03/07/13 - 13:48 - Roberto Ruga Cos’è l’angoscia e come la si può affrontare?
Da Kierkegaard a Schopenhauer e Heidegger, da Pavese a Sartre, da Freud a Jung, Lacan, Horney, Hillmann, Klein, la visione dell’angoscia come una situazione catastrofica, paragonabile alla vertigine che si prova guardando l’abisso.
Un’angoscia che compare là dove viene meno una 'cornice', lasciando apparire qualcosa di inatteso che però ha a che fare con il nostro sguardo, con l’intelaiatura immaginaria che sostiene il soggetto.
Questa emersione dell'inquietante, del perturbante, fa apparire una falla nel reticolo dei significanti all'interno dei quali il soggetto è rappresentato. L'angoscia è, nello stesso tempo, ciò che lacera e ciò che mostra le lacerazioni camuffate, i rattoppi e l'inconsistenza di un autoinganno.
Proviamo angoscia quando un evento irrompe nella nostra vita, scompaginando un determinato assetto di realtà, mettendo a soqquadro una concezione del mondo e mettendo in scacco anche il linguaggio. L’angoscia ha un valore positivo: demolisce la realtà al fine di favorire una sua ristrutturazione.
E’ questo anche il fine della psicoanalisi, che attraverso una ri-narrazione della storia del soggetto, mira a creare un “mondo” significativo.
Essere dentro un tale orizzonte di senso, è una strategia contro il dolore e l’angoscia stessa.
L’uomo “faber” è in grado di rispondere allo smarrimento e alle paure, costruendo un senso che nasce attraverso il riconoscimento del proprio pianeta interiore, grazie allo strumento privilegiato dell’affetto, cioè Eros, vero agente di introspezione e trasformazione.
|