criticamente.

Necessità di nuove figure genitoriali
E’ tipico nelle fasi di crisi del bambino-ragazzo l’evidenziarsi di difficoltà da parte degli educatori, genitori e insegnanti, e questo è ancor più vero per i papà. Al padre-padrone di un tempo, garante delle norme da rispettare, delle regole e della disciplina, se ne è sostituito un altro, più aperto, tollerante, privo di un’incontestabile autorità precostituita. Tuttavia il nuovo padre deve ancora definire il suo profilo, partendo dalla consapevolezza che la sua funzione principale è accompagnare il ragazzo nel mondo, stimolarlo a concepire un progetto di vita, sostenerlo nel difficile processo che segna la fine dell’infanzia.
Verso i dodici anni si modifica l’armonica musicalità degli arti; la grazia e il ritmo tipici del movimento dei bambini spariscono. Compaiono una certa pesantezza e stanchezza, una goffaggine nel portamento. Le forze interiori, ancora in connessione con la musica delle sfere, proprie del corpo astrale, si affrancano dalla corporeità e si trasformano in nuove capacità e facoltà, attive non solo nell’ ambito della vita emotiva e di sentimento, ma anche della vita di rappresentazione e di pensiero. Abbiamo così da una parte una potente metamorfosi biologica che rende il corpo atto alla riproduzione della specie e dall’altra la capacità di rispecchiarsi nella propria interiorità, la capacità di sentire e comprendere ciò che vive in tutti gli esseri umani. Il ragazzo ora si affaccia all’età adulta, vuole scoprire e indagare il mondo. Ma che fatica e quante paure!

La pubertà è…
La pubertà è uno dei momenti rivoluzionari del sistema biologico e interiore, con i relativi rischi: anoressia, introversione. Pubertà significa consapevolezza di un cambiamento e porta con sé un senso di perdita. Qualcosa sta morendo: si avverte una sensazione di lutto, accompagnata da una struggente nostalgia dell’infanzia. Pubertà è il tempo della paura, paura di non piacersi, paura di non piacere. L’umore è incostante: ci sono rapidi passaggi dalla tristezza all’eccitazione. Il pensiero logico-razionale è ancora poco strutturato e non è in grado di costruire dei sistemi difensivi.

Il rito di iniziazione
I riti di passaggio sono espressione della regolamentazione sociale di eventi esistenziali potenzialmente “pericolosi”. E’ giusto lasciare i singoli in balia di se stessi, soli nell’elaborazione della metamorfosi, con la conseguenza di pubertà sovente non risolte o patologiche? I ragazzi, privati di questa possibilità, cercheranno essi stessi riti di iniziazione all’età adulta che potrebbero manifestarsi con gravi pericoli: fumo, alcool, droghe, pornografia, bande. Il “rito della rinascita” dà la possibilità del superamento, dà garanzie e fiducia; porta, negli adulti che lo propongono, attenzione e comprensione. I popoli del passato hanno sempre considerato importante il rito di iniziazione all'adolescenza.
Ogni popolo ha attribuito al rito di iniziazione, secondo proprie tradizioni, valori comuni come l'ufficializzazione dell'inserimento del ragazzo nella comunità degli adulti. Il conferimento comporta infatti privilegi e responsabilità correlati all'appartenenza al "gruppo dei grandi". Il rito è importante per il ragazzo poiché lo aiuta a sentirsi " partecipe" della comunità degli adulti e serve a questi ultimi per verificare se le "capacità potenziali" del ragazzo siano effettivamente adeguate ad affrontare le difficoltà connesse alla crescita fisica, ma soprattutto interiore. Diversi popoli, utilizzano i riti di iniziazione. Ad esempio, gli indiani nativi d'America praticano e la caccia", i cristiani somministrano la "Cresima", gli africani si cimentano con il "Cammino sulla brace" ed il "salto dalla torre con i piedi legati" mentre gli aborigeni organizzano "danze rituali di iniziazione" e "battute di caccia nella giungla". Insomma, molti popoli hanno canonizzato dei riti di iniziazione per i loro adolescenti. Attualmente anche alcune associazioni come gli "scout" utilizzano dei riti di passaggio volti a "segnare" le varie fasi della crescita fisica e interiore come "l'accoglienza nel branco/cerchio", ed il "noviziato". Anche il mondo scientifico, attraverso lo studio della psicologia dell'età evolutiva ha evidenziato l'importanza della "ritualizzazione" nella confermazione delle varie tappe della crescita e particolarmente dell'adolescenza. Un esempio singolare è offerto dall'analisi transazionale (come descritto nel libro di Harris -Io sono ok tu sei ok-) che utilizza strategie comunicative ed espressive finalizzate a far emergere il mondo sommerso del preadolescente per aiutarlo a “rinforzare se stesso” o, in altri termini, “il proprio io”. Queste tecniche contribuiscono a far vivere a pieno i “talenti personali” con dignità e consapevolezza delle proprie capacità e potenzialità. Il percorso, nel caso dell’analisi transazionale, viene realizzato ad esempio attraverso dei giochi collettivi, l’utilizzo delle arti espressive, le tecniche di comunicazione, l’acquisizione di elementi di autoanalisi e gli psicodrammi. Ovviamente la scuola ha un compito formativo potenzialmente privilegiato attraverso la presenza di docenti attenti e motivati capaci di creare “un’alleanza formativa” in sintonia con i genitori impegnati nella crescita dei propri figli.
E’ noto che i bambini, nella prima fase della crescita, sono, abitualmente, affidati alla mamma che accompagna il figlio dal grembo materno per tutta l’infanzia. Il rito del passaggio del fanciullo all’adolescenza è, per tale motivo, preferibilmente affidabile ad una figura maschile, “paterna”, che accompagni il/la bimbo/a – ragazzo/a nel “distacco del cordone ombelicale” simbolico esistente tra madre e figlio per farlo ri-nascere alla vita sociale.

L’amore in adolescenza
Da ormai due generazioni, a livello socioculturale, sono caduti molti tabù rispetto alla sessualità. I giovani e gli adolescenti possono attualmente confrontarsi con gli adulti su questo argomento; la nascita di consultori, l’educazione sessuale a scuola hanno permesso, a livello cosciente, una conoscenza più adeguata e reale del rapporto sessuale facilitando l’accesso all’informazione e l’uso di metodi contraccettivi oltre ad un educazione sanitaria di base. Nonostante ciò il processo psicologico che sottende il raggiungimento di una sessualità adulta, genitale, processo che ha il suo esordio in pubertà e viene elaborato a vari livelli per tutta la durata dell’adolescenza, trovando una sua sistematizzazione nel giovane adulto, è un periodo di elaborazione psichica molto delicato. I divieti e i tabù superegoici sono molto forti, i fantasmi punitivi inconsci scatenano forti angosce nell’adolescente, la sessualità è un campo di battaglia dove tabù superegoici e desideri inconsci si scontrano replicando i conflitti e rievocando i fantasmi della prima infanzia. Secondo S. Freud compito dell’adolescenza è il raggiungimento di una sessualità genitale attraverso l’abbandono dei primi oggetti d’amore infantile (i genitori interiorizzati): questo abbandono può avvenire solo attraverso una ripetizione delle dinamiche inconsce relative a queste prime relazioni, tale ripetizione è fondamentale per la rielaborazione del conflitti psichici e il conseguente rimodellamento dell’apparato psichico. Nel 1922, Freud afferma: “Già nei primi anni dell’infanzia (all’incirca dai due ai cinque anni) si ha una concentrazione degli impulsi sessuali, il cui oggetto per il maschietto è la madre. Questa scelta oggettuale costituisce, insieme al conseguente subentrare della rivalità e dell’ostilità verso il padre, il contenuto del cosiddetto complesso edipico, cui spetta, nella vita di tutti gli essere umani, un’importanza enorme ai fini della configurazione definitiva della vita amorosa.(…) Questo remoto periodo della vita sessuale volge normalmente al termine verso il quinto anno di età e viene sostituito da un periodo di latenza più o meno completo, durante il quale vengono edificate le restrizioni etiche che fungono da protezione contro i moti di desiderio del complesso edipico. Nel periodo successivo della pubertà il complesso edipico torna a vivere nell’inconscio ed è soggetto ad ulteriori trasformazioni.”
Autori successivi, che si sono particolarmente interessati di psicoanalisi dell’infanzia e dell’adolescenza, hanno variamente sottolineato come la riattivazione del complesso di Edipo in pubertà trascini con sé e riattivi fissazioni legate a tutti i precedenti stadi di sviluppo, sollecitando una riedizione di conflitti, non solo relativi allo stadio fallico, bensì anche alle fasi pregenitali che vengono ripresentate e rivissute dall’adolescente nel suo rapporto con il mondo interno ed esterno.
Se a 2-5 anni, il bambino può avere desideri libidici verso il genitore del sesso opposto, al suo desiderio si oppone anche un’immaturità biologica, in adolescenza la situazione cambia. Ecco che mentre il bambino, data questa impossibilità può mantenere il desiderio senza elicitare in modo massivo il tabù e conseguentemente l’angoscia, l’adolescente non può più farlo, deve rigettare violentemente questo desiderio e ogni altro desiderio o fantasia che è in qualche modo in relazione con esso, allontanarsi dall’oggetto e da tutta la costellazione emotiva inerente. La violenza del rigetto si può intravedere attraverso le profonde modificazioni che si riscontrano nel rapporto con i genitori: maggiore conflittualità a cui spesso si associa una profonda insoddisfazione affettiva lamentata dal ragazzo. Da un lato l’adolescente critica i genitori, se ne allontana emotivamente, ricerca affetto e gratificazione nel mondo dei coetanei, dall’altra vive un grosso senso di perdita lamentandosi di una mancanza d’amore e di comprensione da parte dei genitori e del mondo adulto in generale. La libido, e in buona parte l’aggressività, viene bruscamente deviata dalle figure parentali al gruppo dei pari. In poche parole l’oggetto d’amore, così come il rivale, vengono cercati fuori casa, le fantasie amorose, fortemente condizionate da fantasmi edipici e preedipici, cercano altri oggetti nei quali incarnarsi e riattualizzarsi.

L’attività sessuale autocentrata
Benché oggi, l’età del primo rapporto eterosessuale si sia, in media abbassata, esse non coincide certo con quella, assai più precoce, in cui compare e si impone con forza l’interesse per l’altro sesso. Un rapporto adulto, però, richiederebbe una certa maturità emotiva, e la capacità di superare atteggiamenti egocentrici e di decentrarsi sugli altri.
Accade così che la tensione sessuale prende, di solito temporaneamente, altre vie. Può venire repressa, o sublimata, o può tradursi in attività sessuali centrate sul proprio corpo, di cui la più nota è la manipolazione degli organi genitali (masturbazione) compiuta allo scopo di provocare l’orgasmo.
Questa possibilità viene talvolta scoperta per caso, e per quanto essa sia un’esperienza piuttosto generale nell’adolescenza, costituisce sicuramente una fonte di gravi situazioni conflittuali, di sentimenti di paura, e di colpa, e di forme di autosvalutazioni, dovute alla convinzione errata di rappresentare, rispetto ai coetanei, un’eccezione negativa; l’idea cioè di essere i soli, o tra i pochi, che si dedicano a questa attività.

Conclusioni
Si sente spesso dire dagli adulti che l'adolescente << non è né carne né pesce >>, intendendo così evidenziare che egli non è più un bambino, ma al contempo non è ancora un adulto. Si tratta probabilmente di un giudizio difensivo e svalutante, in cui si tende a dire ciò che l'adolescente non è, piuttosto che cercare di capire l'essenza del suo essere. Inoltre con questa operazione riduzionistica e semplificante non si tiene affatto conto della complessa realtà psicodinamica delI'adolescenza come periodo di passaggio dall'infanzia all'età adulta, da un'immagine di sé come bambino ad un'immagine di sé come adulto. L'adolescente avverte in pieno la tensione trasformativa in atto nella sua personalità, e di conseguenza percepisce e soffre dentro di sé la compresenza conflittuale di due componenti antitetiche mescolate: tante nuove scoperte ed esigenze adulte, confusivamente frammiste ai residui delle istanze e dei bisogni infantili. A mio avviso sarebbe quindi più corretto, volendo inquadrare con una battuta questa dimensione transizionale, affermare che l'adolescente vive il dramma esistenziale di sentirsi insieme << sia carne che pesce >>.
Dal punto di vista dell'adolescente gli adulti appaiono come i gestori di una struttura di potere e di controllo, gli appartenenti ad una classe privilegiata e tirannica che opprime il mondo intero. L'adolescente non riesce a dare il giusto valore alla conoscenza ed alle capacità degli adulti; egli ha piuttosto la sensazione che essi siano tutti ipocriti e frodatori, in possesso di qualcosa che non hanno il diritto di possedere, come un'organizzazione aristocratica che tenta di conservare il proprio potere assoluto e prevaricatore. Per converso i bambini vengono considerati dall'adolescente come prigionieri o servi dei loro stessi genitori, schiavi soprattutto ancora delI'illusione che i loro genitori-padroni conoscano tutto e possano fare tutto, mentre egli si sta sempre più rendendo conto di aver creduto troppo a lungo in falsi Dei, ora delusivamente scoperti impotenti e bugiardi.
Nel tentativo di trovare ed esprimere un proprio nuovo modo di essere l'adolescente oscilla continuamente tra due posizioni, vivendo, inoltre, uno stato di grande confusione tra ciò che può portarlo avanti o indietro rispetto a quella che percepisce chiaramente come una scomoda e faticosa situazione intermedia tra infanzia ed età adulta: nel desiderio di staccarsi dalla dimensione infantile, considerata debole e dipendente, L'adolescente teme fortemente la sua stessa grande sensibilità, perchè ha paura che mostrarsi troppo sensibile lo possa far di nuovo scivolare indietro verso l'infanzia e la dipendenza dagli adulti; contemporaneamente, nel desiderio di progredire verso la dimensione adulta, considerata cinica ed assolutista, tende a pensare che l'unico modo di rendersi indipendente sia quello di andare avanti senza pietà sulla strada di un grandioso successo, ed allora scopre la paura di essere costretto a rinunciare completamente alla propria emotività.
Si manifesta allora così pienamente uno dei conflitti principali della crisi adolescenziale, che caratterizza una situazione di sofferenza mentale dell'adolescente stesso che potremmo considerare fisiologica.

SCHEMA N. 1
L'adolescenza come età da studiare: concetti chiave
  • Il pregiudizio dell’adulto: la conoscenza fondata sui ricordi personali.
  • L’interpretazione deformata sulla base delle convinzioni dell’adulto.
  • L’impossibilità di estendere agli altri la nostra personale esperienza.
  • La cultura giovanile, slogan come la fantasia al potere, la contestazione, l’occupazione.
  • L’adolescenza come rinnovamento radicale di tutti gli aspetti della personalità.
  • La capacità di introspezione e la vita interiore fatta di emozioni confuse e profonde, di sentimenti, di propositi, di slanci.
  • Lo svolgersi dell’adolescenza in forma drammatica, tempestosa. Il regno dei contrari, l’oscillare tra posizioni estreme: dall’egoismo all’altruismo, dall’apatia all’attività frenetica dalla depressione melanconica all’euforia-esaltazione.
  • La elaborazione di atteggiamenti personali e di un personale modo di agire che porta all’inquietudine.
  • Il pensiero ipotetico-deduttivo, le situazioni possibili, ipotetiche.
  • La necessità di liberarsi dei legami edipici infantili e di fissare la libido su oggetti esterni alla famiglia, che porta l’adolescente a svalutare i genitori per contrapporsi a loro.
  • Conflittualità e insoddisfazione, ansia e nuovi meccanismi di difesa.
  • Il diario e il bisogno di ritirarsi dalla realtà, il bisogno di chiarezza interiore, di mettere ordine nelle idee, di fermare nel tempo esperienze emotive, di allentare tensioni, di alleggerirsi, di sfogarsi, il gusto dell’autoanalisi.
  • Il conflitto tra forze contrastanti, l’ansia, l’inquietudine, il senso di incertezza, l’essere dilaniato, l’arrovellarsi, l’inconsolabilità, l’irrequietezza, il fare e disfare.
  • Conflitti interpersonali e intrapsichici. L’insicurezza.
  • La maturazione puberale, l’emergere della pulsione sessuale, le nuove forme di sessualità auto ed eterocentrate, l’innamoramento.
  • Il bisogno di autonomia e di individuazione. Le culture giovanili.
  • Il disorientamento e il tentativo di mettere ordine. Il diario.




