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La mia psicologia




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09/10/17 - 12:08 - Carlo - Belluno 
Complimenti per le spiegazioni, si impara tantissimo!
17/09/13 - 14:23 - Luisa (Pisa) 
Mi ha colpito l′esposizione curata e gradevole. Non è facile suscitare interesse parlando di contenuti profondi. Complimenti.
03/07/13 - 14:48 - Roberto Ruga 
L'arte di chiunque si occupi di terapia psicologica deve essere quella di sospendere le certezze del soggetto, finché se ne consumino gli ultimi miraggi. Il che può avvenire solo se il terapeuta stesso è in grado di sperimentare il vuoto fertile che incontra nella parola e nel richiamo del paziente. Questa situazione propizia è una sorta di sospensione, che consente al paziente un ritorno su se stesso, nella reciprocità della relazione. E’ nel discorso, che si scandisce la risoluzione del problema, la sua trasformazione, il suo ampliamento: nel riconoscimento della parola dell’altro. Si tratta di entrare in una sorta di condivisione della polifonia stessa del discorso, creando una nuova Gestalt, capace di trasformare l'individuo in soggetto. Questo è il setting psicologico, ed è qui che si colloca il transfert, quel ricordare e ripetere attraverso la riformulazione di una domanda radicale ma allo stesso tempo prescritta. Nella parola va cercata e restituita l'intenzione inconscia del soggetto, intenzione che era stata espulsa o rimossa. Ma sappiamo anche che la polifonia di ogni discorso implica che ogni enunciato presupponga e includa la risposta stessa dell'interlocutore. Insomma, l’analisi si occupa di ciò che si dice “altrove”, così come il sintomo perpetua simbolicamente il miraggio stesso nel quale il soggetto si è trovato preso. Quando tutto procede bene, prima o poi giunge il momento in cui il paziente si sente pronto a spiccare il volo e ad abbandonare il nido che lo ha protetto per un periodo fondamentale della sua vita. L'analista (psicologo o psicoterapeuta che sia) che si dovesse sentire schiacciato dalla "sindrome del nido vuoto", di certo non potrebbe essere di alcun aiuto per i suoi pazienti che, giunti a un momento così importante, hanno soprattutto bisogno di una figura stabile e forte come quel nido che li ha protetti sino al raggiungimento di una tappa tanto cruciale. Precisiamo inoltre che far guarire è diverso dal curare; nel primo caso si tratta con organi che funzionano male, nel secondo con un essere umano che soffre. Curare è una questione complessa che implica la comprensione della particolare sofferenza di quel paziente. Inoltre, la complessità dell’approccio deriva dal fatto che il comportamento dell'uomo non è condizionato soltanto dalla sua storia individuale ma anche dai suoi fini e dalle sue aspirazioni. Sia il passato come realtà, sia il futuro come potenzialità, guidano il nostro comportamento presente. Un atteggiamento puramente causale porterebbe l'uomo alla disperazione perché lo renderebbe prigioniero del passato, mentrel'atteggiamento finalistico, dà all'uomo un senso di speranza e uno scopo per cui vivere. La psiche,come insegna la psicoanalisi, è un sistema dotato di energia, e a seconda di dove essa venga diretta si può parlare di carattere introverso oppure estroverso, ma ciò che più conta è il fatto che per ciascuno di noi il destino è racchiuso in un“richiamo”, un richiamo che ci pone di fronte a un bivio: da una parte c’è la vita, e quindi l’autenticità, la capacità di accogliere e rispettare le nostre più profonde esigenze; mentre dall’altra si trova la morte interiore, e quindi la sterilità e la paralisi, il blocco psichico. Soltanto chi ha avuto il coraggio di compiere una scelta decisiva, abbandonando un’esistenza divenuta ormai troppo angusta, soffocante e inadeguata, può aiutare gli altri a procedere nel cammino che Jung chiama di individuazione. Ma, lasciarsi dietro le vie conosciute per seguire una nuova strada ha in sé una tragica bellezza, racchiusa nel fatto che la meta non è mai visibile. E, però, ciò che conta è il percorso, questo dobbiamo tenerlo a mente. Dovunque si profili una promessa di riparazione, di appagamento, o l'illusione di una ricomposizione di tensioni, o anche dovunque si intraveda una possibilità di sentirsi più pienamente partecipi della vita, lì è all'opera il desiderio inconscio di un Uomo. Ci sono dei momenti in cui siamo come una nave senza nocchiero in un mare in tempesta, ma noi dobbiamo capire che questa è una condizione esistenziale ideale per la nostra crescita psicologica. E’ il momento in cui dialoghiamo con i nostri fantasmi interiori che ci stregano con la loro ineffabilità, consentendoci una via d’accesso alla nostra Ombra. E siccome la vita non è un gioco a somma zero, come dice il caro Watzlawick: nessuna vittoria può essere perseguita a scapito di qualcun altro, perché si progredisce solo sommando il bene dell’uno a quello dell’altro; ecco che quello da perseguire è un ideale di armonia che non può prescindere dal dialogo con i nostri complessi. Del resto si chiama terapia dell’ascolto – anche interiore . Certe persone lasciano la loro impronta nella nostra anima solo per averci ascoltato. Non appartengono alla nostra vita e mai vi apparteranno, eppure ci hanno illuminato, regalandoci un'emozione che non è amore, ma che grazie ad esso lenisce ogni ferita dell'anima. E ci consente di “essere” anche al di fuori dell’analisi!
12/06/13 - 11:18 - P. Bettinardi 
Molto suggestiva la descrizione del processo terapeutico: “Soltanto chi ha avuto il coraggio di compiere una scelta decisiva, abbandonando un’esistenza divenuta ormai troppo angusta, soffocante e inadeguata, può aiutare gli altri a procedere sul cammino dell’ individuazione”. Il discorso si fa particolarmente acuto quando definisce l’Arte terapeutica come “capacità di sospendere le certezze del soggetto” aggiungendo che ciò “può avvenire solo se il terapeuta stesso è in grado di sperimentare il vuoto fertile” nella reciprocità della relazione e nella polifonia stessa del discorso. Davvero bravo e convincente.

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