CAPITOLO 2: L’ALIMENTAZIONE NELLA PUBERTA’

La pubertà è una fase della vita caratterizzata dal fatto che esiste una grande richiesta e spesa di energia, ma anche, molto spesso, da un'abitudine a mangiare in modo sregolato, veicolato dalla pubblicità o semplicemente dal piacere del gusto. Per esempio, bere durante i pasti Coca-Cola è, in pratica, un intervento dannoso nei confronti della digestione degli amidi e delle proteine, là dove, invece, il consumo di succo d'arancia aumenterebbe (fino al raddoppio) l'assorbimento del ferro attraverso il cibo, esclusa la carne.
C'è una forte attenzione al volere essere magri, sia da parte delle femmine che dei maschi, e ciò si può tradurre in un rischio per la salute. Dietro ad una scelta "vegetariana", per esempio, soprattutto se è operata senza controllo, può nascondersi il rischio di una carenza di ferro. Vanno comunque consumati cibi contenenti ferro, tanti adolescenti mangiano molti zuccheri: questo determina un aumento del rischio di carie e comunque diviene l'elemento caratterizzante una dieta scorretta. Una serie di abitudini alimentari corrette evita di ingrassare .Le modalità di comportamento, in termini di alimentazione, degli adolescenti, non di rado si caratterizzano per una scarsa varietà dei cibi scelti: è molto utile insegnare loro a mangiare di tutto, verdura fresca e frutta in particolare.
Comunque, il consiglio da dare agli adolescenti, è quello di non ingerire grosse quantità di zuccheri, perché non sono giustificate nemmeno dalle attività sportive più impegnative, così come è vero che, se è accettabile il pane integrale, lo sono meno, nella pubertà e nell'adolescenza, gli altri cibi integrali. C'è, quindi, in questa età, un grande bisogno di nutrienti: la regola n.l resta la varietà di quanto si mangia.

Anoressia e bulimia: sintomi
Paura di ingrassare, magrezza eccessiva, preoccupazione estrema per peso e aspetto, amenorrea (scomparsa del ciclo) di almeno tre mesi, sono i sintomi standard usati per la diagnosi dell’anoressia. La persona affetta da tale sintomo si pesa più volte al giorno, ha sempre freddo, perde vivacità e entusiasmo ha sbalzi d’umore, si isola, evita situazioni in famiglia e con gli amici, preferisce stare da sola.

Radici
L’anoressia viene allo scoperto quando l’identità della persona entra in crisi. Ma non nasce dall’oggi al domani, ha radici profonde. In genere fin da bambine le anoressiche sono estremamente perfezioniste e ubbidienti, vanno bene a scuola e si impegnano a fondo in ciò che fanno, credono di non valere niente e dicono sempre di si senza manifestare moti di ribellione. Qualsiasi problema a loro non interessa. La fissazione del peso e il vomiting come strumento di evitamento sono le cose più essenziali che governano la giornata dell’anoressica. Naturalmente una posizione così severamente disciplinata determina frequentemente dei contraccolpi per esigenze fisiologiche, così il controllo a regime sfonda i suoi argini e si trasforma in una incontrollata e incontrollabile fame, che porta la persona a improvvisi stati bulimici passando improvvisamente da un rifiuto totale del cibo a un stato compulsivo nei confronti dello stesso.

Cause
La bulimia nervosa ha molti punti in comune con l’anoressia, alla base c’è una profonda insoddisfazione di se e del proprio corpo. A caratterizzare la bulimia sono le frequenti abbuffate compulsive, chi soffre di questo disturbo divora rapidamente una quantità di cibo impressionante, lo fa di nascosto provando una sensazione di totale perdita di controllo. Subito dopo sentendosi in colpa ricorre a comportamenti di compensazione: vomito autoindotto, abuso di lassativi, digiuno, esercizio fisico eccessivo. Tra i campanelli di allarme c’è l’abitudine di alzarsi da tavola subito dopo aver mangiato per andare in bagno a rimettere.
Il Binge eating disorde (disturbo da alimentazione incontrollata) è correlato a problemi di sovrappeso, prevede episodi ricorrenti di abbuffate compulsive che a differenza di quanto avviene con la bulimia non sono seguiti da vomito o digiuno ma solo forte vergogna, sensi di colpa e depressione.

L'anoressia mentale nell'adolescenza
Fin dalle origini della ricerca clinica, l’anoressia mentale si è imposta per la sua individualità ed originalità. Non si tratta di un semplice sintomo, ma di una sindrome i cui elementi oggettivi (la condotta di restrizione alimentare, l’iperattività, la sindrome neuroendocrina) sono gli elementi manifesti di una profonda modificazione del funzionamento mentale e della personalità nel suo insieme.
Le varie scuole psicoanalitiche hanno osservato come l’alterazione dei rapporti delle adolescenti anoressiche con il proprio corpo sono indotte da modalità profondamente regressive del rapporto oggettuale (cioè con gli altri e con le cose), vi è un ritorno a modalità di rapporto più primitive caratteristiche dei primi anni di vita. I fantasmi e imago relative alle dinamiche relazionali inconsce invece di imboccare la strada della elaborazione psichica (ad esempio attraverso il sogno) individuano nel corpo la sede del conflitto: il corpo è quindi l’oggetto privilegiato sia degli attacchi aggressivi, sia degli investimenti narcisistici.
Leggendo la letteratura psicoanalitica sull’argomento si può individuare, nei soggetti anoressici, l’attivazione massiva di una particolare immagine: l’immagine della madre fusionale, imago onnipotente e persecutoria che suscita da un lato un potente desiderio di fusione ma, dall’altro un altrettanto potente angoscia di distruzione ed annientamento. Per Brusset (1992), il conflitto fondamentale nell’anoressia mentale è legato al desiderio di ristabilire l’unità del bambino con la madre in una non differenziazione primitiva che ristabilirebbe, in fantasia ovviamente, l’onnipotenza narcisistica vissuta nella primissima infanzia. Si tratta di un vissuto onnipotente del lattante grazie al quale il bambino non percepisce l’oggetto (la madre) separato dal sé, bensì egli si vive come un tutto psicobiologico con la madre in una sorta di unità simbiotica, la distinzione tra sé e l’altro è molto labile ed il bambino vive la madre come un prolungamento di sé stesso.
Il fondersi equivale però al perdere la propria individualità ed integrità, l’angoscia che scatta automaticamente è l’angoscia di annichilimento; ecco che il fantasma della madre fusionale deve essere tenuto a bada, controllato, e quindi deve essere controllata, bloccata, al limite negata, ogni rappresentazione su cui esso si è incarnato. Nell’anoressia mentale, queste rappresentazioni riguardano prevalentemente il corpo ed il cibo. Per l’anoressica gli aspetti del corpo che possono essere fantasmaticamente luogo di dipendenza dall’oggetto diventano altrettante minacce per la sua autonomia ed integrità.
Dipendenza aborrita ma anche intensamente ricercata, come si può vedere analizzando i legami transferali di queste adolescenti con lo psicoterapeuta e con i medici che le hanno in cura e come si può osservare nel rapporto che esse instaurano con il proprio corpo e con il cibo. Infatti se da un lato la loro condotta alimentare fa pensare ad una negazione del corpo e delle sue esigenze, ad un rifiuto del cibo, in realtà la relazione è molto più complessa e connotata da un’estrema ambivalenza.
Il cibo e il corpo, negati con l’azione manifesta, sono però al centro dei pensieri dell’anoressica, che conta le calorie, parla costantemente del cibo, controlla il suo peso, le sue dimensioni, in una sorta di ruminazione ossessiva che spesso impedisce ogni altro interesse vitale. Se qualche altro interesse permane, come in molti casi lo studio e la scuola, esso perde le sue caratteristiche peculiari per conformarsi alle modalità di rapporto instaurato con il cibo: rispetto allo studio, per esempio, le nozioni sono ingurgitate, calcolate, controllate ed immagazzinate, l’intesse alla conoscenza si perde, il piacere del conoscere scema fino a scomparire, permane soltanto il desiderio di incamerare la nozione e controllarla ossessivamente attraverso il mantenimento di una buona votazione, unico parametro che la ragazza accetta per valutare le sue capacità culturali e scolastiche. L’estrema ambivalenza manifestata nel rapporto con il corpo e il cibo caratterizza anche la relazione che i soggetti anoressici instaurano con le altre persone, compreso lo psicoterapeuta ed i medici che se ne occupano.
Infatti, se da un lato questi soggetti ingaggiano una strenua lotta contro le prescrizioni mediche, lotta fatta di contrattazioni, rifiuti, tentativi di ingannare il medico, dall’altro, però, nella maggior parte dei casi si presentano puntuali alle visite, accettando la visita e gli eventuali esami che vengono prescritti. Il rapporto che tendono ad avere con i curanti potrebbe definirsi come sadomasochistico, basato su un controllo vicendevole: se il medico controlla la salute del paziente, l’anoressico presentandosi alle visite soddisfa la fantasia onnipotente di controllare il medico, instaurando, a livello fantasmatico, un legame libidico - aggressivo molto intenso che ricalca il legame attuale che il ragazzo o la ragazza ha con i genitori. Brusset, parla di rapporto con l’altro del tipo “tutto o nulla”. L’altro è utilizzato come supporto narcisistico, indispensabile ma mai sufficiente. C’è la necessità della presenza di un oggetto idealizzato, sentito come onnipotente per proiezione del narcisismo infantile. L’alternativa è essere con l’altro per fondersi con lui o restare solo.”
Nella mia esperienza clinica ho riscontrato come nelle storie di queste ragazze ci si imbatta spesso in tentativi falliti di allacciare relazioni di questo tipo. Legami molto forti, caratterizzati da un’intensa fusionalità ed una forte idealizzazione dell’oggetto, ed abortiti nel momenti in cui l’oggetto si differenzia manifestando interessi diversi. Spesso si tratta di donne, parenti o amiche della madre sulle quali è stata trasferita, per qualche tempo l’immagine della madre fusionale. La rottura, altrettanto spesso, non viene elaborata mentalmente, non vengono manifestati sentimenti di lutto o depressione, il legame semplicemente non esiste più, la persona viene dimenticata.



CAPITOLO 3: LA TOSSICODIPENDENZA

Cos’ è la droga
Le droghe sono essenzialmente dei veleni. La quantità che se ne assume ne determina l’effetto: una piccola dose agisce da stimolante. Una dose maggiore agisce da sedativo. Una dose ancora più elevata agisce come un veleno e può uccidere una persona. Questo vale per ogni tipo di droga. La quantità varia da droga a droga.
La caffeina è una droga. Il caffè può quindi essere preso come esempio. Con tutta probabilità, cento tazzine di caffè ucciderebbero una persona. Dieci tazzine forse la farebbero addormentare. Due o tre agirebbero su di lei come stimolante. La caffeina è una droga molto comune. Non è particolarmente nociva, dato che sono necessarie delle dosi molto massicce perché abbia effetto. Perciò è nota come stimolante.
Per poter capire le conseguenze che le droghe hanno sulla mente, è necessario sapere qualcosa a proposito della mente. La mente non è il cervello; è la registrazione di pensieri, conclusioni, decisioni, osservazioni e percezioni accumulati da un individuo nel corso della propria esistenza. Qualsiasi persona che non sia particolarmente messa male è in grado di riconoscere la parte più evidente della mente: l’immagine mentale.
Sono molti i fenomeni legati a questa entità chiamata mente. C’è chi, chiudendo gli occhi, vede solo buio; altri vedono immagini.
Una persona che ha preso droghe, in aggiunta ai fattori fisici che vi sono implicati, di quelle droghe conserva le immagini mentali e i loro effetti. Le immagini mentali sono immagini a colori e tridimensionali che contengono suono, odore e tutte le altre percezioni, in aggiunta alle conclusioni o meditazioni della persona. Sono copie mentali delle percezioni di una persona riguardo a un momento del passato anche se, in caso di incoscienza o diminuzione del livello di coscienza, si trovano al di sotto del livello di consapevolezza della persona. Ad esempio, una persona che ha preso LSD conserva nella sua mente “immagini” di quell’esperienza, complete delle registrazioni della vista, delle sensazioni fisiche, degli odori, suoni, ecc. che erano presenti mentre era sotto l’influenza dell’LSD.
Mettiamo che qualcuno abbia preso LSD un giorno in cui si trovava al luna park con degli amici e che le esperienze di quel giorno includessero una sensazione di nausea e stordimento, una discussione con un amico, un senso di tristezza e, più tardi, un’enorme stanchezza. Egli avrebbe le immagini mentali dell’intero episodio.
Anni dopo, se il suo ambiente contenesse una quantità sufficiente di elementi simili a quelli presenti nell’episodio verificatosi nel passato, egli potrebbe subire la riattivazione di quell’episodio. Di conseguenza, senza nessuna ragione apparente, si sentirebbe nauseato, stordito, triste e molto stanco. Stiamo parlando della restimolazione, cioè la riattivazione di un ricordo del passato dovuta al fatto che nel presente esistono circostanze simili che ricordano quelle del passato.
Queste immagini mentali possono anche venir riattivate da residui di droga, dato che la loro presenza nei tessuti del corpo può simulare le esperienze fatte in precedenza con le droghe.
Questi sono gli effetti che il passato consumo di droghe provoca sulla mente. Tuttavia, mentre è ancora in corso, il consumo di droghe crea un effetto analogo e più immediato sulla mente.
Quando una persona fa uso di droghe come la marijuana, la mescalina, l’oppio, la morfina o l’eroina, le immagini mentali del passato possono “riaccendersi” o restimolarsi al di sotto del suo livello di cosciente consapevolezza, facendole percepire qualcosa di diverso rispetto a quanto sta accadendo in realtà.
Pertanto, anche se lo potete vedere e in apparenza sembra essere nella stessa stanza in cui vi trovate e fare le stesse cose che anche voi state facendo, chi si droga in realtà è lì solo parzialmente e in parte è in qualche episodio del passato.
Sembra che sia lì, ma in realtà non è totalmente “allineato” con il presente.
Quello che sta accadendo, secondo un’osservazione razionale, non è la stessa cosa che secondo lui sta accadendo.
Pertanto, egli non comprende le affermazioni fatte da un altro, ma tenta di adattarle alla sua complessa realtà, cioè una realtà fatta d diverse componenti. Per potervele adattare, le deve alterare.
Le droghe influenzano la mente riattivando episodi del passato che si trovano al di sotto del livello di cosciente consapevolezza della persona. Questo può alterare in una persona che fa uso di droga la percezione di quel che succede intorno a lei
Di conseguenza, le sue azioni possono sembrare molto strane o irrazionali.
Non è che la persona non sappia ciò che sta accadendo. Il fatto è che percepisce che sta avvenendo qualcosa di diverso rispetto alla serie di avvenimenti del presente.
Così gli altri le sembrano stupidi, irrazionali o pazzi. Dato che le loro azioni ed i loro ordini non sono in accordo con ciò che lei sta vedendo accadere distintamente, “loro” non sono sensati.
Perciò chi prende droghe, così come il pazzo, si trova più o meno marcatamente su un diverso percorso temporale rispetto agli avvenimenti del “presente”.
Una droga può essere assunta per sfuggire a un presente insopportabile o addirittura per perdere completamente conoscenza.
Ad alcuni succede di non tornare più del tutto nel presente.
Il consumatore di droghe ed il folle, in maniera più o meno marcata, non sono ritornati nel presente. Perciò pensano di trovarsi su un percorso temporale diverso da quello in cui in realtà si trovano.
Dato che ciò che avviene secondo le percezioni, e la realtà soggettiva di una persona del genere è, in maggiore o minor misura, diversa dalla realtà oggettiva degli altri, essa pertanto crea scompiglio nell’ambiente e sconvolge il buon funzionamento di qualsiasi gruppo, sia esso una famiglia, una ditta o una nazione.
Abbiamo tutti conosciuto persone del genere, perciò non sono poi così rare nella società di oggi. Una frase senza senso buttata lì all’improvviso, che non c’entra niente con ciò di cui si sta parlando; lo sguardo vuoto di fronte a un ordine o a un’osservazione... dietro a tutto questo vi è un intero mondo immaginario scosso dai nostri tentativi di far sì che qualcosa venga concluso nel presente.
Le ripercussioni delle droghe, pertanto, vanno ben oltre i loro effetti immediati e spesso coinvolgono, oltre al consumatore, molte altre persone. Le conseguenze, non solo delle droghe illegali ma anche dei farmaci che dovrebbero aiutare la gente, possono essere assai gravi.

Le varie droghe
L’uso delle droghe è vecchio quanto il tentativo di alleviare il dolore e tenere lontani i problemi. Dall’inizio degli anni ’60 però, l’uso delle droghe, prima di allora limitato, si è largamente diffuso. In quel decennio, il fenomeno ha assunto proporzioni mondiali e un’alta percentuale di persone è diventata consumatrice abituale di droghe.
Per droghe intendiamo, fra le tante, i tranquillanti, l’oppio, la cocaina, la marijuana, la mescalina, le anfetamine e le più tremende, l’LSD e la polvere d’angelo, dono degli psichiatri all’uomo. Vi rientrano tutte le sostanze medicinali, anch’esse da considerarsi a pieno titolo come droghe. Le droghe sono droghe. Sono migliaia le denominazioni commerciali e gergali assegnate a queste sostanze. Lo stesso alcol è da classificarsi come droga.
Si dice che le droghe facciano cose meravigliose ma, in realtà, tutto ciò che fanno è rovinare chi le prende.
I problemi creati dalla droga non finiscono quando si cessa di farne uso. Gli effetti accumulatisi per l’uso di sostanze stupefacenti possono lasciare gravi menomazioni, sia fisiche che mentali. Anche chi non consuma più droghe da anni, può manifestare dei “momenti di vuoto”. Le droghe possono intaccare la capacità di una persona di concentrarsi, di lavorare, di imparare: in breve, possono distruggere una vita.
Benché i pericoli e i rischi delle droghe siano sfacciatamente ovvi e sempre meglio documentati, la gente continua a farne uso. Perché?
Quando una persona è depressa o sofferente e il trattamento a cui si sottopone non la fa stare meglio fisicamente, alla fine scoprirà da sola che le droghe rimuovono i sintomi che manifesta.
Ciò vale anche per i dolori “psicosomatici”. Il termine “psicosomatico” si riferisce all’attività della mente in quanto causa di malattie fisiche, o ad una malattia originata tramite la mente. “Psico” significa “della mente”, “soma” significa “corpo”.
In quasi tutti i casi di dolore, malattia o disturbo psicosomatici, le persone hanno cercato un rimedio al loro disagio.
Quando, alla fine, scoprono che solo le droghe procurano sollievo, si arrendono ad esse e ne diventano dipendenti, spesso fino all’assuefazione.
Nel passato, se fossero esistiti altri rimedi, la maggior parte delle persone li avrebbe usati. Quando però viene detto loro che non esiste nessuna cura, che i loro dolori sono “immaginari”, la vita tende a diventare insopportabile. A quel punto possono diventare dei consumatori abituali di droga e corrono il rischio di cadere nella tossicodipendenza.
Il tempo necessario perché subentri l’assuefazione naturalmente varia. Il disagio stesso può essere nient’altro che “tristezza” o “spossatezza”. La capacità di affrontare la vita è comunque ridotta.
Ogni sostanza che dia sollievo o renda la vita meno opprimente, sia fisicamente che mentalmente, sarà quindi la benvenuta.
Le malattie psicosomatiche trovano terreno fertile in ambienti instabili e insicuri. Quindi un governo, prima di colpire troppo duramente la diffusione dell’uso delle droghe, dovrebbe riconoscere che è un sintomo del fallimento della psicoterapia. Il sociologo, lo psicologo, lo psichiatra e i ministri della sanità hanno fatto fiasco nel risolvere la diffusione delle malattie psicosomatiche.
Sarebbe troppo semplice attribuire la colpa del problema droga alla “tensione sociale” o al “ritmo della vita moderna”.
I consumatori di droghe, secondo quanto osservato, hanno iniziato ad assumerle a causa di dolori fisici o perché spinti dallo sconforto.
Trascinatovi dal dolore e dalla disperazione dell’ambiente, il consumatore continua ad assumere droghe. Pur non volendo diventare un tossicodipendente, non vede altra soluzione.
Tuttavia, con un rimedio appropriato, si può vincere la dipendenza.
Una persona cessa di aver bisogno delle droghe non appena è in grado, quando non le prende, di sentirsi più in forma e più abile, mentalmente e fisicamente, di quando le prende.
La tossicodipendenza è stata minimizzata dalla psichiatria come cosa “di poco conto”, e la piaga sociale del consumo di droga è stata totalmente trascurata dagli psichiatri, anzi, sono stati proprio loro a mettere in circolazione e a rendere popolare l’LSD. E molti di loro sono spacciatori.
Gli enti statali hanno clamorosamente fallito nel tentativo di frenare l’aumento del consumo di droga, e i rimedi sono stati inefficaci e poco diffusi.
Chi consuma droga è esposto, anche dopo aver smesso, a imprevisti “momenti di vuoto” e a periodi di irresponsabilità, e tende ad ammalarsi facilmente.

Motivi che spingono una persona a drogarsi
Quando una persona non trova la soluzione a un problema, che può essere un disturbo fisico o disperazione...
...prima o poi si accorge che le droghe alleviano i sintomi.
Tuttavia il problema non è sparito ma soltanto mascherato dalle sostanze stupefacenti e, fino a quando non viene efficacemente risolto, la persona dipende dalle droghe o diventa un tossicomane.


Droga come problema sociale
Non è un’esagerazione affermare che la droga è diventata ormai il problema sociale che più ci tormenta. Questa piaga colpisce ogni sfera della vita. Criminalità e violenza sono le sue conseguenze più ovvie, per non parlare dell’amoralità, dei fallimenti nel campo dell’istruzione e delle vite rovinate, conseguenze altrettanto gravi e diffuse.
Il problema non è circoscritto alle cosiddette droghe di strada. Gli effetti dei farmaci prescritti da medici e psichiatri – analgesici, tranquillanti e “antidepressivi” – sono altrettanto disastrosi.
L. Ron Hubbard ha affrontato questo problema non tanto per risolvere i disagi fisici delle persone, quanto per continuare la sua ricerca indirizzata a rendere libero l’uomo come essere e per abbattere, lungo il percorso, qualsiasi barriera vi si frapponesse. E le droghe rappresentavano questo genere di barriera.
Prima che L. Ron Hubbard sviluppasse un programma di riabilitazione per i tossicodipendenti, in grado di produrre dei buoni risultati, non esisteva altra soluzione. I programmi di stampo psichiatrico macinavano molti più fallimenti che successi; alcuni di essi, addirittura, creavano soltanto delle tossicodipendenze ancora più gravi. Altre persone, mosse da migliori intenzioni, si accorsero che i buoni propositi non bastavano. Mancava una tecnologia in grado di produrre risultati.
Il programma ideato da L. Ron Hubbard fornisce questa tecnologia. Questo metodo di riabilitazione – il migliore al mondo in termini di completezza e risultati – aiuta il tossicodipendente a scoprire la ragione per la quale ha iniziato a prendere droghe, elimina i danni mentali e spirituali prodotti dalle sostanze stupefacenti, disintossica l’organismo dai residui delle droghe che per lungo tempo vi permangono e fornisce alla persona gli strumenti che le permettono di non cadere più nella trappola della droga. Oggi, per la prima volta, come centinaia di migliaia di persone possono confermare, tossicodipendenti ed alcolizzati possono liberarsi da questa tirannia e affrontare la vita con rinnovato vigore e speranza. Questo capitolo illustra alcuni dei principi elementari di questo programma e, per la prima volta, consente di comprendere i problemi legati all’abuso di sostanze stupefacenti.

Psicoanalisi e droga
Lo psicoanalista, in ragione del suo lavoro, è in contatto continuo con la sofferenza umana e l’osservatorio privilegiato costituito dalle sedute individuali (tanto più profondo quanto più protratto è il tempo di seduta) gli consente di raccogliere ciò che di più intimo e vero alberga nell’animo umano. Nel corso di una interazione così profonda progressivamente le bugie, le manipolazioni, i camuffamenti, le razionalizzazioni cedono il passo ad associazioni mentali via via più sincere e vicine al dato realmente presente nella parte più ricca, energeticamente potente della nostra personalità: l’inconscio.
Se si potesse misurare la distanza tra ciò che effettivamente l’essere umano vive da un punto di vista psichico ed emozionale e ciò che racconta o crede di vivere, saremmo senz’altro costretti a ricorrere agli anni-luce. Uno dei problemi sociali che maggiormente è soggetto a fenomeni di massa di diniego, rimozione o deformazione è senz’altro quello della tossicodipendenza. Ed al contempo questa drammatica realtà trascina con sè un grande bagaglio di sofferenza per il tossicodipendente e per la sua famiglia.
In un articolo dedicato alla divulgazione non ci si può esimere da approssimazioni e da cesure espositive. Conscio di questi inevitabili limiti, non posso però fare a meno di esprimere il mio modesto punto di vista che spesso non collima con visioni sociologiche o “psicologichesi” del problema. Innanzitutto vorrei ricordare una cosa elementare: al di là di una piccola percentuale di casi in cui nella condotta tossicomaniaca si reperisca l’assenza di una conflittualità psichica rilevante, il tossicodipendente è un malato come un altro: dovremmo dunque sforzarci di associarlo mentalmente a qualsiasi altro malato portatore di una affezione somatica grave potenzialmente mortale (il cardiopatico grave, il malato neoplastico, per esempio, verso i quali non proviamo difficoltà alcuna a nutrire spontanei ed intensi sentimenti di pietas). Questa affermazione che potrebbe essere ritenuta addirittura pleonastica tanto appare ovvia, in genere suscita vibranti dissensi proprio da parte dei tossicodipendenti, i quali, in ragione dello smisurato senso di onnipotenza che caratterizza la loro struttura di personalità ed impedisce di percepire il reale pericolo connesso con l’uso del farmaco, tendono ad ammantare, per razionalizzazione difensiva, l'intenso e coatto bisogno inconscio, con la rivendicazione di una vita diversa, eroica, protesa verso l’infinito, staccata con disprezzo dalle bassezze della quotidianità borghese. Ho ormai preso l’abitudine automatica di tirare un sospiro di sollievo quando ascolto un sincero “Dottore, mi aiuti” da parte del tossicodipendente.
Il malato che richiede aiuto si situa già nella dimensione avanzata di colui che sta già tentando dentro di sé di arginare il male, ne percepisce la pericolosità, ed ha maturato quell’ovvia considerazione, innata nei soggetti immuni dall’appetenza alle droghe, che non vi può essere libertà alcuna in presenza del bisogno coatto. I secondi a dolersi di tale ovvia considerazione sono le persone costrette dalla propria paura ed aggressività inconscia ad eliminare totalmente qualsiasi pur lontana possibilità di comunanza tra sé e l’Altro, il Delinquente, il Deviante, un po’ come qualche decennio fa si faceva comunemente con i malati di mente. Ma il tossicodipendente è un malato particolare: uno dei segni caratteristici della sua “malattia” si fonda sull’intensa appetenza psichica alla droga; è infatti ormai fuor di dubbio, per chi abbia una pur minima esperienza clinica, che la cosiddetta “sindrome da astinenza”, tanto drammatizzata in passato, dal punto di vista dei disturbi strettamente somatici non ha nulla di particolarmente imponente e preoccupante, è di pronta risoluzione, con presidi farmacologici addirittura banali. Il problema centrale è che nessuno finora è stato disposto a formulare l’ovvia domanda: ”Perché esiste questa appetenza psichica?”. La risposta, anche se può apparire sconcertante, è che questi soggetti hanno un reale bisogno di quella sostanza farmacologica socialmente denominata “droga”. Ne hanno bisogno perché placa transitoriamente l’intensa angoscia e l’intollerabile conflittualità interna che li agita.
Se l’eroina non avesse presentato gli spiacevoli effetti collaterali che ben conosciamo ed il fenomeno della tachifilassi, cioè la necessità di aumentare progressivamente le dosi dovuta al rapido processo di intervenuta tolleranza, per sortire lo stesso effetto farmacologico, la sua diffusione sarebbe enorme e sarebbe considerata uno psicofarmaco come un altro. Perché non si considera mai che l’eroina, derivato semisintetico della morfina, è in fondo un potentissimo tranquillante sia per via della sua azione diretta (raramente, come d’altra parte tutti i tranquillanti, provoca disforia), che per il noto effetto flash di deconnessione con il proprio io che il tossicodipendente ricerca? Il tossicodipendente ricerca l’eroina come un malato terminale oncologico ricercherebbe qualsiasi presidio terapeutico possa calmare il suo dolore. E poco importa se la sofferenza è percepita a livello del soma o a livello psichico: sempre di sofferenza si tratta.
Ma la tossicodipendenza da oppiacei non può essere ritenuta una sindrome a sé stante: essa è un sintomo di una situazione di alta conflittualità psicobiologica. E non può esservi risoluzione alcuna senza un processo di presa di coscienza dei conflitti profondi che nutre l’appetenza. In fondo il tossicodipendente, assumendo l’eroina non fa che operare un inconscio (e disastroso) tentativo di autoterapia che se da una parte gli consente comunque di vivere, dall’altra gli permette di mantenere inalterato il suo stato patologico di onnipotenza: ”Io non sono un malato di mente. Sono semplicemente diverso!”. L’essere umano che per le caratteristiche del suo terreno psicobiologico finisce per sviluppare una tossicodipendenza, con l’alta pulsionalità di morte che lo contraddistingue (in termini usuali, la sua auto ed etero distruttività) è sempre esistito: nelle generazioni lontane partiva in guerra come volontario nei reparti d’assalto, negli anni cinquanta attaccava la sua vita alla ruota del caso nel corso di folli e spesso mortali raids in automobile o in motocicletta. Oppure, nella generazione che ci ha preceduto, sviluppava una sindrome alcolomaniaca. Il tossicodipendente attuale è particolarmente sfortunato: in primo luogo ha incontrato sul suo cammino delle molecole diaboliche, molto più aggressive e mortifere delle precedenti, in secondo luogo non può facilmente mascherare in modo socialmente accettabile il suo problema; infine l’illegalità del mercato lo rendono automaticamente un delinquente.
Uno dei discorsi francamente disarmante che spesso viene fatto, purtroppo anche da alcuni operatori, è quello delle responsabilità, un discorso che spesso alimenta all’interno delle famiglie uno stato di penosa conflittualità e nutre profondi e dolorosi sensi di colpa specialmente nei genitori.
E’ questo un discorso che, con l’approfondita osservazione della situazione, alla lente d’ingrandimento costituita dall’indagine psicoanalitica, perde molta parte della sua fondatezza e acquisisce una certa relatività. Perchè, la storia conflittuale che alimenta la situazione di tossicodipendenza nel singolo membro della famiglia è spesso iniziata generazioni addietro, ha trovato in altri membri della famiglia altre modalità di rappresentazione (malattie somatiche gravi, fallimenti sentimentali o lavorativi, condotte sociali pericolose o devianti, ecc.) e solo nel momento attuale, lo stesso trauma transgenerazionale acquisisce le stigmate della tossicodipendenza. Spesso, servendosi di quella preziosa metodica utilizzata dalla scuola micropsicoanalitica che è lo studio genealogico, e che consiste in una meticolosa ricerca che si serve di fonti documentarie diverse, quali lettere, fotografie, archivi familiari, mappe delle case, ecc., il giovane tossicodipendente ha la possibilità di riconoscere, in tentativi che hanno interessato le generazioni che lo hanno preceduto, lo stesso terreno gravido di pulsione di morte che lo contraddistingue. Questa verifica di realtà, se viene condivisa dal gruppo familiare attuale, sarà fonte di grande sollievo, in primo luogo perché avere la percezione che si tratta di fatti traumatici che si ripetono in forme diverse, disinnesca la drammaticità artificiosa della penosa sensazione di estraneità ed incomprensibilità di ciò che sta accadendo e costituisce un primo riscontro di familiarità tra il giovane e la sua famiglia. La chiara percezione di avvenimenti traumatici che si succedono nel corso delle generazioni priva la tossicodipendenza di quel bruciante senso di irreparabilità, di spaventosa estraneità, di diabolicità che una volta, quando ero bambino, ammantava la rappresentazione popolare dei tumori maligni, una cosa che nemmeno si osava nominare.
Questo costituisce il primo importante passo: avere la consapevolezza che il caso di tossicodipendenza non è il primo avvenimento che, venendo a scuotere quella retroattiva idealizzazione di ogni Storia Familiare, giunge a tormentare la famiglia. Il giovane ha così modo di liberare le sue spalle dal grave fardello dell’alienità che lo fa sentire un mostro senza radici. Se inizierà e porterà a termine una ricerca psicoanalitica, pian piano, insieme alla progressiva neutralizzazione della conflittualità inconscia che nutre l’appetenza per la droga, avrà modo di scoprire che la tormentosa ambivalenza che lo spinge a combattere contro i suoi genitori ed il mondo intero, è solo l’ennesima replica, che scrittura attori inconsapevoli, di un copione di rappresentazioni ed affetti che ha un’origine lontana e di cui, spesso, si sono persi i codici di espressione. Dare una voce a questo lontano, traumatico passato, è l’unico modo che abbiamo per renderlo energeticamente inerte. E in modo definitivo.

Cosa dice la legge
Definire il concetto di droga si rivela un'impresa piuttosto ardua. Da un punto di vista medico la droga è stata definita dall' Organizzazione Mondiale della Sanità come "sostanza in grado di modificare una o più funzioni quando introdotta nell'organismo". Una tale definizione è molto vasta e droga può essere considerato qualunque farmaco e, finanche le più semplici bevande. Dal punto di vista farmacologico droga indica quella sostanza in grado di modificare la normale attività cerebrale. In tal senso il fumo, l'alcool, il caffè, il the, la cannella sono droghe. Dal punto di vista legale, la droga è indicata come "stupefacente" e si intende con ciò qualunque sostanza che sia dannosa al soggetto in quanto ne altera il comportamento e, conseguentemente, sia dannosa anche alla società.
Comunemente, nel linguaggio giornaliero si indica con il termine droga una classe di sostanze, sia vegetali che sintetiche, i cui effetti sull'attività cerebrale sono particolarmente spiccati e che sono oggetto di commercio illecito.Di fronte ad una tale polivalenza di significati, l'Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1964 ha ritenuto opportuno definire due concetti, oggi universalmente accettati, che sono i cardini del discorso: la TOSSICOMANIA e l'ABITUDINE. La prima è caratterizzata da un invincibile bisogno o desiderio di continuare ad assumere droga e di procurarsela con tutti i mezzi; la seconda prevede un desiderio, una necessità a continuare ad assumere la sostanza per il senso di aumentato benessere che essa produce.
In base alla definizione di droga anche la stessa nicotina dovrebbe essere considerata come tale. Infatti è noto a tutti che il tabacco produce una blanda e generica azione di stimolo su tutto il sistema nervoso centrale, ma contrariamente alle altre droghe, non è responsabile di comportamenti antisociali e paracriminali; da ciò ne deriva che sebbene sia un prodotto nocivo poiché ha qualità particolarmente cancerogene, il tabacco può essere considerato come una droga a tutti gli effetti in quanto sussistono anche se in modo "marginale" i danni provocati all'organismo e quelle particolari caratteristiche rilevanti su di una persona drogata come l'assuefazione, la progressiva abitudine, cioè, dell'organismo alla sostanza e quindi ai suoi effetti o una dipendenza psichica, il bisogno psicologico, cioè di assumere abitualmente una determinata sostanza. Rimane comunque, una certa resistenza nel considerare il tabacco contenuto nelle sigarette una droga da porre sullo stesso piano della marijuana, dell'anfetamina, degli oppiacei.

Tossicodipendenza e sofferenza familiare
Uno dei problemi sociali che maggiormente è soggetto a fenomeni di massa di diniego, rimozione o deformazione è senz’altro quello della tossicodipendenza. Ed al contempo questa drammatica realtà trascina con sè un grande bagaglio di sofferenza per il tossicodipendente e per la sua famiglia. Innanzitutto vorrei ricordare una cosa elementare: al di là di una piccola percentuale di casi in cui nella condotta tossicomaniaca si reperisca l’assenza di una conflittualità psichica rilevante, il tossicodipendente è un malato come un altro: dovremmo dunque sforzarci di associarlo mentalmente a qualsiasi altro malato portatore di una affezione somatica grave potenzialmente mortale (il cardiopatico grave, il malato neoplastico, per esempio, verso i quali non proviamo difficoltà alcuna a nutrire spontanei ed intensi sentimenti di pietas).
Questa affermazione che potrebbe essere ritenuta addirittura pleonastica tanto appare ovvia, in genere suscita vibranti dissensi proprio da parte dei tossicodipendenti, i quali, in ragione dello smisurato senso di onnipotenza che caratterizza la loro struttura di personalità ed impedisce di percepire il reale pericolo connesso con l’uso del farmaco, tendono ad ammantare, per razionalizzazione difensiva, l'intenso e coatto bisogno inconscio, con la rivendicazione di una vita diversa, eroica, protesa verso l’infinito, staccata con disprezzo dalle bassezze della quotidianità borghese. Ho ormai preso l’abitudine automatica di tirare un sospiro di sollievo quando ascolto un sincero “Dottore, mi aiuti” da parte del tossicodipendente. Il malato che richiede aiuto si situa già nella dimensione avanzata di colui che sta già tentando dentro di sé di arginare il male, ne percepisce la pericolosità, ed ha maturato quell’ovvia considerazione, innata nei soggetti immuni dall’appetenza alle droghe, che non vi può essere libertà alcuna in presenza del bisogno coatto.
I secondi a dolersi di tale ovvia considerazione sono le persone costrette dalla propria paura ed aggressività inconscia ad eliminare totalmente qualsiasi pur lontana possibilità di comunanza tra sé e l’Altro, il Delinquente, il Deviante, un po’ come qualche decennio fa si faceva comunemente con i malati di mente. Ma il tossicodipendente è un malato particolare: uno dei segni caratteristici della sua “malattia” si fonda sull’intensa appetenza psichica alla droga; è infatti ormai fuor di dubbio, per chi abbia una pur minima esperienza clinica, che la cosiddetta “sindrome da astinenza”, tanto drammatizzata in passato, dal punto di vista dei disturbi strettamente somatici non ha nulla di particolarmente imponente e preoccupante, è di pronta risoluzione, con presidi farmacologici addirittura banali. Il problema centrale è che nessuno finora è stato disposto a formulare l’ovvia domanda: ”Perché esiste questa appetenza psichica?”. La risposta, anche se può apparire sconcertante, è che questi soggetti hanno un reale bisogno di quella sostanza farmacologica socialmente denominata “droga”. Ne hanno bisogno perché placa transitoriamente l’intensa angoscia e l’intollerabile conflittualità interna che li agita. Se l’eroina non avesse presentato gli spiacevoli effetti collaterali che ben conosciamo ed il fenomeno della tachifilassi, cioè la necessità di aumentare progressivamente le dosi dovuta al rapido processo di intervenuta tolleranza, per sortire lo stesso effetto farmacologico, la sua diffusione sarebbe enorme e sarebbe considerata uno psicofarmaco come un altro. Perché non si considera mai che l’eroina, derivato semisintetico della morfina, è in fondo un potentissimo tranquillante sia per via della sua azione diretta (raramente, come d’altra parte tutti i tranquillanti, provoca disforia), che per il noto effetto flash di deconnessione con il proprio io che il tossicodipendente ricerca?
Il tossicodipendente ricerca l’eroina come un malato terminale oncologico ricercherebbe qualsiasi presidio terapeutico possa calmare il suo dolore. E poco importa se la sofferenza è percepita a livello del soma o a livello psichico: sempre di sofferenza si tratta. Ma la tossicodipendenza da oppiacei non può essere ritenuta una sindrome a sé stante: essa è un sintomo di una situazione di alta conflittualità psicobiologica. E non può esservi risoluzione alcuna senza un processo di presa di coscienza dei conflitti profondi che nutre l’appetenza. In fondo il tossicodipendente, assumendo l’eroina non fa che operare un inconscio (e disastroso) tentativo di autoterapia che se da una parte gli consente comunque di vivere, dall’altra gli permette di mantenere inalterato il suo stato patologico di onnipotenza: ”Io non sono un malato di mente. Sono semplicemente diverso!”. L’essere umano che per le caratteristiche del suo terreno psicobiologico finisce per sviluppare una tossicodipendenza, con l’alta pulsionalità di morte che lo contraddistingue (in termini usuali, la sua auto ed etero distruttività) è sempre esistito: nelle generazioni lontane partiva in guerra come volontario nei reparti d’assalto, negli anni cinquanta attaccava la sua vita alla ruota del caso nel corso di folli e spesso mortali raids in automobile o in motocicletta.
Oppure, nella generazione che ci ha preceduto, sviluppava una sindrome alcolomaniaca. Il tossicodipendente attuale è particolarmente sfortunato: in primo luogo ha incontrato sul suo cammino delle molecole diaboliche, molto più aggressive e mortifere delle precedenti, in secondo luogo non può facilmente mascherare in modo socialmente accettabile il suo problema; infine l’illegalità del mercato lo rendono automaticamente un delinquente. Uno dei discorsi francamente disarmante che spesso viene fatto, purtroppo anche da alcuni operatori, è quello delle responsabilità, un discorso che spesso alimenta all’interno delle famiglie uno stato di penosa conflittualità e nutre profondi e dolorosi sensi di colpa specialmente nei genitori. E’ questo un discorso che, con l’approfondita osservazione della situazione, alla lente d’ingrandimento costituita dall’indagine psicoanalitica, perde molta parte della sua fondatezza e acquisisce una certa relatività. Perchè, la storia conflittuale che alimenta la situazione di tossicodipendenza nel singolo membro della famiglia è spesso iniziata generazioni addietro, ha trovato in altri membri della famiglia altre modalità di rappresentazione (malattie somatiche gravi, fallimenti sentimentali o lavorativi, condotte sociali pericolose o devianti, ecc.) e solo nel momento attuale, lo stesso trauma transgenerazionale acquisisce le stigmate della tossicodipendenza. Spesso, servendosi dello studio genealogico, e che consiste in una meticolosa ricerca che si serve di fonti documentarie diverse, quali lettere, fotografie, archivi familiari, mappe delle case, ecc., il giovane tossicodipendente ha la possibilità di riconoscere, in tentativi che hanno interessato le generazioni che lo hanno preceduto, lo stesso terreno gravido di pulsione di morte che lo contraddistingue.
Questa verifica di realtà, se viene condivisa dal gruppo familiare attuale, sarà fonte di grande sollievo, in primo luogo perché avere la percezione che si tratta di fatti traumatici che si ripetono in forme diverse, disinnesca la drammaticità artificiosa della penosa sensazione di estraneità ed incomprensibilità di ciò che sta accadendo e costituisce un primo riscontro di familiarità tra il giovane e la sua famiglia. La chiara percezione di avvenimenti traumatici che si succedono nel corso delle generazioni priva la tossicodipendenza di quel bruciante senso di irreparabilità, di spaventosa estraneità, di diabolicità che una volta, quando ero bambino, ammantava la rappresentazione popolare dei tumori maligni, una cosa che nemmeno si osava nominare. Questo costituisce il primo importante passo: avere la consapevolezza che il caso di tossicodipendenza non è il primo avvenimento che, venendo a scuotere quella retroattiva idealizzazione di ogni Storia Familiare, giunge a tormentare la famiglia. Il giovane ha così modo di liberare le sue spalle dal grave fardello dell’alienità che lo fa sentire un mostro senza radici. Se inizierà e porterà a termine una ricerca psicoanalitica, pian piano, insieme alla progressiva neutralizzazione della conflittualità inconscia che nutre l’appetenza per la droga, avrà modo di scoprire che la tormentosa ambivalenza che lo spinge a combattere contro i suoi genitori ed il mondo intero, è solo l’ennesima replica, che scrittura attori inconsapevoli, di un copione di rappresentazioni ed affetti che ha un’origine lontana e di cui, spesso, si sono persi i codici di espressione. Dare una voce a questo lontano, traumatico passato, è l’unico modo che abbiamo per renderlo energeticamente inerte. E in modo definitivo.



CAPITOLO 4: ALCOLDIPENDENZA

L'Alcoldipendenza o Alcolismo è un fenomeno che si verifica in una percentuale di consumatori di alcolici ed è caratterizzata dall'impossibilità di smettere l'uso di alcol, nonostante la persona si renda conto che quella sostanza (alcol etilico) le fa male e che quindi voglia smettere di assumerla. In altre parole, quella persona si trova ad essere schiava dell'alcol e a non poterlo più controllare. Possiamo fare diagnosi di dipendenza alcolica se ci troviamo in presenza di almeno tre o più delle seguenti caratteristiche:
  1. Bisogno di dosi sempre più elevate di alcol per raggiungere l'effetto desiderato (aumento della tolleranza o assuefazione).
  2. Comparsa di malessere (fisico e/o psichico) se la persona non beve (sindrome di astinenza).
  3. Impossibilità di controllarsi nel bere.
  4. Desiderio persistente della sostanza e impossibilità di ridurne l'uso.
  5. Continua ricerca della sostanza fino ad arrivare al punto che gran parte del suo tempo viene speso in questa ricerca o per riprendersi dagli effetti dell'intossicazione.
  6. Interruzione di attività lavorative, ricreative, contatti sociali, a causa dell'uso della sostanza.
  7. Persistere nell'uso della sostanza nonostante la consapevolezza delle conseguenze negative (fisiche, psichiche, sociali).

Le conseguenze dell'Alcolismo
L'alcolismo si sviluppa progressivamente in un periodo di tempo più o meno lungo (di solito anni) e comporta una serie di conseguenze a livello fisico, psichico e sociale. I danni possono colpire qualunque persona, di ogni età sesso e ceto sociale e possono colpire vari settori della vita di una persona. Possiamo parlare infatti di:
  • Danni fisici
    genetici, metabolici, neurologici
  • Danni psichici
    disturbi psichici di varia natura che provocano sofferenza e facilitano la ricerca dell'alcol come conforto
  • Danni sociali
    cultura del bere, pressione sociale, abitudini e stile di vita.

Le cause dell'Alcolismo
Fino a non molti anni fa si pensava che l'alcolismo fosse un vizio, cioè un comportamento volontario negativo e quindi moralmente riprovevole. Negli ultimi anni invece è apparso sempre più evidente, in seguito al progresso delle conoscenze scientifiche sull'argomento, che la dipendenza da alcol è dovuta non tanto alla mancanza di volontà del soggetto, ma ad una serie di fattori che possiamo raggruppare in:
  • fisici
    genetici, metabolici, neurologici
  • psichici
    disturbi psichici di varia natura che provocano sofferenza e facilitano la ricerca dell'alcol come conforto
  • sociali
    cultura del bere, pressione sociale, abitudini e stile di vita.

Ciascuno di questi fattori, da solo, non è in grado di creare disturbo e quindi, perché il problema si manifesti, è necessario che siano contemporaneamente presenti più fattori come condizione predisponente e che sopravvenga una causa occasionale scatenante. Una volta che il disturbo è apparso, il suo mantenimento sarà reso possibile da altri fattori, cosiddetti perpetuanti, vale a dire da fattori che contribuiscono a far continuare il legame del soggetto con l'alcol.

Vizio o malattia?
In base alle nuove conoscenze, sappiamo che il soggetto dipendente da alcol non ha più il controllo volontario sulla sostanza. I suoi comportamenti sono dettati da meccanismi che scattano automaticamente e lo rendono schiavo impedendogli di staccarsi dalla sostanza, anche quando lui stesso si rende conto che è indispensabile farlo. E' per questo motivo che attualmente gli studiosi considerano l'alcolismo una malattia e non più un vizio. Nel vizio è il soggetto che controlla l'alcol, nella malattia è l'alcol che controlla il soggetto.

Si può curare l'Alcolismo?
Un tempo l'alcolismo, essendo considerato un vizio, veniva solo biasimato e condannato. Ora che è apparso chiaro che si tratta di una malattia, viene affrontato come tutte le altre malattie, cioè con la ricerca di rimedi efficaci per risolvere i tanti danni che provoca sia all'individuo che all'intera società. Negli ultimi anni sono stati sviluppati molti programmi terapeutici che si sono sempre più affinati, permettendoci di vedere risultati concreti che un tempo erano impensabili. E questi risultati costituiscono una realtà per tante persone che riescono a trarne beneficio e una fonte di speranza e di incoraggiamento per quanti sono ancora in preda alla dipendenza, ma che vogliono venirne fuori. Possiamo quindi affermare senza dubbio che l'alcolismo si può curare, anche se questo non significa che sia facile farlo. Questa malattia è caratterizzata infatti dal rischio costante di ricaduta, per cui non basta smettere di bere, ma è fondamentale non ricominciare a farlo. Smettere può non essere difficile, ma continuare a restare in sobrietà non è altrettanto facile. Perché una persona possa curarsi è indispensabile che abbia la spinta giusta a farlo, che sia cioè motivata correttamente. La motivazione scatta quando una persona si rende conto che l'alcol costituisce un problema e che non riesce a risolverlo da sola. Constata che la sua vita viene pesantemente condizionata da quella dipendenza e che i problemi che ne derivano gettano la persona stessa e chi le vive accanto in un vero e proprio inferno. Arriva un momento in cui non è possibile andare avanti a vivere in quel modo. Questo è il momento giusto per smettere. Per alcuni, purtroppo, questa consapevolezza non si verifica o arriva troppo tardi, quando i danni sono ormai irreversibili.
Spesso la persona può tentare da sola di smettere ma, se non ci riesce, non deve demoralizzarsi, perché questa malattia è una "piovra" soffocante che lo sovrasta; allora è necessario chiedere aiuto ad esperti che possano fornirle tutto l'appoggio e le conoscenze per uscire dal problema.



CAPITOLO 5: IL BULLISMO

Definizione e forme
"Bullying", di cui l'italiano "bullismo" è la traduzione letterale, è il termine ormai comunemente usato nella letteratura internazionale sull'argomento per definire un fenomeno sommerso, eppure incredibilmente diffuso. È una forma di oppressione, in cui la giovane vittima sperimenta, per opera di un coetaneo prevaricatore, una condizione di profonda sofferenza, di grave svalutazione della propria identità, di crudele emarginazione dal gruppo. Dan Olweus considerato la massima autorità mondiale in materia, definisce il bullismo nel modo seguente: "uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o di più compagni." (Olweus, 1986 1991). Un comportamento da "bullo" è un tipo di azione (individuale o collettiva) che mira deliberatamente a ferire; spesso è persistente, talvolta dura per settimane, mesi e persino anni ed è difficile per coloro che ne sono vittime difendersi. Alla base della maggior parte dei comportamenti sopraffattori c'è un abuso di potere e un desiderio di intimidire e dominare. Il bullismo assume forme differenti:
  • fisiche: colpire con pugni o calci, appropriarsi di, o rovinare, gli effetti personali di qualcuno;
  • verbali: deridere, insultare, prendere in giro ripetutamente, fare affermazioni razziste;
  • indirette: diffondere pettegolezzi fastidiosi, escludere qualcuno da gruppi di aggregazione.

Le vittime dei bulli hanno vita difficile, possono sentirsi oltraggiate, possono provare il desiderio di non andare a scuola. Nel corso del tempo è probabile che perdano sicurezza e autostima, rimproverandosi di "attirare" le prepotenze dei loro compagni. Questo disagio può influire sulla loro concentrazione e sul loro apprendimento. Alcuni ragazzi possono presentare sintomi da stress, mal di stomaco e mal di testa, incubi o attacchi d'ansia. Altri si sottrarranno al ruolo di vittima designata dei bulli marinando la scuola. Altri ancora potranno persino sviluppare il timore di lasciare la sicurezza della propria casa. Le conseguenze di tale situazione sono spesso gravi e possono provocare strascichi anche in età di molto successive a quelle del sopruso stesso.

Il fenomeno del "bullismo"
Il fenomeno del bullismo può essere dunque definito "un'azione che mira deliberatamente a fare del male o a danneggiare; spesso è persistente ed è difficile difendersi per coloro che ne sono vittima" Alcune azioni offensive possono essere perpetrate attraverso l'uso delle parole, per esempio minacciando od ingiuriando; altre possono essere commesse ricorrendo alla forza o al contatto fisico, per esempio picchiando o spingendo. In certi casi le azioni offensive possono essere condotte anche senza l'uso delle parole o del contatto fisico: beffeggiando qualcuno, escludendolo intenzionalmente dal gruppo o rifiutando di esaudire i suoi desideri. Il bullismo può essere perpetrato da un singolo individuo o da un gruppo, il bersaglio può essere un singolo individuo o un gruppo. Per parlare di bullismo è necessario che vi sia un'asimmetria nella relazione. Si può distinguere una forma di bullismo diretto, che si manifesta in attacchi relativamente aperti nei confronti della vittima, e di bullismo indiretto, che consiste in una forma di isolamento sociale ed in una intenzionale esclusione dal gruppo. Per quanto riguarda la manifestazione degli atti di bullismo si può affermare che la scuola è senza dubbio il luogo in cui questi si manifestano con maggiore frequenza, soprattutto durante l'intervallo e nell'orario di mensa, e nel tragitto casa scuola. L'unico contrassegno esteriore che differenzia i due gruppi è la forza fisica: le vittime sono solitamente più deboli della media dei ragazzi. I tratti estetici giocano un ruolo di gran lunga minore nell'origine del bullismo anche se non si esclude che alcuni di essi possano essere stati determinati in casi particolari.

Caratteristiche del comportamento di vittima
Le vittime sono solitamente più ansiose ed insicure, spesso caute, sensibili e calme. Se attaccati, reagiscono chiudendosi in se stessi o, se si tratta di bambini piccoli, piangendo. Talvolta soffrono anche di scarsa autostima ed hanno un'opinione negativa di sé e della propria situazione. Le vittime sono caratterizzate da un modello reattivo ansioso o sottomesso, associato, soprattutto se maschi, ad una debolezza fisica, modello che viene rinforzato negativamente dalle conseguenze dei comportamenti sopraffattori. Tali conseguenze sono sempre a svantaggio della vittima perché non possiede le abilità per affrontare la situazione o, se le possiede, le padroneggia in maniera inefficace. Solitamente le vittime vivono a scuola nella condizione di solitudine e di abbandono. Manifestano particolari preoccupazioni riguardo al proprio corpo: hanno paura di farsi male, sono incapaci nelle attività di gioco o sportive, sono abitualmente non aggressivi e non prendono in giro i compagni, ma hanno difficoltà ad affermare se stessi nel gruppo dei coetanei. Il rendimento scolastico è di vario tipo e tende a peggiorare nella scuola media. Queste caratteristiche sono tipiche delle vittime definite passive o sottomesse, che segnalano agli altri l'insicurezza, l'incapacità, l'impossibilità o difficoltà di reagire di fronte agli insulti ricevuti; le ripetute aggressioni non fanno altro che peggiorare questo quadro di incertezza sulle proprie capacità. Esiste tuttavia un altro gruppo di vittime: le vittime provocatrici, caratterizzate da una combinazione di modalità di reazione ansiose e aggressive. Possono essere iperattivi, inquieti e offensivi. Tendono a controbattere e possono essere sgraditi anche agli adulti. Hanno la tendenza a prevaricare i compagni più deboli. Non è raro che il loro comportamento provochi reazioni negative da parte di molti compagni o di tutta la classe. Questo tipo di vittima è meno frequente rispetto alle precedenti e le vittime del primo tipo risultato maggiormente esposte a rischio di depressione. Le vittime presentano sin dall'infanzia un atteggiamento prudente e una forte sensibilità. Nell'età adulta risultano a rischio di criminalità molto al di sotto della media.

Caratteristiche del comportamento di bullo
La caratteristica più evidente del comportamento da bullo è chiaramente quella dell'aggressività rivolta verso i compagni, ma molto spesso anche verso i genitori e gli insegnanti. I bulli hanno un forte bisogno di dominare gli altri e si dimostrano spesso impulsivi. Vantano spesso la loro superiorità, vera o presunta, si arrabbiano facilmente e presentano una bassa tolleranza alla frustrazione. Manifestano grosse difficoltà nel rispettare le regole e nel tollerare le contrarietà e i ritardi. Tentano a volte di trarre vantaggio anche utilizzando l'inganno. Si dimostrano molto abili nelle attività sportive e di gioco e sanno trarsi d'impaccio anche nelle situazioni difficili. Al contrario di ciò che generalmente si pensa, non presentano ansia o insicurezze. Sono caratterizzati quindi da un modello reattivo-aggressivo associato, se maschi, alla forza fisica che, suscitando popolarità, tende ad auto-rinforzarsi negativamente raggiungendo i propri obiettivi. I bulli hanno generalmente un atteggiamento positivo verso l'utilizzo di mezzi violenti per ottenere i propri scopi e mostrano una buona considerazione di se stessi. Il rendimento scolastico è vario ma tende ad abbassarsi con l'aumentare dell'età e, parallelamente a questa, si manifesta un atteggiamento negativo verso la scuola. L'atteggiamento aggressivo prevaricatore di questi giovani sembra essere correlato con una maggiore possibilità, nelle età successive, di essere coinvolti in altri comportamenti problematici, quali la criminalità o l'abuso da alcool o da sostanze. All'interno del gruppo vi possono essere i cosiddetti bulli passivi, ovvero i seguaci o sobillatori che non partecipano attivamente agli episodi di bullismo. È frequente che questi ragazzi provengano da condizioni familiari educativamente inadeguate, il che potrebbe provocare un certo grado di ostilità verso l'ambiente. Questo fatto spiegherebbe in parte la soddisfazione di vedere soffrire i loro compagni. Questo tipo di atteggiamento è rinforzato spesso da un accresciuto prestigio.

Condizioni che favoriscono il fenomeno
Gli studi hanno evidenziato alcuni fattori che sembrano essere alla base del comportamento aggressivo. Sicuramente un ruolo importante è da attribuire al temperamento del bambino. Un atteggiamento negativo di fondo, caratterizzato da mancanza di calore e di coinvolgimento, da parte delle persone che si prendono cura del bambino in tenera età, è un ulteriore fattore importante nello sviluppo di modalità aggressive nella relazione con gli altri. Anche l'eccessiva permissività e tolleranza verso l'aggressività manifestata verso i coetanei e i fratelli crea le condizioni per lo sviluppo di una modalità aggressiva stabile. Un ruolo importante è ricoperto anche dal modello genitoriale nel gestire il potere. L'uso eccessivo di punizioni fisiche porta il bambino ad utilizzarle come strumento per far rispettare le proprie regole. E' importante che siano espresse le regole da rispettare e da seguire ma non è educativo ricorrere soltanto alla punizione fisica. Queste non sono sicuramente le uniche cause del fenomeno, anzi, si può dire che esso è inserito in un reticolo di fattori concatenati tra loro. È, comunque, certo che le condotte inadeguate si verifichino, con maggior probabilità quando i genitori non sono a conoscenza di ciò che fanno i figli o quando non hanno saputo fornire adeguatamente i limiti oltre i quali certi comportamenti non sono consentiti. Gli stili educativi rappresentano infatti un fattore cruciale per lo sviluppo o meno delle condotte inadeguate. È interessante sottolineare come il grado di istruzione dei genitori, il livello socio-economico e il tipo di abilitazione non sembrano essere correlate con le condotte aggressive dei figli. A livello sociale si è visto come anche i fattori di gruppo favoriscano questi episodi. All'interno del gruppo c'è un indebolimento del controllo e dell'inibizione delle condotte negative e si sviluppa una riduzione della responsabilità individuale. Questi fattori fanno sì che in presenza di ragazzi aggressivi anche coloro che generalmente non lo sono lo possano diventare. Per evitare che un bambino ansioso e insicuro diventi una vittima è importante che i genitori lo aiutino a trovare una migliore autostima, una maggiore autonomia e gli forniscano degli strumenti adeguati per affermarsi nel gruppo dei coetanei. Alcune ricerche hanno dimostrato che non esiste correlazione fra la frequenza degli episodi di bullismo e l'ampiezza della scuola e della classe né tanto meno che il fenomeno si manifesti con maggior incidenza nelle grandi città. Inoltre l'essere bullo o vittima è una condizione che perdura nel tempo.

Bullo e vittima: il disagio sottostante ai modelli reattivi
Il modello reattivo-ansioso (tipico della vittima) conduce ad evitare le situazioni che si considerano potenzialmente pericolose. Questo può creare un terreno fertile sul quale si possono sviluppare fobie, depressioni, ecc. L'altro modello, reattivo-aggressivo (tipico del bullo), può creare una base sulla quale possono innestarsi disturbi quali atteggiamenti di dipendenza, comportamenti delinquenziali, ecc. Anche laddove non si manifestano vere e proprie patologie, gli individui che utilizzano modelli reattivi inadeguati strutturano personalità che non sono in grado di adeguarsi alle richieste dell'ambiente. Una personalità ansiosa rinuncerà ad esprimere i propri bisogni, eviterà il conflitto e diventerà una persona insicura e passiva. Una personalità aggressiva svilupperà una modalità attraverso la quale cercherà di imporsi sempre sugli altri, vivendo le relazioni in una costante conflittualità. Questa situazione a lungo termine, porterà la persona ad essere isolato dalle altre. In questa prospettiva è quindi importante agire non solo sul fenomeno in sé e sulle sue manifestazioni, ma anche sulle competenze sociali sia la vittima che dell'aggressore. Per conseguire tale scopo occorre permettere l'acquisizione delle abilità della comunicazione e di competenze per riconoscere ed esprimere le proprie emozioni attraverso il modello dell'assertività.

Abilità sociali e relazionali: l'assertività
Il termine assertività sta ad indicare uno stile comunicativo che permette all'individuo di esprimere le proprie opinioni, le proprie emozioni e di impegnarsi a risolvere positivamente le situazioni e i problemi. Non esiste una risposta assertiva definibile in modo assoluto, essa deve essere valutata all'interno della situazione sociale ed è un processo continuo di aggiustamento della propria performance comunicativa. Il comportamento assertivo quindi non è intermedio tra il comportamento aggressivo e passivo: obiettivo per una comunicazione assertiva è la capacità di ridurre le proprie componenti aggressive e passive. L'assertività è un modo di comunicare che nasce dall'armonia tra abilità sociali, emozioni e razionalità senza necessariamente modificare la propria personalità. In questa integrazione entra in gioco l'aspetto neurovegetativo per le emozioni, quello motorio volontario per i gesti e le azioni ed infine quello corticale-cognitivo per i pensieri e le verbalizzazioni. Tra questi tre aspetti della personalità esiste un rapporto di interdipendenza per cui migliorare l'assertività significa agire su ognuno dei tre. Non solo è importante conoscere le tecniche per migliorare l'assertività, ma occorre sviluppare nuove abitudini di comportamento e perfezionare l'educazione dei sentimenti e delle emozioni. Familiarizzarsi con il mondo dei sentimenti richiede, infatti, "un'educazione sentimentale". La struttura concettuale dell'assertività è l'ordine che ciascuno pone nella propria vita, quando con maggiore consapevolezza pensa a se stesso e interagisce con le altre persone. Questo modo di agire permette di stabilire un rapporto attivo e intelligente che si basa sulla valutazione corretta della situazione e sull'avere a disposizione i mezzi adeguati per poter scegliere la soluzione più appropriata. Il costrutto dell'assertività è costituito dall'idea di libertà come capacità di affrancarsi dai condizionamenti ambientali negativi e comprende la conoscenza di sé e della propria personalità, della teoria dei diritti assertivi (in ciò è inclusa l'idea della reciprocità, ovvero il medesimo diritto di comunicare desideri e convinzioni e di perseguire obiettivi individuali viene riconosciuto anche agli altri, il saper riconoscere e criticare le idee irrazionali che generano e mantengono i disagi e i disturbi emotivi. Il secondo aspetto riguarda la forma dell'assertività, ovvero la capacità di esprimersi in modo più evoluto ed efficace, tradotta quindi in abilità non verbali e verbali, e, più in generale, in competenza sociale. Tale aspetto è stato definito da L. Philhps (1968) come "l'ampiezza con cui l'individuo riesce a comunicare con gli altri, in modo da soddisfare diritti, esigenze, motivazioni e obblighi, in misura ragionevole e senza pregiudicare gli analoghi diritti delle altre persone, in forma di libero e aperto dialogo". In questo caso la persona assertiva sa esprimere in modo chiaro e tecnicamente efficace, emozioni, sentimenti, esigenze e convinzioni personali riducendo sempre più le sensazioni d'ansia, disagio o aggressività. A questa modalità comunicativa si contrappone uno stile comunicativo passivo e aggressivo.

Caratteristiche del tipo aggressivo
Il soggetto con questo stile è una persona che non rispetta i limiti degli altri, è concentrato sui propri desideri senza badare a coloro che gli sono intorno. Per fare questo utilizza qualsiasi mezzo a propria disposizione, anche distruttivo e violento. La tendenza è quella di dominare gli altri e l'unico obiettivo che si pone è il potere personale e sociale. Alla base di questo tipo di comportamento vi sono ancora delle componenti d'ansia accompagnate però da rabbia e ostilità. C'è anche un disprezzo degli altri e un mancato riconoscimento della dignità altrui.

Caratteristiche del tipo passivo
Il soggetto con uno stile di comunicazione passivo pensa più ad accontentare gli altri che non se stesso, è facilmente influenzabile dagli altri e subisce le situazioni senza opporsi. È un soggetto che ha un'elevata ansia sociale, che non riesce ad esprimere adeguatamente i propri bisogni e le proprie esigenze. Il suo obiettivo è ottenere il consenso di tutti ed evitare qualsiasi forma di contrasto con gli altri. Nel breve termine questo tipo di atteggiamento è utile per ridurre l'ansia, ma finisce col limitare notevolmente la capacità dì azione della persona. Alla base di questo atteggiamento vi sono spesso sensi di colpa associati ad una forte componente ansiosa.

Le abilità comunicative
La comunicazione verbale e non verbale è composta da singole abilità che sono apprese. Non sempre le utilizziamo in modo appropriato e talvolta neppure le possediamo, nel senso che non fanno parte del nostro repertorio comportamentale. La comunicazione è un processo complesso e articolato che comprende sia gli aspetti verbali sia quelli non verbali. Quelli verbali comprendono le parole e quelli non verbali i gesti e qualsiasi altro elemento che possa dire qualcosa di noi.

Comunicazione non verbale
L'importanza della comunicazione non verbale è tale che se vi è incongruenza tra gli elementi verbali e non verbali si dà più credito alla comunicazione non verbale. Gli elementi abilità della comunicazione non verbale sono: * Contatto oculare * Spazio corporeo * Tono e volume della voce * Mimica facciale * Gestualità * Postura * Contatto corporeo * Sincronizzazione

Comunicazione verbale
La comunicazione verbale è la forma di comunicazione più espressiva e più potente di cui si può servire l'uomo. Le singole abilità della comunicazione sono quelle relative all'avviare e mantenere una conversazione, al parlare in pubblico, a formulare e a gestire la critica. La capacità nell'avviare e mantenere una conversazione è composta da più abilità: Formulare domande aperte/chiuse, ad imbuto, ecc. Auto-apertura Libere informazioni Parlare in pubblico, significa fare relazioni, tenere conferenze o esprimere le proprie opinioni, le abilità necessarie sono: Essenzialità concettuale Utilizzare le regole attraverso esempi Proprietà di linguaggio Scorrevolezza Ritmo, enfasi e brevità Gestione del silenzio La capacità di formulare, accettare e o difendersi dalle critiche comprende: * Asserzione negativa * Disco rotto (la ripetizione) * Annebbiamento (la confusione) * Ignorare selettivamente * Separare gli spunti * Disarmare la collera * Fare inchiesta negativa

Aspetti cognitivi implicati nella comunicazione
Oltre agli aspetti verbali e non verbali della comunicazione, sono importanti anche gli aspetti cognitivi implicati nella stessa. Essi sono: l'autostima che corrisponde alla misura con la quale una persona si accetta e si approva. Per migliorare l'autostima è necessario riconoscere le proprie idee irrazionali e saperle criticare, riconoscere i diritti assertivi e farli propri. La critica alle idee irrazionali
Con il termine "Idee irrazionali" Ellis (1975) indica "l'insieme dei pregiudizi, preconcetti, sentimenti di colpa. ecc che uno possiede nei diversi contesti sociali". (per esempio: "devo piacere a tutti; se le cose non sono perfette è una catastrofe). Le idee irrazionali non ci permettono di riconoscere i nostri diritti assertivi. Diritti assertivi I diritti assertivi comprendono il rispetto di se stessi, delle proprie esigenze, sentimenti e convinzioni, (ad esempio: "ho il diritto di rifiutare senza sentirmi in colpa" "ho il diritto di chiedere aiuto", ecc.). Tali diritti sono necessari per costruire connessioni positive come la fiducia e la familiarità. Riconoscerli e rispettarli significa anche riconoscerli e rispettarli negli altri. Infine, il Problemsolving che consiste nel saper identificare un problema e scomporlo in parti più facilmente affrontabili ricercando le possibili soluzioni per risolverlo. Fatto ciò è possibile scegliere la soluzione più adeguata e verificarla.

La prevenzione del fenomeno del bullismo
Per quanto riguarda gli interventi i soggetti interessati sono, oltre agli alunni, gli insegnanti e i genitori. Questi possono farsi carico di questi problemi attivando una programmazione contro le prepotenze e promovendo interventi tesi a costruire una cultura del rispetto e della solidarietà tra gli alunni e tra alunni ed insegnanti. Si è evidenziato che l'intervento con bambini e ragazzi, deve essere preventivo rispetto a segnali più o meno sommersi del disagio e rispetto alle fisiologiche crisi evolutive. Risulta poco utile agire sul disturbo e sulla psicopatologia ormai conclamata. La specificità di un intervento preventivo è quindi rivolto a tutti gli alunni e non direttamente ai "bulli" e alle loro vittime, perché, alfine di un cambiamento stabile e duraturo, risulta maggiormente efficace agire sulla comunità degli spettatori. È importante sottolineare questo punto perché, come indicato in letteratura, è inefficace l'intervento psicologico individuale sul "bullo". Infatti il "bullo" non è motivato al cambiamento in quanto le sue azioni non sono percepite da lui come un problema, e queste sono un problema soltanto per la vittima, gli insegnanti e il contesto. L'intervento diretto sulla vittima, pur efficace a fini individuali, non lo è per quanto riguarda la riduzione del fenomeno del "bullismo". Quella vittima cesserà di essere tale e il bullo ne cercherà presto un'altra nel medesimo contesto. Per questi motivi è necessario attuare un programma di intervento pluriennale di carattere preventivo e diretto al gruppo classe/scuola. Questo intervento rappresenta un'occasione di crescita per il gruppo classe stesso che, attraverso un maggiore dialogo ed una maggiore consapevolezza di pensieri, emozioni ed azioni, diventerà risorsa e sostegno per ciascun membro della classe.

Ruolo e coinvolgimento dei genitori
È inutile sottolineare che per rendere efficace e duraturo questo tipo di prevenzione, è necessario che gli insegnanti, gli educatori e le famiglie collaborino, come modelli e come soggetti promotori di modalità adeguate di interazione, affinché l'esempio possa essere acquisito e diventare uno stile di vita per i ragazzi. Ciò diviene particolarmente importante se si considera che le competenze sociali acquisite diventano tratti fissi del carattere, "mattoni della struttura della personalità" (Couvelier, 1998), che si sviluppa in comportamenti adeguati o disadattati. Il compito degli insegnanti è quindi quello di intervenire precocemente finché permangono le condizioni per modificare gli atteggiamenti inadeguati. Per migliorare la collaborazione con le famiglie è importante che si spieghi anche ai genitori che i loro figli possono assumere diversi atteggiamenti a seconda degli ambienti in cui si trovano. Questo è utile per prevenire la sorpresa delle famiglie nello scoprire modalità di comportamento differenti a casa e a scuola. Dall'osservazione e dalla formazione nelle competenze sociali gli stessi insegnanti possono imparare a scoprire le proprie modalità relazionali, anche inaspettate. Questo può migliorare la qualità dei rapporti con le persone che li circondano, superiori, colleghi, partner e figli, aumentando la propria soddisfazione personale e professionale.

Consigli per alunni e alunne
Quasi ogni persona qualche volta nella sua vita subisce episodi di bullismo: da parte di fratelli e sorelle, dai vicini, dagli adulti o dagli altri bambini. Se tu stai subendo prepotenze, puoi sentirti spaventato, vulnerabile e completamente solo, ma devi farti forza e cercare di uscire da quella situazione senza arrenderti, fino a quando gli episodi di bullismo finiscono.

Mantieniti al sicuro
Se subisci prepotenze o atti di bullismo, parlane con un amico, con un insegnante o con i tuoi genitori. Ricorda che le cose non cambieranno fino a che tu non racconterai ciò che succede.
  • Durante gli intervalli, quando siete in tanti nello stesso spazio, cerca di stare in una zona tranquilla e sicura (ad esempio nei pressi di qualche adulto, vicino a compagni che ti proteggono, ecc.)
  • Se vieni picchiato/a o ti fanno male dillo subito ad un bidello o ad un insegnante e chiedi che scriva quello che è successo
  • Il bullismo fa stare molto male e se senti che non ce la fai ad affrontare e risolvere la situazione può essere utile che ne parli anche con il tuo medico o con uno psicologo (se a scuola ce n'è uno)
  • Sull'autobus scolastico cerca di sederti vicino all'autista o, se usi un autobus di linea, siediti vicino a qualche adulto
  • Se ti capita di vedere che qualcun altro nella tua scuola subisce prepotenze devi parlarne con un adulto
Cosa puoi fare se subisci prepotenze
Forse nella tua scuola sono già presenti dei sistemi per affrontare il bullismo. Ad esempio, alcune scuole:
  • hanno istruzioni anti-bullismo e procedimenti per affrontare i singoli episodi.
  • incoraggiano tutti quelli che subiscono prepotenze, o che sono stati testimoni di episodi di bullismo, a parlarne con qualcuno.
  • hanno le 'cassette delle prepotenze' dove le persone possono lasciare dei biglietti con su scritto quello che sta avvenendo.
  • hanno incontri tra studenti o perfino i "tribunali" dove i problemi come il bullismo vengono discussi e trattati dagli alunni.
  • hanno incaricato alcuni studenti o insegnanti a fornire aiuto.
Se nella tua scuola ci sono alcune di queste attività anti-bullismo, usale per ottenere aiuto. Se non sai esattamente come funziona, allora parlane con un insegnante o chiedi a qualcuno di tua fiducia di informarsi.
Alcune scuole però non danno la giusta importanza al bullismo e sembrano ignorarlo. Se la tua scuola è tra queste, comunque non rassegnarti ad essere una vittima .
Puoi ancora chiedere aiuto in tanti modi, tra cui:
  • Racconta ad un amico ciò che ti sta accadendo. Chiedigli o chiedile di aiutarti. Sarà più difficile per la persona prepotente prendersela con te se tu hai un amico che ti dà sostegno.
  • Cerca di ignorare il bullo o impara a dire "No" con molta fermezza, poi girati e allontanati. Non preoccuparti se gli altri pensano che stai scappando. Ricordati: è molto difficile per il prepotente continuare a prendersela con qualcuno che non vuole star lì ad ascoltarlo.
  • Cerca di non mostrare che sei impaurito o arrabbiato. Ai bulli piace ottenere una qualsiasi reazione - per loro è "divertente". Se riesci a mantenere la calma e nascondere le tue emozioni, loro potrebbero annoiarsi e lasciarti stare. Come disse un adolescente: "loro non possono trattarti con prepotenza se a te non te importa niente".
  • Non andare alle mani può esserti di aiuto. La maggior parte dei bulli sono più grandi o più forti di te. Se tu fai a botte con loro potresti peggiorare la situazione, farti male o prenderti la colpa di aver cominciato il litigio.
  • Non è un gran pregio farsi male per cercare di mantenere le proprie cose o i soldi. Se vieni minacciato, sul momento dai ai bulli quello che vogliono. Le proprietà possono essere sostituite, tu no. Penserai poi come denunciare l'episodio raccontandolo a qualche adulto di tua fiducia.
  • Cerca di trovare in anticipo risposte spiritose o intelligenti. Cerca di buttarla sul ridere. Le risposte non devono essere meravigliosamente brillanti o intelligenti, ma questo può aiutarti ad avere una risposta pronta. Allenati a rispondere provando a casa tua davanti allo specchio. L'utilizzo di risposte preparate in anticipo funziona meglio se la persona prepotente non è troppo minacciosa ed ha giusto bisogno di essere scoraggiata. Il bullo può decidere che sei troppo intelligente per prendersela con te.
  • Cerca di evitare di trovarti da solo in quei posti in cui sai che il bullo si diverte a prendersela con te. Questo può significare cambiare la strada che utilizzi per andare a scuola, evitare alcune zone del cortile usato per la ricreazione, o utilizzare solamente le stanze comuni o i bagni quando ci sono anche altre persone. Non è giusto che tu debba fare questo, ma può servire a far allontanare i bulli.
  • Mantieni un diario di quello che ti sta accadendo. Scrivi i particolari degli episodi e le tue sensazioni. Quando ti deciderai a dirlo a qualcuno, una memoria scritta degli episodi di bullismo renderà più facile dimostrare come sono andate le cose.

A chi lo puoi dire
Di solito è difficile uscire dal bullismo per conto proprio o anche con l'aiuto degli amici. Dovresti pensare seriamente di parlarne con un adulto: è l'unico modo per ottenere che il bullismo venga fermato. Se hai bisogno di aiuto, non vergognarti a chiederlo. Tutti noi abbiamo bisogno di aiuto qualche volta e chiedere aiuto per fermare il bullismo non significa che tu sei un debole o un fallito. Parlare degli episodi di bullismo non significa 'essere pettegoli' o 'fare la spia'. Hai il diritto di essere al sicuro dalle aggressioni e dalle molestie e non dovresti startene zitto quando vieni tormentato e ti si fa del male.
Spesso, le persone non raccontano del bullismo perché hanno paura che il bullo li prenda fuori da scuola e che le cose possano peggiorare. Questa è una paura naturale, ma le scuole possono fermare il bullismo anche senza che il bullo sappia chi ha parlato, specialmente se la persona prepotente se la prende con diverse vittime. Perfino se il bullo scopre che sei stato (o stata) tu a parlare, è sempre meglio che le cose avvengano allo scoperto e comunque gli adulti ti possono proteggere. Se le prepotenze non finiscono puoi anche chiedere aiuto a qualcuno esterno alla scuola che possa aiutare te ed i tuoi genitori a trovare una soluzione.



CAPITOLO 6: SAPER COMUNICARE, UNA GUIDA PER I GENITORI

Il genitore efficace secondo il metodo Gordon.
Numerosi studi, anche di diversa matrice, hanno dimostrato come la creazione di un’atmosfera socio-affettiva favorevole nella famiglia sia una dimensione essenziale della crescita individuale. Un interessante contributo per la realizzazione di un miglior clima interazionale viene offerto dall’applicazione del metodo di Gordon, che integra il pensiero di Maslow e di Rogers.

Maslow
Charles Maslow si è interessato della “psicologia della salute” come integrazione della “psicologia della malattia”. Ha cercato cioè di osservare attentamente le personalità sane e completamente realizzate, suggerendo il modo per non entrare nella malattia, e per sviluppare aspetti positivi della personalità. Egli, quindi, privilegia la prevenzione. Secondo Maslow, l’uomo è di natura buona, così come sono buoni i suoi bisogni fondamentali, i suoi sentimenti, le sue capacità. Il male è la trazione alla frustrazione delle esigenze positive verso la realizzazione. Sottolinea inoltre che l’uomo ha una evoluzione individuale che inizia nei primi anni di vita e non ha mai termine. La concezione dell’uomo che ne deriva è senza dubbio e ottimistica: un approccio al bambino in “positivo” facilitando la sua “natura buona” creando attorno a lui un clima di fiducia e libertà.
Il genitore, per una sana crescita, deve favorire nei propri figli alcune qualità:
  • la percezione realistica degli individui e dell’ambiente;
  • l’accettazione di sé, degli altri, della natura;
  • la spontaneità, la sincerità e la naturalezza;
  • la capacità di individuare e risolvere i problemi;
  • godimento della compagnia degli altri, ma anche della solitudine;
  • autonomia e indipendenza;
  • capacità di cogliere aspetti nuovi nella realtà;
  • carattere democratico, equilibrio morale;
  • umorismo, creatività, originalità;
  • capacità di vivere intensamente ogni esperienza.
Maslow ha scoperto che queste qualità si riscontrano nelle persone autorealizzate, che hanno cioè soddisfatto ad ogni livello i loro “bisogni”. Quando i bisogni non sono soddisfatti le persone avranno problemi di crescita e di sviluppo personale.
La gerarchia dei bisogni di Maslow è :
  • bisogno di sopravvivenza
  • bisogno di sicurezza
  • bisogni sociali
  • bisogno di appartenenza
  • bisogno di accettazione
  • bisogno di affetto e di amore
  • bisogno di intimità
  • bisogni di stima e successo
  • bisogni di autorealizzazione
  • bisogni cognitivi ed estetici (conoscere e capire e bisogni di bellezza sono nella cultura di tutti)
I bisogni sono organizzati gerarchicamente secondo un criterio di priorità e di forza. Un grande vantaggio che la teoria di Maslow ci offre è quello di fornirci un fondamento logico per guardare le persone “problematiche” semplicemente come persone con bisogni insoddisfatti, senza per questo doverle giudicare “cattive” o “pericolose”. Dalle formulazione teoriche e dalle ricerche di Maslow ci si pone l’interrogativo di come genitori ed insegnanti debbano porsi in relazione con il ragazzo per aiutarlo a crescere sano. Una risposta a questo interrogativo ci viene da Carl Rogers.

Rogers
Lo studioso pone al centro di tutto il processo educativo la relazione fra genitore e figlio, fondata su stima e rispetto reciproci; in questa ottica il genitore deve saper essere autentico e il ragazzo deve sentirsi in ogni momento accettato e amato. Per Rogers il genitore non deve essere un pozzo di sapere ma deve essere in grado di stabilire un rapporto efficace con il ragazzo. Deve essere genuino, essere cioè se stesso, in grado di esprimere i propri sentimenti positivi o negativi; deve avere comprensione, empatia, riuscendo cioè a capire ciò che prova il giovane, senza valutare o giudicare. In qualsiasi situazione della vita è fondamentale riuscire a stabilire un autentico rapporto interpersonale e a tal fine è importante “ saper ascoltare”.

Il metodo Gordon applicato al sistema famiglia
Thomas Gordon propone alcune metodologie utili per impostare un’efficace relazione fra genitore e figlio e fra i membri della famiglia. Sottolinea il fatto che generalmente gli adulti controllano ogni azione del ragazzo favorendone spesso la dipendenza anziché l’autonomia. Questo perché non sono stati abituati a trovare una soluzione agli inevitabili conflitti senza che ne escano vincitori o vinti.
Il genitore che tenta di dimostrarsi come una persona che sa tutto, senza difetti e che non sbaglia mai, sarà sempre in continua tensione. Gordon sostiene, come Rogers, che il genitore dovrebbe tenere un atteggiamento genuino, autentico, esprimendo i propri sentimenti positivi e negativi. Dovrebbe, inoltre, accettare il ragazzo per quello che è, facendogli sentire che gli viene data la massima fiducia senza criticarlo o correggerlo continuamente. Dovrebbe entrare in un rapporto di empatia con il giovane trovando strategie per una migliore comunicazione.

Comportamenti inadeguati
Due sono le tecniche che Gordon propone per modificare i comportamenti inadeguati:
  1. l’ascolto attivo
  2. il messaggio – io
Il bravo genitore si deve sempre chiedere :“di chi è il problema?” per poter applicare la tecnica adatta per risolvere le varie situazioni che si vengono a determinare. Se il problema è del ragazzo si interverrà usando l’ascolto attivo; se invece è un problema del genitore, questi interverrà con il messaggio – io.

Importanza di un messaggio efficace
Quando i ragazzi hanno un problema, di frequente i genitori si intromettono cercando di aiutarli con dei “buoni consigli”, con dei “suggerimenti” tratti dalla loro stessa esperienza o invitandoli a riconoscere la realtà dei “fatti” ed ad attenersi ad essa. Nonostante le buone intenzioni, spesso questi tentativi creano più problemi di quanti ne risolvano e finiscono per bloccare la voglia di comunicare nel ragazzo. Questi tentativi vengono definiti "barriere della comunicazione" e sono dodici:
  1. dare ordini, comandare, dirigere;
  2. minacciare, ammonire, mettere in guardia;
  3. moralizzare, far prediche;
  4. offrire soluzioni, consigli, avvertimenti;
  5. argomentare, persuadere con la logica;
  6. giudicare, criticare, biasimare;
  7. fare apprezzamenti, manifestare compiacimento;
  8. ridicolizzare, etichettare, usare frasi fatte;
  9. interpretare, analizzare, diagnosticare;
  10. rassicurare, consolare;
  11. indagare, investigare;
  12. cambiare argomento, minimizzare, ironizzare.
Per non incorrere nel pericolo di reagire verbalmente usando delle “barriere” che comunicano la non accettazione del problema del ragazzo, Gordon consiglia la tecnica dell’ascolto attivo. Ascoltare una persona, infatti, aiuta a liberarla di ciò che la opprime facendole inoltre capire che è accettata con tutti i suoi problemi.

L’ascolto attivo
L’ascolto attivo prevede quattro momenti:
  1. l’ascolto passivo: permette l’alunno di esporre, senza essere interrotto, i propri problemi (prestare attenzione concreta e totale al ragazzo)
  2. messaggi d’accoglienza: informano il ragazzo che il genitore lo segue e lo ascolta, possono essere non verbali (costante contatto con gli occhi, un cenno con la testa, un sorriso,…) o verbali ( “ti ascolto”, “sto cercando di capire”,…)
  3. inviti calorosi: incoraggiano il ragazzo a continuare il discorso, ad approfondire quanto sta dicendo (“vuoi dirmi qualcosa di più”, “continua pure”,…)
  4. ascolto attivo: il genitore “riflette il messaggio del ragazzo, recependo solamente, senza emettere messaggi suoi personali o giudizi.
L’ascolto attivo oltre a lasciare al ragazzo la piena gestione dei suoi problemi, evita fraintendimenti ed incomprensioni. Va inoltre utilizzato come mezzo per esprimere la comprensione e l’accettazione del problema aiutando il ragazzo in crisi.

Il messaggio io
Quando il genitore ha di fronte un ragazzo che con il suo comportamento impedisce un clima tranquillo in famiglia, dovrà applicare secondo Gordon, il metodo messaggio – io. Con questo metodo il genitore mette a “confronto” i propri sentimenti e bisogni con il comportamento inaccettato del ragazzo, esprime cioè cosa prova quando il ragazzo compie un’azione che può provocare determinati effetti. I messaggi – io, a differenza dei messaggi – tu (“perché continui a disturbare”, “sei sempre disordinato”,…) esprimono un sentimento di chi parla senza esprimere valutazione sul ragazzo che compie l’azione ponendolo di fronte agli effetti del suo atto e ai sentimenti che provoca negli altri.
Il metodo messaggio – io consta di tre momenti:
  1. descrizione senza giudizio;
  2. effetto tangibile e concreto;
  3. reazione agli effetti.
Il genitore non userà più quindi “tu sei…” ma “io sento…”. Il ragazzo sentirà che il genitore gli comunica il suo vissuto personale con autenticità ed onestà e non assumerà atteggiamenti di difesa.

Il metodo senza perdenti
Quando l’ascolto attivo ed il messaggio – io non ottengono gli effetti sperati e le esigenze del genotore e del ragazzo entrano in conflitto, Gordon propone il “metodo senza perdenti”. Quest’ultimo consiste nella ricerca comune di una soluzione soddisfacente per le due parti. Se le due parti non subiranno sopraffazioni, ciascuno si forzerà di rispettare i diritti dell’altro e verrà trovata una soluzione che non comporterà nè vincitori, né vinti. Questo metodo va a sostituirsi ai due metodi più comunemente usati: l’autoritarismo e il permissivismo, entrambi fondati su un rapporto di forza dove il ragazzo, nel primo caso, o il genitore, nel secondo, escono sconfitti.

Il problem solving
Quando si presenta un problema al quale risulta molto complesso trovare una soluzione, si può ricorrere, secondo Gordon, all’applicazione del problem solving che consta di sei tappe:
  1. esposizione chiara dei problemi ai minimi termini;
  2. proposta delle varie soluzioni;
  3. considerazione degli aspetti positivi e negativi delle proposte;
  4. scelta delle soluzioni idonee;
  5. predisposizione dei mezzi di attuazione della soluzione;
  6. verifica dei risultati ottenuti.
Questa tecnica verrà attuata, discutendo, parlando e confrontandosi; il tutto in un clima di libertà e fiducia. Utilizzando la tecnica del problem solving si possono ad esempio risovere dei conflitti, oppure elaborare delle “leggi” cioè un regolamento che verrà proposto ragazzi stessi e che per ciò sarà più facilmente rispettato.



APPENDICE: GLOSSARIO DI TERMINI PSICOLOGICI
Abreazione. Reazione di esteriorizzazione mediante la quale un soggetto "si libera" di una rimozione affettiva più o meno antica, celata nel proprio inconscio. Tale reazione può essere spontanea o provocata (psicoanalisi). Sinonimo di catarsi.

Abulia. Assenza o diminuzione della volontà.

Acatisia. Impossibilità di restare seduti, bisogno imperioso e incessante di camminare, di diversa origine.

Acting-Out. In italiano: Passaggio all'Atto. Indica le azioni spesso impulsive che rompono il sistema delle motivazioni abituali del soggetto. Possono assumere forma di auto o eteroaggressitività.

Affetto. Termine generico per esprimere ogni fenomeno che riguarda l'affettività, cioè ogni sfumatura che va dal piacere al dolore. Connota il campo compreso tra il grado di piacevolezza-spiacevolezza del sentimento. Può essere talvolta impiegato quale sinonimo di emozione, stato d'animo, emozionalità, sentimento, inclinazione sentimentale.

Affiliazione (difesa). Il soggetto affronta i conflitti emozionali o i fattori stressanti interni ed esterni rivolgendosi agli altri per avere aiuto o supporto. Ciò comporta la possibilità di condividere problemi con gli altri, e non il tentativo di scaricare su di loro la responsabilità per tali problemi.

Aggressione passiva (difesa). Il soggetto affronta i conflitti emozionali o i fattori stressanti interni ed esterni esprimendo aggressività verso gli altri in modo indiretto o subdolo. Vi è una facciata di compiacenza manifesta che maschera resistenza, risentimento, od ostilità profonde. L'aggressione passiva spesso si manifesta in risposta a richieste di atti o prestazioni indipendenti, oppure alla mancata gratificazione di desideri di dipendenza, ma può rivelarsi adattiva in soggetti in posizione subordinata che non hanno altri modi per esprimere più apertamente i propri punti di vista.

Agorafobia. Paura eccessiva (non realistica) degli spazi aperti come strade e piazze, che spinge molti agorafobici ad evitare la situazione fobigena, quindi a non uscire di casa.

Altruismo (difesa). Il soggetto affronta i conflitti emozionali o i fattori stressanti interni ed esterni dedicandosi ad andare incontro ai bisogni del prossimo. Il soggetto riceve gratificazione o in modo sostitutivo, o tramite la risposta che riceve dagli altri.

Analisi applicata del comportamento. Approccio classico di tipo comportamentista. E' estensione diretta del comportamentismo radicale di Skinner. Assunzione di base è che il comportamento è in funzione delle sue conseguenze. Il trattamento utilizza il rinforzo, la punizione, l'estinzione, il controllo dello stimolo e altre procedure di laboratorio. I processi cognitivi vengono considerati non adatti all'analisi scientifica.

Angoscia. La psicopatologia tedesca ed anglosassone hanno un solo sostantivo che indica sia ansia che angoscia, diversamente da quelle italiana e francese che distinguono i due concetti. Per angoscia si intende un'emozione violenta e sgradevole di paura senza un oggetto specifico, accompagnata da un corteo somatico imponente come: mancanza d'aria, tachicardia, sudorazione, tremori, ecc. Dal punto di vista psicodinamico l'angoscia potrebbe essere collegata alla paura catastrofica di una perdita.

Annullamento (difesa). Il soggetto affronta i conflitti emozionali o i fattori stressanti interni ed esterni tramite parole o comportamenti che hanno lo scopo di rendere non esistenti pensieri, sentimenti, o azioni inaccettabili, o di fare per essi simbolica ammenda.

Ansia. Stato di apprensione sgradevole per qualcosa di negativo, anche se non ben definito, che dovrà accadere. In altri termini si potrebbe affermare che l'ansia è un segnale d'allarme che può insorgere ogniqualvolta si teme una crisi d'Angoscia.

Anticipazione (difesa). Il soggetto affronta i conflitti emozionali o i fattori stressanti interni ed esterni vivendo reazioni emozionali anticipate verso futuri eventi possibili, oppure anticipando le conseguenze di questi eventi, e prendendo in considerazione risposte o soluzioni alternative realistiche.

Aprassia. Perdita della capacità di eseguire movimenti volontari; i pazienti aprassici hanno difficoltà a produrre su richiesta delle risposte che riescono invece a produrre facilmente quando non ci pensano.

Apprendimento vicario (terapia comportamentale). Apprendimento che si verifica tramite l'osservazione e l'imitazione.

Astereognosia. Difficoltà a riconoscere gli oggetti attraverso il tatto, non attribuibile a un semplice deficit sensoriale o ritardo mentale.

Astrazione selettiva (teorie cognitive). Distorsione cognitiva che consiste nel concettualizzare una situazione sulla base di un dettaglio estrapolato dal contesto, ignorando altre informazioni in contrasto.

Behaviorismo (dall'ing. behaviour, comportamento). V. comportamentismo.

Bender (il test di Bender). Test di efficienza motorio-percettiva utilizzato per i bambini.

Bisogno. Indica una necessità primaria dell’organismo. Il bisogno è legato a degli stati di tensione che necessitano di essere risolti secondo un processo di tipo omeostatico.

Bulimia nervosa. Disturbo mentale che si manifesta in costanti abbuffate caratterizzate sia dal mangiare in un definito periodo di tempo (es. due ore), una quantità di cibo significativamente maggiore di quello che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso tempo in circostanze simili, sia dalla sensazione di perdere il controllo durante l'episodio (es. sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o a controllare cosa e quanto si sta mangiando). I bulimici ricorrono ad inappropriate condotte compensatorie al fine di prevenire l'aumento di peso, come vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici, enteroclismi, digiuno o esercizio fisico eccessivo.

Catarsi (dal gr. katharsis, purificazione). Fenomeno di scarica emozionale che sopraggiunge nel processo di liberazione di un affetto inconscio, grazie al ricordo o a verbalizzazione di avvenimenti traumatici dimenticati (rimossi, n.d.c.). Sinonimo di abreazione.

Comportamentismo. In generale le teorie del comportamento si basano sul principio che tutti i comportamenti "anormali" vengano acquisiti e mantenuti allo stesso modo dei comportamenti cosiddetti "normali", e sia il risultato di un apprendimento.

Delirio (dal lat. delirium, dalirare, uscire dal tracciato). Turba ideo-affettiva che consiste in una percezione erronea della realtà esterna verso la quale il soggetto aderisce in modo irremovibile. Ogni delirio è caratterizzato dalle sue tematiche: di persecuzione, di grandezza, di gelosia, metafisiche, ipocondriache, ecc.; dai suoi meccanismi: allucinatori, interpretativi, illusori, immaginativi, intuitivi; dalla sua organizzazione: si distinguono i deliri sistematizzati che si sviluppano nell'ordine, nella chiarezza e nella coerenza con una apparente pseudoragionevolezza e logica, e i deliri non sistematizzati che creano deliri sfumati, incoerenti, mal concatenati; questi ultimi si osservano prevalentemente nella schizofrenia.

Desensibilizzazione sistematica (terapia comportamentale). Procedure graduale finalizzata alla sostituzione dell'ansia con il rilassamento, con il contemporaneo aumento dell'esposizione ad una situazione o ad un oggetto ansiogeni.

Desiderio. E’ concettualizzabile come un compromesso tra il soggetto con i suoi bisogni di base e l’ambiente, tenendo presente che l’individuo è esso stesso facente parte di quell’ambiente e che lo condiziona in maniera attiva, cioè non possiamo pensare all’ambiente in cui si trova il nostro soggetto senza considerare l’esistenza stessa del soggetto. È dalla matrice dell'incontro dinamico tra il sé e l’ambiente che si sviluppano i desideri. I desideri pertanto hanno una genesi secondaria al bisogno. L'azione del desiderare è pertanto sinonimo di ricerca dell'oggetto. Un'azione quindi che può essere funzionale quando l'oggetto è congruo con il bisogno che andrà a soddisfare oppure non funzionale se l'oggetto ricercato non permette la soddisfazione adeguata di un bisogno. Un oggetto non è soltanto qualcosa di fisico ma può essere un pensiero, un'astrazione, un concetto.

Desiderio Primario. In psicoanalisi si definisce "desiderio primario" quel il desiderio che nasce direttamente dalla matrice della relazione tra l'organismo e l'ambiente. Ad esempio il cibo è l'oggetto di un desiderio che possiamo considerare primario rispetto al bisogno di nutrizione. La psicoanalisi prende in considerazione l'esperienza soggettiva, non quello che sembra essere "oggettivo". Infatti non si parla del bisogno di cibo, come se vedessimo tutto dall'alto, ma del desiderio di cibo, mentre si può descrivere il bisogno di allentare uno stato di tensione legato alla sensazione di fame.

Desiderio Secondario. In psicoanalisi il desiderio secondario è quel desiderio che nasce dalla matrice della relazione del soggetto con i suoi desideri che possono essere primari o secondari e l'ambiente. Ad esempio, per semplificare, se il bisogno di cibo rappresentasse un desiderio primario legato al bisogno di soddisfare la fame, il desiderio del denaro potrebbe essere visto (non in senso generale, ma sempre legato al soggetto che valutiamo) come il desiderio secondario che permette di realizzare il desiderio primario "cibo" per soddisfare il bisogno di nutrizione. Evitiamo di parlare di desideri terziari, ecc. Ogni desiderio che nasce sulla base di altri desideri è sempre secondario.

Difesa. V. meccanismo di difesa.

Distorsioni cognitive (teorie cognitive). Errori sistematici di ragionamento che si rendono evidenti nella sofferenza psicologica. Comprendono: inferenza arbitraria, astrazione selettiva, eccesso di generalizzazione, esagerazione e minimizzazione, personalizzazione, pensiero dicotomico.

Doppio Legame. Conflitto creato in una persona che riceve messaggi contradditori in una relazione importante, ma a cui è proibito andarsene o commentare sulla discrepanza.

Eccesso di generalizzazione (teorie cognitive). Distorsione cognitiva che consiste nell'astrarre una regola generale da un episodio o da pochi episodi isolati e applicarla in modo troppo generalizzato ovvero a situazioni non correlate.

Empatia. Termine spesso usato come sinonimo di "mettersi nei panni dell'altro", indica una condizione attraverso la quale si possono sperimentare emozioni e preoccupazioni espresse da un'altra persona.

Empowerment. La parola empowerment deriva dal verbo to empower, che significa "favorire l'acquisizione di potere, rendere in grado di". Gli psicologi di comunità italiani preferiscono non tradurre questo termine inglese; Piccardo tuttavia suggerisce l'uso dei termini: "potenziamento, condivisione, delega e trasferimento del potere; apertura a nuovi mondi possibili; responsabilizzazione; aumento di capacità, sviluppo di potenzialità". Il concetto di empowerment viene inteso come un obiettivo cui arrivare tramite forme di auto-aiuto, che responsabilizzano e valorizzano il contributo del singolo, e varie forme di sostegno sociale, che riconoscono il valore della solidarietà e l'importanza delle interazioni ambientali.

Es. Termine introdotto in psicologia da Sigmund Freud. Designa l'insieme delle pulsioni primarie, degli istinti, di ciò che è ereditario, inconscio, l'energia libidica che pretende immediata soddisfazione.

Esagerazione e minimizzazione (teorie cognitive). Distorsione cognitiva che consiste nel vedere una cosa molto più o molto meno significativa di quanto non sia in realtà.

Fabulazione (dal lat. fabulatio, discorso, conversazione). Produzione immaginaria della mente. In psichiatria si rileva in certi casi deliranti, nei mitomani e nella sindrome di Korsakov.

Famiglia disimpegnata (terapia familiare). Famiglia i cui membri sono psicologicamente isolati l'uno dall'altro a causa di confini eccessivamente rigidi tra i partecipanti.

Frotteurismo. Parafilia in cui la focalizzazione comporta il toccare e lo strofinarsi contro una persona non consenziente.

Genogramma (terapia familiare). Diagramma schematico del sistema di relazione di una famiglia, usato per individuare configurazioni familiari ricorrenti nelle generazioni.

Identificazione proiettiva (psicoanalisi). 1. Termine utilizzato per la prima volta da Melanie Klein nel 1946. Indica una forma di proiezione interattiva, mediante la quale il soggetto mette il proprio stato d'animo e le proprie difese, dentro un'altra persona. L'Identificazione proiettiva è un processo inconscio, che può essere messo in atto per scopi comunicativi o come forma di difesa. 2. Il DSM-IV (A.P.A., 1994) definisce così l'identificazione proiettiva: "come nella proiezione, il soggetto affronta i conflitti emozionali o i fattori stressanti interni ed esterni attribuendo erroneamene a qualcun altro i propri sentimenti, impulsi o pensieri inaccettabili. A differenza della semplice proiezione, il soggetto non disconosce totalmente ciò che viene proiettato. Invece il soggetto rimane consapevole dei propri affetti o impulsi, ma li attribuisce all'altra persona, come reazioni ingiustificabili. Non di rado, il soggetto suscita negli altri quegli stessi sentimenti che prima attribuiva loro erroneamente, rendendo difficile valutare chi sia stato a cominciare.

Inconscio. Insieme di processi che agiscono sul comportamento, ma che sfuggono alla coscienza. Secondo la psicoanalisi l'inconscio è organizzato in funzione di tre istanze della personalità: l'Es, l'Io e il Super-Io.

Inferenza arbitraria (teorie cognitive). Distorsione cognitiva che consiste nel trarre una conclusione specifica senza prove a sostegno o addirittura di fronte a prove che la contraddicano.

Insight (psicoanalisi). Capacità di comprendere le origini e i significati inconsci dei propri sintomi e del proprio comportamento.

Io.Ciò che costituisce la personalità, l'individualità dell'essere umano. Secondo la teoria psicoanalitica, l'Io denota l'insieme delle motivazioni e delle azioni di un individuo che condizionano il suo adattamento alla realtà, soddisfano i bisogni e risolvono i conflitti dovuti a desideri intollerabili (incompatibili tra loro). Una delle componenti del modello tripartito freudiano dell'apparato psichico con l'Es e il Super-Io.

Lapsus (lat. labilis, scivolare, cadere). Fenomenologicamente appare come un errore che consiste nel pronunciare o scrivere una parola al posto di un'altra. I lapsus sono, secondo Freud, dotati di significato e la loro analisi permette, come l'analisi dei sogni, delle sbadataggini e degli atti mancati, un approccio all'inconscio.

Mappa Traumatica. In psicoanalisi emotocognitiva la mappa traumatica è il risultato del processo costante di riorganizzazione della memoria. La mappa traumatica è essa stessa un processo dinamico, una funzione. Si definisce quindi mappa traumatica l'insieme integrato funzionale (non la somma) di eventi e situazioni emotivamente e cognitivamente considerati traumatici nel qui e ora, sia consapevoli sia inconsci sia subliminali, che hanno la funzione di un trauma attuale. La mappa traumatica, come processo, non è un qualcosa di dato o stabile ovvero non è una struttura. Inoltre gli eventi e le situazioni che la hanno generata non hanno di per sé la stessa funzione traumatica che nasce dalla loro peculiare integrazione funzionale operata esclusivamente nel qui-e-ora.

Meccanismo di Difesa(psicoanalisi).
Metodo mobilitato dall'Io in risposta al proprio segnale di pericolo, cioè l'ansia, quale protezione da minacce interne ed esterne. Freud, pur riconoscendo l'esistenza di diversi M.d.D. ha focalizzato l'attenzione soprattutto sulla rimozione. Anna Freud descrisse dettagliatamente nove M.d.D.: regressione, formazione reattiva, annullamento retroattivo, introiezione, identificazione, proiezione, rivolgimento contro la propria persona, inversione nel contrario, sublimazione. Il DSM-IV (APA, 1994) elenca ventidue meccanismi di difesa e stili difensivi specifici: affiliazione, aggressione passiva, altruismo, annullamento, anticipazione, auto-affermazione, auto-osservazione, dissociazione, fantasie autistiche, formazione reattiva, idealizzazione, identificazione proiettiva, intellettualizzazione, ironia, lamentele con reiezione dell'aiuto altrui, messa in atto (acting-out), negazione, onnipotenza, proiezione, razionalizzazione.

Microtrauma. Evento o situazione soggettivamente dolorosa che di per sé e nella maggior parte dei casi, non provoca effetti significativamente negativi ai fini del processo di sviluppo della personalità. Un microtrauma non è un trauma ma traumatica può essere la costanza con cui tali eventi si ripetono. Un esempio di microtrauma può essere un rimprovero da parte di una madre nei confronti di un bambino. Questo tipo di azione ha spesso valore educativo e difficilmente produce conseguenze deleterie. Nel momento però in cui l’atto avviene il bambino probabilmente percepisce l'evento come soggettivamente doloroso. Se globalmente quella famiglia ha un buon funzionamento e l’episodio rimane isolato e motivato, allora è pensabile che non ci saranno conseguenze significative con connotazione negativa, e l'evento acquisisce quel valore educativo di cui sopra. Ma se questo tipo di situazione diventa un “abuso” cioè un cattivo o eccessivo uso del rimprovero, come costante nella modalità di approccio al bambino, allora le probabilità di un effetto negativo sul processo di sviluppo della personalità aumenterebbero.

Narcisismo. In senso generico può essere considerato come innamoramento verso se stessi e la propria immagine. Può essere differenziato in narcisismo sano e patologico (Kohut) e/o in primario e secondario (S. Freud). Nel manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali arrivato alla sua quarta edizione il disturbo narcisistico è classificato all'interno dei disturbi di personalità (asse II gruppo B) ed è caratterizzato da «un quadro pervasivo di grandiosità (nella fantasia o nel comportamento), necessità di ammirazione e mancanza di empatia, che compare entro la prima età adulta ed è presente in una varietà di contesti...»


Negazione (psicoanalisi). Meccanismo di difesa fondamentale tramite il quale determinati aspetti della realtà, quale viene esperita, sono trattati come se non esistessero; tale processo (ndc) viene spesso diretto contro angosce esistenziali di morte personali.

Obnubilamento. Stato della coscienza che può variare dal semplice intorpidimento del pensiero, fino ad uno stato di stupore vicino al coma. L'obnubilamento è sempre presente nella confusione mentale, quale ne sia la causa.


Ombra (Jung). Parti inconsce, non accettate o non riconosciute della personalità le quali sono molto spesso, ma non sempre, negative. L'Ombra rappresenta quella parte di noi stessi a cui non siamo collegati sufficientemente.


Passaggio all'Atto. V. Acting-Out.

Pensiero dicotomico (teorie cognitive). Distorsione cognitiva che consiste nel categorizzare le esperienze in uno di due estremi.

Periodo di latenza (psicoanalisi). Periodo relativamente inerte dello sviluppo psicosessuale, compreso tra i 6 anni e la pubertà.

Personalizzazione (teorie cognitive). Distorsione cognitiva che consiste nell'attribuire eventi esterni a sé senza prove che sostengano una connessione causale.

Quadro di riferimento interiore (terapia centrata sull'individuo). Visione o percezione del mondo e di Sé propria dell'individuo; si distingue dal punto di vista di un osservatore esterno, di uno psicoterapeuta di un'altra persona.

Quoziente di Intelligenza (Q.I.). Corrisponde al rapporto età mentale / età cronologica x 100. Tra i valori 85 e 115, l'intelligenza è considerata "normale". Al di sotto di 85, si considera un deficit intellettivo, nello stesso modo in cui, al di sopra di 115, si stima che il soggetto abbia un'intelligenza superiore.

Regressione (psicoanalisi). Variamente definita come lo scivolamento, attivo o passivo, a livelli più immaturi di difesa o di funzionamento; o anche come la ricerca di gratificazioni tipiche di fasi di sviluppo precedenti.

Rimozione. Meccanismo di difesa dell'Io per il quale ricordi spiacevoli o ansiogeni vengono relegati nell'inconscio.

Schema (teorie cognitive). Strutture cognitive che consistono nelle credenze e negli assunti fondamentali dell'individuo. Gli Schemi si sviluppano precocemente a partire dalle esperienze personali e dall'identificazione con altre persone significative. Tali concetti sono rinforzati da ulteriori esperienze di apprendimento e, a loro volta, influenzano la formazione di altre credenze, valori e atteggiamenti. Gli Schemi possono essere adattivi o disfunzionali. Possono avere natura generale o specifica e sono strutture cognitive durature.

Scissione (psicoanalisi). Meccanismo di difesa primitivo mediante il quale l'individuo è "diviso" in persona buona e persona cattiva, rendendo impossibile un'immagine completa ed equilibrata dell'individuo.

Super-Io. Istanza inconscia che giudica, censura e vieta. Insieme dei divieti morali, familiari, sociali e culturali introiettati. Nella teoria tripartita della mente (S. Freud) si trova insieme all'Es e all'Io.

Teoria bipolare degli istinti (psicoanalisi). Nozione per la quale gli essere umani operano fondamentalmente in termini di pulsioni pervasive e innate verso l'amore (Eros) e verso l'aggressitivà (Thanatos).

Thanatos (psicoanalisi). Istinto (o pulsione) diretto alla morte e all'autodistruzione, postulato da Freud per contrastare e bilanciare l'istinto di vita (Eros).

Trauma Primario. In psicologia emotocognitiva è definito "trauma primario" la conseguenza traumatica di eventi e situazioni traumatogene o mappe traumatiche legate direttamente ad un bisogno oppure ad un desiderio primario ed in grado di disturbarne la regolazione, quindi impedire al bisogno di essere adeguatamente soddisfatto. Definiamo in sintesi il trauma primario come l'impossibilità / incapacità di un sistema di riferimento di realizzare desideri funzionali primari.

Trauma Relazionale. Si definisce trauma relazionale la conseguenza di eventi o situazioni potenzialmente traumatogene difficilmente condivisibili, che coinvolgono una o poche relazioni interpersonali. Generalmente non è condiviso con la maggior parte dei membri della comunità di appartenenza o con un gruppo definibile. Esempi di traumi relazionali potrebbero essere le conseguenze traumatiche di costanti microtraumi, abuso sessuale intra-familiare, criticismo, trascuratezza, violenze verbali, attaccamento disturbato, incapacità di sintonizzazione, ecc.. In sintesi possiamo definire il trauma relazionale come la conseguenza traumatica di eventi traumatogeni che si sono sviluppati nel contesto di una o poche relazioni significative. Sono eventi che si risolvono all'intero di una o poche relazioni e sono difficilmente condivisibili con una comunità od un gruppo di appartenenza più ampi.

Trauma Secondario. In psicologia emotocognitiva si definisce "trauma secondario" la conseguenza di eventi o situazioni traumatogene o mappe traumatiche legate ad un desiderio secondario in grado di disturbarne la realizzazione ed ostacolare indirettamente la soddisfazione adeguata di un bisogno. In sintesi definiamo un trauma secondario come l'impossibilità / incapacità di un sistema di riferimento (es. una persona) di realizzare desideri funzionali di tipo secondario.

Trauma Sociale. Si definisce trauma sociale la conseguenza traumatica di eventi o situazioni potenzialmente traumatogene (calamità naturali, guerre, incidenti, rapimenti, lutti, ecc.) che coinvolgono una comunità o un gruppo definibile (famiglia, gruppi dei pari, ecc.) di appartenenza. È un trauma condiviso o con alte possibilità di esserlo ovvero potenzialmente condivisibile. In sintesi definiamo un trauma sociale come la conseguenza di eventi traumatogeni che si sono sviluppati nel contesti di un gruppo o di una comunità definibile di appartenenza (ovvero un sistema più ampio di cui quello preso come riferimento risulti un costituente).

Umore (dal lat. humor, liquido). Disposizione affettiva di base, ricca di tutte le istanze emozionali e istintive, che attribuisce ad ognuno dei nostri stati d'animo una tonalità gradevole o sgradevole, oscillante lungo l'asse piacere-dolore (Delay, J.).

Unità (bioenergetica). Corpo e mente che funzionano come un tutto, in modo tale che uno squilibrio in un'area influenza anche tutte le altre.

Vulnerabilità cognitiva (teorie cognitive). Maniere individuali di pensiero che predispongono la persona a particolari sofferenze psicologiche.

WDEP (terapia della realtà). La formulazione della terapia della realtà. Ogni lettera sta per diverse procedure: W: esigenze (Wants) - D: fare, comportamento (Doing) - E: valutazione (Evaluation) - P: progettazione (Planning).


Xeonopatia (dal gr. xeonos, straniero). Allucinazioni acustiche e verbali, rappresentazioni mentali incoercibili e automatiche che sono percepite dal soggetto con carattere di estraneità e di alterazione del Sé.

Zoopatia. Allucinazione cenestetica che attua una percezione di possessione del corpo da parte di un animale





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